Shamir dovrà riconoscenza agli arabi

Shamir dovrà riconoscenza agli arabi Il premier Yitzak Shamir è «terrorizzato» per l'aiuto dei sauditi che vanno a bombardare le rampe degli Scud iracheni di detenzione amministrativa per un'accusa da ergastolo: spionaggio a favore dell'Iraq. Il presidente della commissione Interni, compagno di partito di Shamir, ha risposto così al diplomatico americano che chiedeva spiegazioni: «Sarebbe molto meglio se non vi immischiaste negli affari nostri». Ma ieri una corte israeliana ha dimezzato la detenzione. A Nusseibeh ora si contestano solo contatti con un iracheno e con una misteriosa rete dell'Olp che spiava per Saddam. Insomma, l'accusa non ha ancora formulato un reato, e l'arresto suona adesso come una provocazione. Polemiche le susciterà anche la decisione dell'Esercito, che ha respinto uno stock di maschere anti-gas offerto ai palestinesi dalla Svezia. Motivo ufficiale: quelle maschere non sono idonee. L'Esercito giura che sta distribuendo, ma a rilento, kit anti-gas ai palestinesi ai quali non resta che sperare che Saddam non abbia Scud a testata chimica. Dovrebbero sperarlo anche gli iracheni. Se Saddam attaccasse Israele con i gas, ha detto sabato il ministro della Difesa Usa, Cheney, l'incontrollabile Shamir potrebbe rispondere con un'atomica tattica. Guido Rampofdì Shamir dovrà riconoscenza agli arabi 7/premier teme di dover ringraziare i sauditi per le loro incursioni contro gli Scud iracheni GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO Nel lessico della tv saudita Israele è stato fino a poco tempo fa semplicemente «il nemico» ed anche Gerusalemme considerava i sauditi tra i nemici della nazione ebraica (e perciò s'impegnava in operazioni di lobbismo nel Senato americano per bloccare forniture militari a Riad). Ma adesso qualcosa di straordinario sta accadendo nel cielo dell'Iraq occidentale: tre notti fa l'aviazione saudita ha partecipato alle incursioni americane contro le rampe irachene degli Scud. In altre parole, i piloti sauditi stanno rischiando la pelle (e gli aerei che Gerusalemme tentò di negare a Riad) per difendere Israele. Anche al loro contributo si dovrebbe la crisi della missilistica irachena, l'altra notte incorsa in un fiasco clamoroso: secondo un portavoce militare americano, uno dei due Scud lanciati sarebbe esploso addirittura in territorio giordano. Adesso il premier israeliano, Yitzhak Shamir, sembra terrorizzato dall'idea di dover riconoscenza anche a re Fahd; e probabilmente sospetta nel raid congiunto americano-saudita una mossa per imporre ad Israele obblighi morali nei confronti dei Paesi arabi. Così ieri Shamir, senza mai citare i sauditi, ha chiesto pubblicamente a Washington il via libera al raid israeliano contro le rampe irachene, perché «mai accetteremo che soldati alleati versino il loro sangue per difenderci». E' dubbio che arriverà l'autorizzazione americana. E, secondo i patti, Israele non può colpire l'Iraq senza il consenso Usa. Ma Bush non si fida di Shamir e Shamir diffida di Bush. Questa sfiducia reciproca non è recente. Negli ultimi due anni Shamir ha sistematicamente sabotato il tentativo americano di organizzare un negoziato diretto israeliano-palestinese, con grande irritazione del Dipartimento di Stato. Il gelo tra i due governi si era sciolto dieci giorni fa, quando sembrò sbocciare l'idillio tra Bush e Shamir. Telefonate, pubblici attestati di stima, e la politica della moderazione concordata tra Gerusalemme e Washington. Poi la dichiarazione congiunta Usa-Urss, con quel legame indiretto tra il ritiro iracheno dal Kuwait e un negoziato globale arabo-israeliano: «Uno schiaffo in faccia», l'ha definito l'estrema destra israeliana. E Shamir, lo schiaffeggiato, ha immediatamente manifestato nei fatti il suo risentimento accele¬ rando le trattative con il Moledet, un partitino di estrema destra che propone l'immediata reazione israeliana contro l'Iraq e il trasferimento in Giordania dei palestinesi. Il negoziato si protraeva da sei mesi; è stato chiuso in tre giorni, perché fosse chiaro agli Usa che una coalizione sempre più spostata verso il nazionalismo radicale non accetterà mai un compromesso deciso dalle grandi potenze. Ma ieri, quando Shamir ha proposto al governo l'ingresso del Moledet, il Consiglio dei ministri s'è spaccato. Una riunione tumultuosa, mentre all'esterno del palazzo Peace Now organizzava una manifestazione e sui giornali montava una tempesta di proteste. Dalla parte di Shamir si sono schierati nove dei 14 ministri (l'estrema destra, i religiosi e parte del Likud, il partito del premier), e dunque oggi sarà annunciato alla Knesset che in cambio dei due seggi del Moledet, il leader del partito, generale della riserva Rahabam Zeevi, avrà un ministero senza portafoglio. Però cinque ministri hanno fatto proprie le considerazioni dell'opposizione, che è indignata e accusa: Shamir ha legittimato l'idea del trasferimento (volontario e incentivato, secondo Zeevi; ma l'elettorato del Moledet in¬ terpreta il progetto come una deportazione in massa degli arabi). Poiché ieri un compromesso era impossibile, Shamir ha imposto al governo di votare. I ministri delle Finanze e della Difesa si sono astenuti; tre i contrari, tra i quali il ministro degli Esteri, Levy, cui si attribuisce l'ambizione di sostituire Shamir. Se rinascerà un governo di unità nazionale, delegato a negoziare il dopo-guerra, Levy sarebbe molto più accetto di Shamir agli Usa ed ai laboristi israeliani. Un motivo minore di contrasto tra Gerusalemme e Washington è stato, in questi giorni, l'arresto del leader palestinese moderato Sari Nusseibeh. Sei mesi