Arte in kolossal per Maria Teresa

Arte in kolossal per Maria Teresa Palazzo Reale, 1° febbraio: 500 opere dall'epoca dell'imperatrice d'Austria Arte in kolossal per Maria Teresa Milano, si apre la mostra sul 700 lombardo I MILANO L ' CENA d'apocalisse: quam dri sdraiati, cellofan I | svolazzanti, angeli e maU I donne scolpiti che ammiccano tra mobili imballati, un corpo di Cristo irriverentemente illuminato da luci e flash, ritratti di illustri personaggi abbandonati sui tavoli. E poi, uscieri perplessi, restauratrici abbarbicate su alte scale a dare gli ultimi ritocchi o a colmare vistose lacune. E' la visione che si presenta a Palazzo Reale, dove si sta allestendo una mostra colossale, il «Settecento lombardo: protagonisti e comprimari dal 1680 al 1780» (1 febbraio-28 aprile): più di 500 opere tra dipinti, sculture, disegni, incisioni, codici, modelli architettonici, oreficerie, mobili, costumi, spesso inediti, provenienti da raccolte pubbliche e private della Lombardia e di altre regioni. Organizzata dal settore Cultura del Comune di Milano (collaboratrice la Cariplo) è curata da Rossana Bossaglia con un comitato scientifico e un massiccio catalogo (Electa, pp. 600, ili. 700, L. 60.000). «L'abbiamo progettata tre o quattro anni fa» sospira con un velo di stanchezza il professor Gian Alberto Dell'Acqua, che ha affiancato la Bossaglia e sta cercando di sistemare i vari pezzi facendo la spola tra Palazzo Reale e il vicino Museo dell'Opera del Duomo, altra sede della mostra. «Ci sono state rassegne sul Settecento piemontese, emiliano, veneto e di altre zone, mai su quello lombardo. Ma non è facile collocare tutta questa roba: nei sotterranei del Palazzo ci sono nove sezioni di architettura, qui, a piano terra, dipinti e arti applicate, nella superiore Sala delle Cariatidi le grandi pale d'altare e nel Musco del Duomo le sculture. Le difficoltà? Tantissime, di tipo burocratico». Scopo della mostra è di dare un'immagine d'insieme della cultura artistica del secolo, con spazio non solo alla pittura, ma anche alla scultura e alle arti applicate, in linea con quella del 1973 sul Seicento lombardo. A dare una prima idea di questa complessa realtà era stato, nello stesso '700, lo storico Luigi Lanzi nella «Storia pittorica d'Italia». Ma l'Ottocento neoclassico trascura, per una questione di gusto, il secolo precedente. L'interesse rinasce all'inizio del nostro con studi, mostre, monografie, che privilegiano la pittura rispetto ad altre arti, singoli artisti e temi particolari, inserendoli in più ampie prospettive nazionali. Nel 1953 la mostra di Longhi a Palazzo Reale di Milano mette in luce i «Pittori della realtà in Lombardia» puntando su centri come Bergamo, Brescia, Mantova, mentre Arslan si rivolge a Milano e alla Lombardia occidentale. Nel 1955 è la volta della rassegna «Fra Galgano e il Settecento a Bergamo», nel 1959 riaffiora la pittura milanese in un profilo per la «Storia di Milano». Si infittiscono ricerche nell'area di Monza, Brianza, Bergamo, sino alla monografia di Mina Gregori sul Ceruti, detto il Pitocchetto, dell'82 e la mostra, nell'87, sulla pittura bresciana curata dal Passamani. Adesso un percorso cronologico-tematico, non rigido, condurrà il visitatore attraverso le manifestazioni artistiche di tutta la regione. Ma la Lombardia di allora non era quella di oggi, anche se la mostra ha scelto di ricalcare i confini amministrativi delle nove province attuali. Milano e Mantova erano austriache dal 1706, Bergamo e Brescia rimangono venete sino al 1797, Novara continua ad avere stretti rapporti con Milano anche se passa ai Savoia nel 1738, il Canton Ticino e la