Legalizzazione rovesciata di Alberto Gaino

Legalizzazione rovesciata Legalizzazione rovesciata Al supermarket della droga è arrivato il <poliassuntore» TORINO. Dall'ultimo rapporto dell'Osservatorio nazionale sulla droga, freschissimo di stampa, emerge la conferma che il «culto» dell'eroina e la figura dell'eroinomane puro scivolano verso l'estinzione per far posto al tossicomane «poliassuntore». Così i sociologi definiscono i due terzi, ormai, dei 300 mila tossicodipendenti italiani. Erano meno della metà (46 per cento) solo nel 1986. Alternano sempre più l'abuso di eroina con quello di droghe leggere e legali (psicofarmaci e alcol), in percentuale nettamente inferiore (6 per cento) con la cocaina. Forse è questo consumismo che estende la cultura della droga, allentandola nello stesso tempo dai miti dei paradisi artificiali, la causa principale di tanti morti per droga, 1147 nel 1990, un record negativo assoluto. Può sembrare paradossale, ma l'eroina, in dosi sempre più alte di principio attivo, uccide più facilmente chi non ne è assuefatto, in altre parole non ne è uno schiavo fedele. «La gente usa meno sostanze proibite perché consuma più droghe legali, cioè avviene una specie di legalizzazione rovesciata», sostiene don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, uno dei più esperti e acuti osservatori del fenomeno. Per lui la (molitossicomania» è un comportamento che cerca di schivare le conseguenze punitive rivolgendosi ad altre mediazioni. E ricorda che la «droga non è la causa del disagio, ma un sintomo». Dei consumatori di droghe sinora segnalati alle prefetture appena il 3 per cento ha meno di 18 anni e, sul versante opposto del fenomeno, c'è da registrare che l'età media dei deceduti per overdose è salita a 29 anni. Ma oggi i tossicomani «invecchiano» anche per un altro, inedito, processo che descrive ancora don Ciotti: «In passato non accadeva, e ora invece ti ritrovi come niente davanti uomini e donne di oltre 30 anni che improvvisamente, senza averlo mai fatto prima, cominciano a far uso di stupefacenti». Mai come adesso, continua il sacerdote, c'è bisogno di sondare il sommerso della droga con la collaborazione di tutti quelli che lavorano nel campo della prevenzione e del recupero, perché si continua a puntare sulla scelta della comunità residenziale, con il rischio di investire soltanto in questa risorsa, quando invece bisognerebbe cominciare a muoversi anche in altre direzioni, scendendo sulla strada. In fondo, le nostre strutture di recupero sono sempre più concepite per attendere e poi rincorrere i nostri utenti». Ciotti parla dei «dimenticati» degli «stanchi», di tutti quei tossicomani che non vanno più in nessuno posto, che non hanno più speranze da spendere. «Gli utenti dei nostri servizi sono muti», alza la voce. «A parlare per loro sono sempre e solo altri, me compreso. E il disagio che si traduce in conflitto sociale non emerge più. Rimane sommerso senza trovare dignità di spazio, con il rischio che, per tanti, alla dipendenza dall'eroina si sostituisca qualche altra forma di tutela. Nuove dipendenze che mortificano la coscienza individuale». Con la nuova legge sulla droga si è voluto dare un segnale forte sull'illecita di drogarsi. «Ma la stessa legge - commenta Ciotti, d'accordo su parecchi aspetti, critico su altri - prevede per i tossicomani resezione dal servizio militare e l'aspettiva dal lavoro sino a tre anni per il ricovero in comunità. Una commissione tecnica ministeriale ha persino studiato la possibilità di riconoscere l'invalidità civile ai tossicodipendenti e di inserirli fra le categorie protette. Possibile che le nostre politiche sociali debbano oscillare fra la scelta del ghetto e quella dell'assistenzialismo? Quali messaggi educativi lanciamo a tanti giovani?». Il business degli stupefacenti nel nostro paese valeva già nel 1988 oltre 40 mila miliardi di lire (la fonte è un dossier per il Consiglio superiore della magistratura, 1989). Da allora è ancora salito, arruolando qualcosa come 350 mila fra trafficanti e manovali dello spaccio. Considerando anche i loro familiari, più di un milione di italiani vivono oggi su questo mercato di morte. Cifre spaventose che si riflettono sull'aumento della criminalità. «Già mesi fa — conclude don Ciotti — il capo della polizia, Parisi, segnalava il 24 per cento in più di criminalità, in gran parte collegata alla droga, nel primo quadrimestre del 1990 rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente. Ebbene, mi chiedo con grande inquietudine perché si fa un gran gridare al lupo per poi lasciare andare così le cose. A chi giova se non ai trafficanti di morte e alle forze dello sfascio, del tanto peggio tanto meglio? Perché si lascia che alla cultura della civiltà subentri quella della paura, dell'insicurezza sociale, delle richieste di svolte autoritarie?». Alberto Gaino

Persone citate: Ciotti, Gruppo Abele, Parisi

Luoghi citati: Torino