Rimbaud, raggi d'Oriente

Rimbaud, raggi d'Oriente Un volume fa discutere in Francia nel centenario della morte Rimbaud, raggi d'Oriente L'ultima chiave che svela il poeta RPARIGI IMBAUD d'Arabia» è il titolo del libro intorno al quale qui in Francia ci si I appresta a celebrare, il 10 novembre prossimo, il centenario della morte del poeta. E' un titolo che sembra un paradosso, una provocazione, soprattutto in questi giorni, ed è invece un recupero. Così come l'avevano creato i surrealisti, il mito del genio folgorante, del poeta veggente e visionario che prima dei vent'anni ha detto tutta la sua poesia e diventa mostro, mercante d'armi e di schiavi chiuso nel silenzio dell'aridità, era un mito vulnerabile. Nel 1954, in occasione dei cento anni dalla nascita di Rimbaud, lo scrittore Julien Gracq gli aveva dedicato un articolo in cui si diceva intimidito da una celebrazione che gli pareva difficile. Gli anni della contestazione studentesca diedero torto e ragione insieme ai dubbi espressi da Gracq. Rimbaud era sì portato in palmo di mano dagli illusi della rivolta anarchica, ma divenne chiaro quanto grandi fossero i rischi che correva quel mito. Sempre più marcata si rivelava la tendenza - già fastidiosa per Gracq nel '54 - a privilegiare il silenzio che Rimbaud aveva scelto come suprema rivolta, rispetto alla parola poetica rivoluzionaria di cui egli genialmente si era servito per dirla. Su quella strada, nelle secche del deserto in cui Rimbaud era andato a seppellirsi, il mito era destinato a inaridire. «Si tratta di una poesia, riconosciamolo, inumana.)), così scriveva Gracq. Perché allora, si chiedeva, voler insistere sull'uomo, superato dal poeta? «E' quello che Rimbaud ha lasciato che deve interessarci, non il buco che gli sta intorno». Si è poi effettivamente verificata, una decina d'anni fa, un'inversione di tendenza critica. Tra le due fasi della vita di Rimbaud non si cerca più la rottura, ma una qualche forma di coerenza. Ci si è messi sulle tracce dell'avventuriero: per ritrovare il poeta e insieme le prove che lo assolvano, la dimostrazione che mai egli si fece cinico negoziante di morte. Rimbaud d'Arabia (ed. Seuil) è il risultato estremo di questo percorso. L'autore del libro è Alain Borer, quarantaduenne, a sua volta poeta. Vive nell'ombra di Rimbaud fin dall'adolescenza, ha messo insieme una «rimbaldoteca» di più di 3 mila volumi. L'ha sempre ossessionato il destino del poeta «dalle suole di vento», che era stato accanito camminatore - al punto da fare a piedi la strada tra Charleville e Parigi e ritorno, 400 chilometri, per andare a trovare Mallarmé ed era poi morto a soli 37 anni in un ospedale di Marsiglia, con un tumore al ginocchio. Per Borer, a differenza di altri che hanno rifatto metaforicamente il viaggio di Rimbaud, ritrovarlo significava partire realmente. Cominciò da Charleville nelle Ardenne, il paese natale del poeta da cui egli sempre fuggiva ma a cui ogni volta, fino a che potè, tornava. Poi, circa dieci anni fa, fu la volta del grande viaggio verso l'Oriente cui Rimbaud, secondo Borer, aveva teso da sempre: già ragazzo, «presentiva violentemente la vela» (Il poeta di sette anni). Ad accompagnare Borer c'era allora Philippe Soupault (scomparso solo qualche mese fa, era 'ultimo sopravvissuto del gruppo fondatore del surrealismo. Dal movimento aveva però preso le distanze fin dal 1927 per il dogmatismo intransigente dei capi). Da quell'esperienza e dalla collaborazione Borer-Soupault, già nel 1984 nacquero due libri: Rimbaud d'Abissinia, di cui molto si parlò perché era la prima grossa riabilitazione del periodo orientale; e Un certo Rimbaud che si definisce commerciante, che comprende un forte testo di Soupault intitolato «Mar Rosso». Venne allora realizzato anche un reportage filmato, Il ladro di fuoco. Lidea di Borer era che non l'oro ma il caldo era andato a cercare Rimbaud, e che il suo Oriente era tanto illimitato quanto irreale. Coincideva con un miraggio di tranquillità che l'esperienza poetica, faustiana, gli aveva tolto per sempre. Nel 1988 poi Borer è ripartito, questa volta con una macchina fotografica. Rimbaud aveva avuto una macchina fotografica, restano alcune fotografie da lui scattate nel 1883 a Aden e Harar (in una si vede il volto di Rimbaud, sia pure sfocato). Borer ha scattato le stesse fotografie, gli stessi luoghi, convinto che Rimbaud, partendo per l'Oriente, avesse deciso di materializzare suoi versi e avesse scelto di sostituire alla parola l'immagine. Ecco perché Rimbaud d'Arabia è illustrato: ci sono i molti velieri su cui il poeta viaggiò, c'è il ritratto della giovane abissina che si ritiene sia stata amata da «Abdo