I dimenticati della guerra in Somalia

I dimenticati della guerra in Somalia I dimenticati della guerra in Somalia Fuggiti da Mogadiscio, ora vivono solo grazie alla Caritas «Siamo stati dimenticati, addirittura lasciati per due giorni senza mangiare perché la pensione dove ci hanno alloggiati non era fornita di ristorante, e se non fosse per la Caritas saremmo ancora senza abiti pesanti adeguati. Ma ci sono anche dei grossi problemi con i bambini. Sono una ventina, con età che variano dagli otto mesi ai sei anni. Molti di loro, a causa dei disagi sofferti, hanno bisogno di un medico. Dovreste venire qui per capire la nostra situazione», dice Habiba, una signora somala di nazionalità italiana. A Mogadiscio lavorava all'ambasciata italiana e come centinaia di altri italiani è bloccata in una pensione della capitale con due figli. Sono i profughi italiani di una guerra che il conflitto del Golfo sta facendo dimenticare. Sono riusciti a scappare, a sfuggire alla guerra fratricida che sta sconvolgendo la Somalia dove hanno dovuto lasciare tutto per salvarsi, ma ora rischiano di stare male anche in patria. C'è chi teme anche per la vita dei propri cari, come la torinese Gabriella Adamo, ora ospite di amici nel capoluogo piemontese con i due figli, una bambina di dieci anni e uno di sedici. Non ha più notizie del marito, un ingegnere commerciante in pezzi di ricambio d'auto: «Abitavamo vicino ìi Villa Somalia, la resi- denza di Siad Barre, per cui eravamo circondati da una parte dai carri armati dei soldati governativi e dall'altra dai ribelli. Mio marito, in un momento di tregua, è uscito per cercare del cibo e da quel momento non l'ho più visto. L'ho aspettato per cinque giorni nella speranza che tornasse - racconta la signora Adamo, mentre la voce le s'incrina per la commozione -. Poi ho dovuto prendere l'angosciosa decisione: partire anche senza di lui per mettermi in salvo insieme ai bambini». Gabriella Adamo lavorava presso l'ufficio culturale dell'Ambasciata italiana, «ma ora pare che il ministero degli Esteri voglia lasciare a casa tutti i contrattisti come me». Solo pochi profughi hanno raggiunto i parenti o le proprie città d'origine. Quasi tutti sono obbligati a rimanere nelle due pensioni romane messe a disposizione dal governo italiano. «Ci sono famiglie intere che non possono certo essere a carico di parenti; e non si può nemmeno pensare che i nostri problemi si risolvano dandoci quindicimila lire il giorno per quarantacinque giorni, come ci è stato detto dal ministero dell'Interno. Abbiamo bisogno di una casa e soprattutto di reinserirci nella società italiana, di trovare un lavoro. Siamo scappati solo con gli abiti estivi che avevamo addosso; se qualcuno si ammala, come è successo in questi giorni, non abbiamo nemmeno i soldi per comprare le medicine. Se ce ne andiamo da qui per noi è la fame», dice Giovanni Storchi, consulente commerciale dell'ambasciata italiana. Assieme ad altri rappresentanti dell'«Associazione profughi della Somalia», costituitasi in questi giorni a Roma, ha partecipato sabato scorso nella Prefettura della capitale a un incontro con funzionari del ministero degli Esteri e dell'Interno a cui hanno esposto i problemi della comunità italiana fuggita da Mogadiscio. «Abbiamo chiesto dei provve¬ dimenti dignitosi; per ora sono stati ad ascoltarci», aggiunge Storchi. E racconta di una situazione che si fa di giorno in giorno più invivibile nelle due pensioni: «Tre o quattro persone in una sola stanza senza servizi; non si sa dove lavare i vestiti, come far fare il bagnetto ai bambini...». La signora Habiba cerca di sdrammatizzare: «Dal ministero degli Esteri si stanno interessando di noi. Io sono tranquilla». Ma dal ministero precisano che ora la loro questione è di competenza dell'Interno dove però non siamo riusciti a sapere nulla di più preciso. A Torino la vicenda dei profughi italiani della Somalia viene seguita anche dall'Associazione italo-somala Shabel. Spiega la presidente Giovanna Fornaca: «Abbiamo chiesto alla Prefettura di Roma e a quella di Torino l'elenco delle persone evacuate da Mogadiscio e soprattutto quali aiuti erano stati predisposti per loro, ma non siamo riusciti a sapere nulla. Ci hanno spiegato che l'ultimo decreto legge sui profughi, approvato a fine '90, vale per chi è fuggito dai Paesi in guerra come l'Irak, Kuwait e Liberia. Insomma si sono dimenticati della guerra in Somalia. E' preoccupante». Stefanella Campana I profughi, in arrivo dalla Somalia, sbarcati all'aeroporto di Fiumicino

Persone citate: Gabriella Adamo, Giovanna Fornaca, Giovanni Storchi, Siad Barre, Stefanella Campana I, Storchi