Lo «zapping» scaccia-guerra di Curzio Maltese

Lo «zapping» scaccia-guerra Nella confusione della domenica televisiva la pallonata diventa uno Scud Lo «zapping» scaccia-guerra LA seconda domenica di calcio e guerra ha segnato il trionfo dello Zapping. Il termine, reso popolare da un geniale spot ideato da Agostino Sacca, dirigente Rai, significa saltellare da un programma all'altro; o anche, in versione di sinistra attualità, «far morti col telecomando». Zapping è esattamente quanto la maggioranza degli italiani sta facendo in questi giorni. Milioni di telespettatori, combattuti tra il diritto-dovere d'essere informati sulla guerra e la voglia di distrarsi, saltellano da una corrispondenza da Amman al quiz sul numero di fagioli, da un tg speciale alla diretta sportiva. I contatti degli «speciali» sul Golfo ammettono in Rai - sono sempre elevatissimi, ma soltanto all'inizio. Subito dopo il tam tam della sigla e il sommario, gli abitanti del «villaggio globale» si disperdono in mille tribù. Finito l'effetto totalizzante, quasi ipnotico, che aveva nei primi giorni, la guerra è rientrata nel magmatico blob dei programmi. La metabolizzazione veloce delle notizie dal fronte è parsa evidente ieri. Il rito festoso del calcio ha cannibalizzato i palinsesti, pubblici e privati, e senza tanti pudori. Abolito il minuto di silenzio sui campi della serie A; saltate le premesse più o meno ipocrite (del genere «non vorremmo essere qui a parlare di calcio, ma la vita continua...»); rientrato il divieto ai telecronisti di servirsi del lungo elenco di metafore bellico-pallonare. Il disinvolto Luigi Necco da Napoli ha perfino usato, per descrivere un tiro di Careca, l'orrendo termine «Scud». Ovunque, dal salotto di Sabani a quello di Maffei, è stato un fiorire di paillettes, sgargianti cravatte e «abiti anti-crisi», come li chiamano già gli stilisti; in contrasto con l'austero look di circostanza della domenica scorsa, simbolizzato dal tailleur viola della Parietti. Il gioco e il massacro sono andati avanti paralleli. Ma, stavolta, ignorandosi e rendendo ancora più schizofrenico lo zapping. E' un segnale di cinismo? E' un modo inconscio di adattarsi alla «guerra lunga»? Secondo i primi, parziali, rilevamenti, c'è anche dell'altro. Monta l'insofferenza del pubblico di fronte al modo in cui la tv ha finora trattato la guerra. Alla Rai sono arrivate centinaia di proteste per l'assenza di «immagini e vere notizie» sul conflitto nel Golfo. E, per contro, «l'eccesso di opinioni, propaganda e finzioni». La mancanza di immagini è il dato più saliente e paradossale. Al posto dei filmati, lunghe telefonate di corrispondenti. Una specie di «Tutta la guerra minuto per minuto», con collegamenti da capitali mediorientali, per lo più sconosciute al grande pubblico. In assenza di «vere notizie», ecco i messaggi in codice di inviatiostaggi del regime di Saddam o della censura occidentale, buona ultima quella italiana che ha impedito l'altro giorno la messa in onda sul Tg2 di immagini con bambini iracheni feriti. Perfino la mitizzata Cnn attraversa una crisi di credibilità. Un eroe dei primi giorni, come Peter Arnett, inviato a Baghdad, è stato degradato a «traditore», strumento forzato della propaganda di Saddam. E ogni volta che uno dei corrispondenti da Tel Aviv, Richard Roth, compare con la maschera anti-gas - mentre sullo sfondo s'intrawedono i volti nudi dei suoi collaboratori - la gente si domanda se non si tratti di un'altra recita. Più modestamente, in Italia, ci si chiede quando Carmen Lasorella si rifarà il trucco e tornerà a indossare gli orecchini. L'informazione televisiva rischia di finire tra le vittime di questa guerra. Curzio Maltese

Persone citate: Agostino Sacca, Careca, Carmen Lasorella, Luigi Necco, Maffei, Parietti, Peter Arnett, Richard Roth, Sabani

Luoghi citati: Amman, Baghdad, Italia, Napoli, Tel Aviv