Rimbo» e cui forse egli diede anche un figlio, c'è la pietra del tempio di Luxor su cui è inciso il nome di Rimbaud, incisione che per Borer è autografa. Benché si autodefinisca capofila dei «nuovi rimbaldiani», non da tutti Alain Borer è riconosciuto tale. Michel Butor ad esempio, noto romanziere e critico letterario, segue altre vie per tornare all'autore della Saison en Enfèr. Recentemente ha pubblicato delle Improvisations sur Rimbaud (ed. La Différence). Anche Butor cerca in Oriente la chiave del mistero, ma a differenza di Borer lo fa senza muoversi, testi alla mano. «Innanzitutto è sbagliato - egli dice - far coincidere l'Oriente con il silenzio. Quantitativamente, Rimbaud ha scritto e pubblicato di più nella seconda parte della sua vita che nella prima». Butor si riferisce alle lettere, ma non solo: cita il Bosforo egiziano (1887), il Rapporto sull'Ogaden (1883), le note per un progetto di libro sulla popolazione dei Galla, di cui Rimbaud parla in una lettera all'amico Delahaye del gennaio 1882. Per Butor sono due le direzioni da seguire: l'etnografia e la ricerca del padre. «Gli interessi etnografici - egli dice - poco frequenti per l'epoca, provano l'assenza di spirito colonialistico in Rimbaud». E per quel che riguarda il padre, grande «assente» dalla vita del poeta, è molto importante secondo Butor evocarne la figura: «Frédéric Rimbaud aveva partecipato alla campagna d'Algeria, dal 10 giugno 1842 al 21 giugno 1850. Si era appassionato per l'arabo, aveva tradotto il Corano e scritto vari libri sulla lingua araba (quei "libri arabi" che nelle lettere alla famiglia Rimbaud reclama a più riprese)». «Né vanno trascurate - Butor insiste come Gracq sul ritorno ai testi - le numerose allusioni al mondo orientale e musulmano, sia nella Saison en Enfer che in diverse parti delle Illuminations. Prima del viaggio, è un Oriente di leggenda che arriva fino all'India. Rimbaud aveva letto le Mille e una notte nella traduzione di Galland, e conosceva l'Oriente romantico di Baudelaire». Il vero Rimbaud d'Arabia è però forse un altro, la vera prova che al di là dei timori di Gracq e dei recuperi più o meno artificiali, il mito non è affatto morto: nel 1978, il poeta siriano Khalil Al-Khoury ha pubblicato a Baghdad la prima traduzione nella sua lingua delle opere complete di Rimbaud. Nel 1986, il libanese Charbel Dagher ne ha pubblicato la corrispondenza. Un altro iracheno, Saadi Youssef, traduceva intanto il saggio che Henry Miller nel 1955 scrisse su Rimbaud, Il tempo degli assassini. E nell'83 il cineasta iraniano Dariush Mehrjui, inviso al potere e costretto all'esilio, ha girato un film su Rimbaud. Gabriella Bosco gpgallora Philippe Soupault (scomparso solo qualche mese fa, era 'ultimo sopravvissuto del gruppo fondatore del surrealismo. Dal movimento aveva però preso le distanze fin dal 1927 per il dogmatismo intransigente dei capi). Da quell'esperienza e dalla collaborazione Borer-Soupault, già nel 1984 nacquero due libri: Rimbaud d'Abissinia, di cui molto si parlò perché era la prima grossa riabilitazione del periodo orientale; e Un certo Rimbaud che si definisce commerciante, che comprende un forte testo di Soupault intitolato «Mar Rosso». Venne allora realizzato anche un reportage filmato, Il ladro di fuoco. Lidea di Borer era che non l'oro ma il caldo era andato a cercare Rimbaud, e che il suo Oriente era tanto illimitato quanto irreale. Coincideva con un miraggio di tranquillità che l'esperienza poetica, faustiana, gli aveva tolto per sempre. Nel 1988 poi Borer è ripartito, questa volta con una macchina fotografica. Rimbaud aveva avuto una macchina fotografica, restano alcune fotografie da lui scattate nel 1883 a Aden e Harar (in una si vede il volto di Rimbaud, sia pure sfocato). Borer ha scattato le stesse fotografie, gli stessi luoghi, convinto che Rimbaud, partendo per l'Oriente, avesse deciso di materializzare renza di Boreversi, testi alla«Innanzitutdice - far cocQtsdpcBaseRdplzcimgPer Butor soda seguire: l'etca del padre. grafici - egli dti per l'epoca,di spirito colobaud». E per qpadre, grandeta del poeta, èsecondo Butora: «Frédéricpartecipato ageria, dal 10 giugno 1850. Sper l'arabo, avrano e scritto gua araba (qunelle lettere baud reclama«Né vanno insiste come Gtesti - le nummondo orientsia nella Saisdiverse parttions. Prima Oriente di leggno all'India. Rto le Mille e uduzione di Gal'Oriente romre». Il vero Rimperò forse un che al di là dedei recuperi ciali, il mito nnel 1978, il pAl-Khoury haghdad la primsua lingua dedi Rimbaud. NCharbel Daghla corrispondcheno, Saadi intanto il sagler nel 1955 sIl tempo dnell'83 il cineriush Mehrjucostretto all'efilm su Rimba