Falchi e colombe al femminile

Falchi e colombe al femminile Falchi e colombe al femminile Pacifiste e «interventiste»: misurarsi con la guerra Salpano le navi militari per il Golfo e sulla banchina madri, mogli e fidanzate piangenti salutano i soldati in partenza. Riaffiorano ricordi del passato come in un replay. Altre madri italiane di soldati si organizzano in associazione contro la politica «interventista». A New York, su un manifesto delle forze armate una soldatessa pin-up dall'aria spavalda - simbolo di quel 12% impegnato nella «Tempesta nel deserto» - invita i giovani ad arruolarsi nei marines. Mai come in questa guerra le soldatesse americane sono state così numerose: chissà se si sentiranno come a Panama di serie B? Per ora le italiane non sembrano avere molta fretta di emularle. Ma c'è chi pensa al futuro. «Da sempre sono favorevole al servizio militare per tutte, donne e uomini: il problema andrà trattato prima o poi», dice Margherita Boniver. Come le altre deputate psi la Boniver ha votato per la guerra nel Golfo. «Sarebbe grottesco che ci dividessimo in quanto donne dalla posizione del partito su un tema così importante». Altre parlamentari si sono invece differenziate dalla scelta del proprio partito, come le de Tina Anselmi e Maria Eletta Martini. «Io invidio chi ha certezze - ha detto Martini, per molti anni responsabile dei rapporti col mondo cattolico - ma continuo a non capire quale vantaggio c'è a partecipare a questa guerra». Rosa Filippini è stata invece l'unica deputata verde «interventista»: «Come deputata d'opposizione mi sarebbe stato facile unirmi agli altri, ma mi è sembrato giusto dire sì alla guerra pensando agli orrori successi nel Kuwait denunciati da Amnesty International, ma anche al popolo iracheno, vittima innocente del tiranno Saddam Hussein». La verde Filippini non andrebbe però a combattere: «Ho problemi ad uccidere persino un ragno, figuriamoci premere il grilletto! A maggior ragione non ho il diritto di pensare che qualcuno ne provi piacere e quindi mi sento solidale con chi lo fa anche per me». Non è certo estraneità a quello che sta succedendo nel Golfo, la posizione che ha unito trasversalmente parlamentari del pei, sinistra indipendente, gruppo verde, alcune de, che fino alla vigilia dell'ultimatum a Hussein si sono impegnati perché prevalesse la diplomazia, una «più alta civiltà dela politica» anziché il potere delle anni. Non è un «no alla guerra» passivo quello delle pacifiste che oggi decidono la data di una manifestazione nazionale per esprimere il loro dissenso. Sono state ancora le parlamentari del pei e della sinistra indipendente a sollecitare iniziative di pace perché cessi il conflitto e a sollecitare l'intervento della Croce Rossa per soccorrere tutte le popolazioni colpite dalle anni. E in un appello alle ebree propongono un impegno comune per la fine del conflitto e perché non nasca un nuovo razzismo. Ma come reagisce chi come Luciana Jona, consigliere comunale pli di Torino, famiglia di antica tradizione ebrea, perseguitata durante la II G.M.? «Ho vis¬ suto l'odio tra i fratelli e questo ora mi porta all'amore per tutti. La guerra piace a nessuno ma a nessuno piace essere occupati. Io amo il mio Paese, se mi chiedesse di combattere lo farei». Nei dibattiti delle pacifiste si parla di autodeterminazione di kuwaitiani, palestinesi, libanesi, curdi, ma anche di riconversione delle fabbriche d'armi. Utopia femminile? Rifiuto dell'istinto di morte e della sua sublimazione nella «guerra giusta» frutto di «una cultura maschile basata sul potere»? «L'aggressività non ha sesso», mette in guardia la decana della psicologia, Angela Massucco Costa. Le generalizzazioni non servono per spiegare la complessità delle posizioni delle donne in questo drammatico momento. Forse un confronto col passato può aiutare a capire. Certo, l'ansia da accaparramento è scattata soprattutto nelle generazioni che hanno visto il pane diventare sempre più nero. «Il rapporto lo si può fare però non tanto con la II G.M. ma con la Prima, quando ci furono le mobilitazioni di pacifiste organizzate e la voce del''Unione donne cattoliche si levò contro l'intervento - spiega la storica Michela De Giorgio, tra le autrici della «Storia delle donne» (Laterza) -. Nel 1914 ci furono però anche donne dell'elite aristocratica in grado di volare, decise ad arruolarsi in aviazione. E poi nel '15-18 la guerra era vissuta come lontana, un po' come ora. Nel suo «Diario di guerra» di Matilde Serao, le donne chiedono "dov'è Udine?" come ora si dice "dov'è il Kuwait?". La guerra non è lontana per la palestinese Rana e per l'israeliana Yvonne, da giorni sotto l'incubo delle bombe. Rana vive a Gerusalemme Est, Yvonne a Gerusalemme Ovest; entrambe sono impegnate da tempo in un dialogo di pace tra i due popoli, nel riconoscimento dei reciproci diritti. Le raggiungiamo per telefono nella loro difficile quotidianità. Esprimono paura, ansietà, senso d'impotenza. «Non tengo né per Bush né per Saddam, ma sono molto spaventata per le conseguenze che avrà questo conflitto nel Medio Oreinte: le maggiori frustrazioni del mondo arabo lasceranno più spazio al Fondamentalismo islamico - dice Yvonne, ebrea di origine americana -. E sono molto triste per i palestinesi, ma hanno fatto un grande errore a sostenere Saddam Hussein anche se capisco le loro motivazioni». La palestinese Rana parla dei molti palestinesi che come lei sono contrari a questa guerra: «Speriamo in una soluzione pacifica del conflitto. Siamo contro l'invasione di qualunque Paese, ma vorremmo ricordare che da 23 mesi un milione e mezzo di palestinesi vivono da occupati, senza diritti: non possono lavorare e le scuole vengono chiuse arbitrariamente. E ora nei Territori occupati la popolazione è senza maschere antigas e gli allarmi non vengono nemmeno fatti scattare». Sono voci e immagini di donne in tempo in guerra. Stefanella Campana Una soldatessa americana abbraccia il figlio prima di partire

Luoghi citati: Gerusalemme, Gerusalemme Est, Kuwait, Laterza, New York, Panama, Torino, Udine