Sono io l'Ebreo Errante di Alain Elkann

Sono io l'Ebreo Errante Parigi: intervista con d'Ormesson sul suo nuovo romanzo Sono io l'Ebreo Errante Rifiuta l'amore, cade nella Storia wS] PARIGI Il ISTOIRE du Juif Errant» ri è il titolo del nuovo ro11 manzo di Jean d'Ormes=M\ son (Gallimard). Il primo capitolo si apre a Gerusalemme. Il calzolaio Ashaverus nato in Galilea, custode di Ponzio Pilato, è innamorato della bella Myriam (anche chiamata Maria o Maddalena), prostituta del suo Stato. Seconda scena: Assisi. Giovanni Buttadeo, il suo vero nome Isacco l'Ebreo, mendicante, poliglotta, diventa il compagno di strada del ricco mercante Pietro di Bernardone che ha molti problemi con suo figlio Francesco... Terza scena: Siviglia. Juan Esperendios, alias Isacco il Genovese, diventa amico con un altro genovese, Cristoforo Colombo. Quarto capitolo: Venezia oggi, una giovane coppia viene a misurare il proprio amore nella città dei Dogi e incontra un curioso individuo solitario e senza età, Simon Fussganger. Si capisce in fretta: Ashaverus, Buttadeo, Esperendios, Fussganger sono un solo uomo, che ritroveremo durante tutto il romanzo, da Rodi a Ragusa, da Cipro a Baghdad, dalla Persia alla Cina, volta per volta soldato, mercante, marinaio, banchiere, seduttore, scrittore, confidente di belle donne e compagno di Chateaubriand, amante di Poppea e assistente dell'imperatore Nerone col nome di Isacco Laquedem. E' l'Ebreo Errante, scelto da Dio e da Jean d'Ormesson. E' l'interprete della grande avventura fin da quel giorno in cui col primo nome di Ashaverus rifiutò di dare un bicchier d'acqua al galileano che portava la croce: «Cammino perché devo morire, tu, fino al mio ritorno, tu camminerai senza morirei. Ecco dunque che Ashaverus è costretto all'immortalità e condannato a portare per sempre il peso schiacciante del peccato etemo. «E' per essermi rifiutato all'amore che sono caduto nella storia». Perché ha scritto un libro così vasto sul mito dell'Ebreo Errante? Volevo scrivere una storia che attraversasse il tempo fino alle dimensioni del mito. Avrei potuto scegliere Don Giovanni o Faust e invece ho preferito l'Ebreo Errante. Ho letto naturalmente molti libri sull'Ebreo Errante. Mi incuriosiva il fatto che il mio personaggio fosse nello stesso tempo benedetto e maledetto dalla storia e fosse come lo sono io un testimone della storia. Come definisce il romanzo? Volevo scrivere un libro moderno, un libro non «rompiscatole». Volevo salvare la trama e il personaggio, ma anche raccontare molte storie. Parlare di Alarico, di Budda, di Isabella la Cattolica, Colombo, Maria Maddalena, Pilato, Poppea, Nerone, Chateaubriand e Paolina Borghese. Quanto ha impiegato? Quattro anni scrivendo dalla mattina alle otto alla sera alle otto ogni weekend e quattro mesi ogni estate. Come scrive d'Ormesson? Gli articoli di giornale a penna, i romanzi a matita. Per lo Juif Er¬ rant non avevo uno schema preciso; via via che scrivevo, se sentivo che mancava qualcosa, aggiungevo un capitolo, un episodio, un personaggio. D'Ormesson, ex direttore di «Le Figaro», direttore della rivista «Diogene», che ha preso il posto di Jules Romani all'Académie Francaise nel '73, è oggi uno scrittore di bestsellers. L'ultimo libro pubblicato dall'editore Lattes ha venduto oltre un milione di copie. Certo, preferirei essere sicuro di avere ancora mille lettori quindici anni dopo la mia morte, che cinquecentomila oggi, ma devo dire che apprezzo il successo e non bado troppo alle critiche. Il denaro procura molta libertà, ma non mi sono mai interessato alle onorificenze. Non dò grande importanza all'Académie Frangaise. Forse perché quando si ottengono le