Colpi di maglio sulle truppe del Califfo

Colpi di maglio sulle truppe del Califfo Parla uno stratega inglese: presto anche i bunker verranno distrutti dai bombardieri Colpi di maglio sulle truppe del Califfo «L'offensiva dal cielo ha scardinato tutte le difese» BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Una guerra non si vince con l'aviazione. «La si vince sul terreno, con i mezzi corazzati e-con r reparti di terra; ma la chiave del successo resta la supremazia nei cieli», dice Don Kerr. E da questo assioma, smentendo le Cassandre del Golfo e superando le cautele dello stesso presidente Bush, procede affermando che «le operazioni stanno andando molto bene». Al punto, addirittura, di ritenere che l'apertura di un secondo fronte - quello della Turchia - sarebbe controproducente: «Diluirebbe l'offensiva alleata». Poco importa che i travolgenti successi nelle prime ore della battaglia aerea abbiano ceduto il campo a bollettini meno risonanti, a una routine che fa sembrare tutto più difficile e più sofferto: «E' come un incontro di pugilato in cui, dopo due riprese di fuoco, il campione rallenta il ritmo perché sa che il combattimento sarà lungo». Sono altri i segni che contano: il fatto, per esempio, che la contraerea non anticipi le incursioni dei jet, ma si metta in azione quando già gli aerei arrivano sul bersaglio. «Quando li sentono, e a quel momento è troppo tardi». Un segno inconfondibile, secondo Kerr, che «le infrastrutture difensive irachene sono state danneggiate gravemente», che la supremazia aerea della coalizione anti-Saddam è consolidata e consente di «operare a piacere». Chi imprime una tale iniezione di fiducia è fra i maggiori esperti internazionali di strategia aerea; ed è in una posizione eccellente - al disopra della «guerra dei bollettini» che le due parti affiancano alle azioni militari - per giudicare gli eventi del Golfo. Don Kerr, ex pilota della «Raf» e istruttore dell'aviazione saudita, è per il settore aeronautico la «voce» dell'«International Institute for Strategie Studies», l'organismo che per 30 anni ha fornito al mondo i dati più attendibili sulle forze della Nato e del Patto di Varsavia, ma anche le più complete analisi degli equili¬ bri del terrore. «Il fatto che l'aviazione Usa abbia abbandonato gli obiettivi strategici più importanti e si occupi di interventi apparentemente minori, che fanno pensare a un'impasse; significa unicamente che vuole ripulire chirurgicamente le ferite della prima ondata». E toccherà ancora ali aviazione il prossimo passo: fare delle forze di terra irachene l'obiettivo di un altro attacco. «Le prime azioni contro la Guardia repubblicana - afferma Kerr - sono già cominciate l'altra domenica e subiranno una decisiva accelerazione quando saranno raggiunti tutti gli obiettivi strategici. Negli attacchi dei "B-52" contro i reparti della Guardia, al nemico non sono ancora state inflitte grosse perdite perché i reparti sono ancora sciolti. Ma prima di affrontare le forze di terra della coalizione anche la Guardia dovrà raggrupparsi, e allora sarà pesantemente colpita. Non solo dai "B-52", ma, grafie alla distruzione del sistema iracheno di difesa aerea, anche dalle forze aeree anticarro, che colpiranno i reparti corazzati di Saddam dalle spalle». Quell'offensiva dal cielo, congiuntamente alla strategia di terra che consisterà nello sfondare in alcuni punti ristretti per poi allargarsi a ventaglio e ripulire dalle retrovie, dovrebbe aprire la strada alla liberazione del Kuwait. Ma quando avverrà? «Quando l'esercito iracheno sia stato ben preparato alla sconfitta, sia cioè incapace di difendersi o, al più, possa organizzare una debole difesa». La chiave della supremazia aerea, appunto, cui ci si affida per ridurre a un minimo le perdite umane. La stessa che, secondo Kerr, spiega, già in questa prima fase del conflitto, perché le perdite della coalizione siano state così modeste: per guanto riguarda la «Raf», in rapporto alle missioni effettuate, meno dello 0,25°/ contro «piani che potevano fissare una percentuale molto più alta, fra il 3 e il 5%». Con la difesa aerea domata, gli impianti radar e i centri di co- municazione distrutti o isolati, è difficile per gli iracheni organizzarsi contro gli attacchi. Ma se un giorno riuscissero a fare uscire i loro 700 aerei dai bunker sotterranei? «Le piste sono danneggiate e non appena saranno state riparate le si colpiranno un'altra volta. La strategia consiste nel paralizzare il nemico. E comunque non è detto che i bunker tengano in eterno». E' un'ipotesi di cui si è parlato molto, a Bruxelles; perché una delle ironie di questa guerra vuole che la tecnologia dei bunker iracheni sia quella sviluppata per proteggere gli aerei della Nato. Una società belga ha confermato di avere contribuito alla costruzione di basi e rifugi. Sarebbero centinaia i bunker progettati dagli inglesi e costruiti per conto dell'aviazione irachena, quando ancora l'Occidente trattava Baghdad - alle prese allora con l'Iran - come uno dei suoi migliori clienti in campo militare. Ed è un altro esperto inglese a teorizzare come si possano stanare o rendere inutilizzabili i «Mig-29» e i «Mirage F-1 » di Saddam. «Se i bunker sono solidi come sembrano - afferma Mark Harvey del "Royal United Services Institute" - sono un'eccellente arma strategica». Ma anche quelli hanno i loro punti deboli. Sono fatti di cemento armato e acciaio temprato, sono affondati nella sabbia, hanno spesse porte scorrevoli e muraglioni che le proteggono dalle esplosioni. Ma con i missili guidati dai laser è possibile colpire i punti nevralgici: le enormi porte - se necessario con cariche successive o con le «cariche composite» che penetrano nel metallo prima di esplodere - bloccandole e imprigionando gli aerei all'interno; oppure le prese d'aria, con esplosioni dall'interno cha farebbero cedere anche la compatta struttura sferica delle costru¬ zioni. «Conoscere i progetti può certamente aiutare». E i progetti, disegnati in Europa, sono nelle mani degli strateghi Usa. L'elemento della conoscenza si sta rivelando, secondo Kerr, di grande importanza anche in un altro settore: «Gli iracheni sono dotati soprattutto di armamenti e aerei sovietici, quindi sovietiche sono molte delle loro strategie. E' un modo di pensare che la Nato, creata per contrastare il Patto di Varsavia, ha studiato per 40 anni e conosce quindi a menadito. Si è molto parlato, per esempio, dell'uso di sistemi mimetici e finte armi di plastica per ingannare i bombardieri Usa. E' sicuramente vero, perché quello rientra nelle tattiche di Mosca. Ma proprio poiché queste sono così ben conosciute dubito che i piloti ne siano stati ingannati più di tanto. Quelle colpite erano armi vere». Fabio Galvano Si intensificano i preparativi delle truppe saudite per un attacco di terra