E Lawrence d'Arabia diede un re all'Iraq di Claudio Gorlier

E Lawrence d'Arabia diede un re all'Iraq Torna la leggenda del Principe Dinamite E Lawrence d'Arabia diede un re all'Iraq CLI arabi sembrano pronti a versare il proprio sangue per la libertà; lo sarebbero ancora di più a .—I versare il loro, petrolio», scrive nel 1920 in una lettera al Times T. E. Lawrence, il leggendario Lawrence d'Arabia, con l'invito al governo inglese di concedere almeno una parvenza di autonomia ai Paesi del Medio Oriente. Per sfruttarli meglio, naturalmente. Sta qui il vero Lawrence, fuori della leggenda? Chi ha creato la leggenda? Non esiste una risposta univoca. A partire dalla fondamentale biografia di Lawrence, opera dello scrittore, poeta e saggista Richard Aldington, del 1955, la leggenda ha subito una revisione impietosa, e molti pensano che il vero Lawrence fosse quello della lettera, espressione della politica imperiale britannica, alla quale aveva offerto il suo coraggio e la sua intelligenza. A creare la leggenda fu in primo luogo lui stesso, Lawrence d'Arabia, soprattutto nel classico della letteratura inglese del '900 che si intitola / sette pi/astri della saggezza, libro tra narrativo e memorialistico, uscito nel '35, dopo tormentate rielaborazioni (ma una prima edizione pubblicata privatamente è del '26). Già in precedenza, però, un giornalista americano, Lowell Thomas, dopo aver incontrato Lawrence in Medio Oriente, in una serie di articoli e poi in un libro del '24 aveva presentato la figura del «biondo principe della Mecca», che gli Arabi avevano soprannominato «Principe Dinamite». In tempi più vicini a noi, il film di David Lean ha ribadito la leggenda, con Peter O'Toole nei panni del favoloso colonnello, il quale, nella realtà, era un ometto piccolo, magro e poco appariscente, dagli occhi vivi e penetranti. Poi ci si sono messi psicoanalisti e psicologi, ad esempio John E. Mack in un libro del "76, scandagliando i traumi di Lawrence, figlio illegittimo, masochista, misogino, verosimilmente omosessuale, tardo romantico e decadente come appare dall'altro suo grande libro, The Mini (in italiano, Lavtere Ross). Una cosa è certa; l'identificazione di Lawrence con il mondo arabo, il suo travestimento esistenziale, che gli fece scrivere nei Sette pi/astri: «Lo sforzo, per anni, eli vivere in abito arabo mi ha spogliato della mia individualità inglese». Nel '17, mentre compie una ricognizione a Deraa, sede dei comandi turchi, vestito da arabo, viene catturato e portato dal Bey, che lo tortura con una baionetta, lo fa frustare e di fronte al suo rifiuto di cedergli lo sodomizza. Nei Sette pilastri, descrivendo la scena e pur tacendo della violenza sessuale, ammessa invece nell'epistolario, Lawrence scrive: «Anche nei gemiti usai soltanto l'arabo». Non rivelò la sua identità di ufficiale inglese, che Io avrebbe salvato. Era rimasto fedele a quella identità altra che gli aveva consentito «di considerare l'Occidente e le sue convenzioni con nuovi occhi, distruggendoli completamente». Ecco l'essenza di Lawrence d'Arabia, il nocciolo della sua leggenda, ben più delle imprese militari, della conquista di Akaba, tutte memorabili ma sicuramente ingrandite da lui e dai suoi apologeti. Incontriamo qui Io studente di Oxford, il giovane archeologo con la sua scoperta delle civiltà orientali, il traduttore di racconti popolari arabi oltre che dell'Odissea (scelta rivelatrice), l'ufficiale inglese che porta la kefìa in luogo del berretto di ordinanza, o decisamente sceglie il costume arabo. Nella sua fuga da una società classista e rispettabile, Lawrence adotta quale liberazione le categorie mentali e di comportamento di un mondo nel quale ci si afferma per ciò che si è, per il proprio coraggio, la propria capacità individuale. Rimane contagiato dalla religiosità di quel mondo, lui che dichiara di «rispettare il proprio spirito e disprezzate il proprio corpo». E' il Lawrence beduino. Pure, l'ufficiale inglese celebra il suo trionfo politico oltre che militare contribuendo alla nascita di due regni, Iraq e Transgiordania, il primo con re Eeisal, il secondo con re Abdulla, due sue creature. In particolare, l'Iraq esce da una rivolta sanguinosa, nel '20, col massacro delle guarnigioni inglesi e la repressione successiva affidata, per risparmiare le truppe, alla Raf, con feroci bombardamenti aerei: una novità strategica sostenuta da Lawrence, e sulla quale oggi conviene riflettere. Un referendum imposto e vantato ipocritamente dagli inglesi porta il nuovo re sul trono. Riconosciamo qui il Lawrence della lettera al Times. Per l'eroe vittorioso nessun riconoscimento, solo il titolo di colonnello: il congedo. Sopravvengono i nuovi travestimenti. Sotto il nome di Ross, Lawrence si arruola come aviere. «Per me le caserme sono come i monasteri», confessa in uno slancio di singolare misticismo. Scoperto, ritenterà con altro nome, Shaw, lui che di George Bernard Shaw è una sorta di figlio adottivo. Invano. Si ritira in campagna per dedicarsi alla letteratura, fino alla morte tragica in un incidente motociclistico, e porta con sé il mistero di una personalità daliefacce molteplici, dalle maschere contraddittorie. Ha simpatizzato per il fascismo e il nazismo? Ha davvero incontrato Italo Balbo? Sarebbe divenuto l'Hitler inglese? Pure, il marxista e comunista militante, combattente di Spagna, Christopher Caudwell lo ammira e gli dedica un saggio famoso, scorgendo in lui l'eroe che rompe con il mondo capitalista, il primo capace di denunciare l'arroganza colonialista dell'Inghilterra nei confronti dei popoli arabi. Ma lo ammira pure la destra estrema francese, a cominciare da Drieu La Rochelle. A partire dagli Anni 60 si pubblicano altre lettere di Lawrence e molti documenti fino allora segreti. Divampa la polemica, e là leggenda del colonnello subisce altri colpi. Non, però, lo scrittore, il maestro di un genere nuovo di scrittura. Resiste il Lawrence più privato, il signore di provincia alle prese con le sue memorie, che passa ore ad ascoltare il prediletto Mozart. Ma la leggenda rinasce come la fenice. Si dirà che egli non è morto, ma è partito per una nuova missione, forse in Medio Oriente, forse in Abissinia. E persino George Orwell, tanto remoto da lui, si lascia coinvolgere da quest'ultima trasfigurazione del mito. «Non mi è mai piaciuto Lawrence - annota - ma vorrei tanto che questa storia fosse vera». Claudio Gorlier A.John: Ritratto di Lawrence d'Arabia