onorificenze vanno dimenticate. Io metto al di sopra di tutto la letteratura e l'amore. Certo, gli inizi non furono facili, non è facile scrivere vicino a Chateaubriand, poi ebbi molti nemici e ho impiegato tanto tempo per farmi prendere sul serio come scrittore. Mi tacciavano di superficiale o di giornalista!. Com'è la sua scrittura? Cerco di avere una scrittura semplice, leggera. Nello Juif Errant ho mescolato una scrittura erudita con espressioni della lingua parlata. Nel romanzo si trovano dialoghi, lettere, documenti, monologhi interiori. Cerco sempre di essere il più leggibile possibile. E' vero che in questo romanzo ho lasciato trapelare molta erudizione, numerose citazioni, ma è anche estremamente facile da leggere. Un ferroviere, un minatore, una casalinga possono benissimo leggerlo e capirlo. Cosa l'attira nell'Ebreo Errante? E' lei l'Ebreo Errante? In un certo senso sono Ebreo Errante. Sono uno scrittore francese, ma mi sento soprattutto un cosmopolita. Ho sempre viaggiato tutta la vita e anche se m'interessa la letterature: francese, sono un lettore appassionato di letterature straniere. Ho realizzato tardi che gli studi che avevo intrapresi all'Ecole Normale (di cui furono allievi anche Jean-Paul Sartre e Raymond Aron) possano essere controproducenti per chi ama la letteratura e vuol scrivere dei romanzi. Nello Juif Errant mi piace la libertà, la curiosità. L'Ebreo Errante è triste ma ostenta allegria, «è indegno delle grandi anime far sentire la propria tristezza», avrei voluto essere ebreo e anche italiano. Lei viene definito come un intellettuale di destra. Io sono sempre stato antistaliniano, ma contro Hitler, contro Vichy, contro la destra di Le Pen. In altre parole io ammiravo De Gaulle. De Gaulle è l'unico uomo politico francese che abbia davvero stimato. Ma anche se ho diretto Le Figaro, mi creda, detesto la politica e il potere. Non sono del tutto contrario al nazionalismo. Penso che per molti popoli esso rappresenti ancora qualcosa. Ma metto al di sopra di ogni cosa la letteratura. Non ho mai accettato posti veramente importanti o ben pagati all'Unesco, dove lavoro ancora oggi. Penso che sia importante per uno scrit- tore avere anche un altro lavoro oltre alla pagina bianca. Un buon lavoro per uno scrittore potrebbe essere il campo assicurativo o fare l'autista di taxi. Il giornalismo non è una buona strada. E' meglio comunque scrivere in un Paese come la Svizzera dove ci : s'annoia un po', che a Venezia ' troppo bella e piena di distrazio| ni. Lei si è detto sempre contrario ai cambiamenti nell'ortografia della lingua francese. Mi sembra una stupidaggine e preferisco non parlarne nemmeno. I suoi scrittori preferiti? Mi è piaciuto molto Aragon che era un mio amico, mi sono piaciuti Perec, Calvino, Queneau, Borges, Moravia e i miei maestri Stendhal e Chateaubriand, mi piaceva anche Paul Morand, mentre non nutro una grande simpatia per Celine. Che cosa ha voluto scrivere nello «Juif Errant»? La storia del mondo raccontata da me attraverso l'Ebreo Errante. Scrivo quello che sento si debba scrivere e non quello che vuole il pubblico. Forse i romanzi lunghi sono desueti, ebbene ne ho scritto uno. Poi si dirà che bisogna scrivere dei romanzi lunghi e io ne scriverò uno breve. Così come non ho mai seguito le scuole, non sono mai stato allievo di Sartre, non ho fatto parte del «Nouveau Roman», non sopporto che mi si diano ordini, né di dare ordini. Mi sento, come le ho già detto, come il mio Juif Errant, un testimone. Alain Elkann Marc Chagall: «L'Ebreo rosso» (Leningrado, Museo russo). Nella foto piccola o scrittore francese Jean d'Ormesson, che pubblica «Storia dell'Ebreo Errante»