Valtellina appartengono ai Grigioni sino agli anni di Napoleone. Città, dunque, con storie politiche diverse: che volto artistico emerge? «Screziato, vario, non facile da definire neppure sotto l'insegna di quel realismo lombardo individuato da Longhi, ma certo con elementi comuni, che questa occasione permetterà di cogliere meglio». La cronologia spazia dal tardo '600 al 1780, data di fondazione dell'Accademia di Brera, passando dal barocco al rococò sino al neoclassicismo escluso. Un periodo caratterizzato, politicamente, nei primi cinquantanni da eventi bellici e spostamenti di confine, e nei secondi dal relativo ordine dell'età di Maria Teresa. Non pochi, i debiti culturali della Lombardia verso altri Paesi. Scambi importanti ci sono con la Francia sin dagli Anni 30 del '700, con la corte di Versailles, con pittori come Roucher, con l'Austria e la Germania nell'architettura, scultura, apparati decorativi. Intensi i rapporti anche con città italiane: la Lombardia Veneta (Brescia, Bergamo e Crema) guarda a Venezia, quella austriaca (Milano e Mantova) al tardo barocco di Genova e Bologna, e al classicismo di Roma. In territorio lombardo lavorano poi prestigiosi artisti forestieri come Piepolo, Crespi, Sebastiano Ricci, Batoni, che hanno larga influenza sui locali, come dimostreranno le opere esposte. D'altronde i lombardi, seguendo una vecchia tradizione, vanno a formarsi a Roma, Bologna, Genova e Napoli. Un pittore come il ticinese Petrini è strettamente legato a Genova, ad esempio, Bazzani a Mantova ha una cultura cosmopolita. E Milano, come si pone nei confronti degli altri centri lombardi? E' una capitale politica, artistica ed intellettuale, ha il prestigioso Teatro Ducale, il cantiere del Duomo, che richiama scultori e lavoro, un'attiva committenza, che costruisce ville e palazzi e impegna pittori e frescanti. Ma le altre città hanno loro caratteri ed autonomia artistica. Gli aspetti ed i temi proposti sono molti. Fondamentale è la pittura sacra, con le grandi pale d'altare provenienti da chiese lombarde, ma importante è anche quella profana rappresentata da dipinti da collezione, ritratti, autoritratti, scene di genere, paesaggi e nature morte, e da vasti cicli ad affresco allegorici e celebrativi, ordinati da famiglie illuminate e aristocratiche. «Purtroppo non si possono esporre per ovvie ragioni gli affreschi» dice Dell'Acqua «sostituiti da filmati e proiezioni come l'architettura e molte sculture inamovibili». Vedremo invece, in abbon¬ danza, i sempre affascinanti dipinti di fiori e frutta, bambocciate, scene di caccia, che abbellivano i salotti, usciti dal segreto delle raccolte private. Un tipo di pittura, che si diffonde in Lombardia già nel '600, ricalcando mode nordiche e romane, testimoniata adesso da «fioranti» di recente scoperta, come Giovanni Saglier e Margherita Crestona, o dalla più nota Margherita Caffi. Da specialisti di «animali» come i Crivelli o il bresciano Duranti, da virtuosi dell'illusione come il cremonese Gianlisi o il bergamasco Mara detto lo Scarpetta. E infine da «bamboccianti» come il bresciano Bocchi o il bergamasco Alberici, esperti come tutti i lombardi nel dipingere nani. In sostanza, le maggiori novità? «Quella di avere riunito maestri minori accanto ai grandi, ormai famosi, come i pittori Carlomi, Ceruti, Fra Galgario, Lanzani, Magarti, e altri, una decina in tutto, che avranno ciascuno una propria sezione monografica. E l'entrata in scena per la prima volta delle arti applicate e della scultura». Maurizia Tazartes Immagini della mostra «Settecento lombardo»: scultura dell'Immacolata (a destra) e un dipinto. Giovedì l'inaugurazione