Tv, il fronte in casa mia di Luisella Re

Tv, il fronte in casa miaTv, il fronte in casa mia «Strano che a nessuno interessi come stanno reagendo gli operai. Non sono né pacifisti né guerraioli, loro, ma solo concreti. Ti dicono: il petrolio è indispensabile, le macchine si muovono solo così e, anche se questa brutta guerra non piace a nessuno, c'è poco da fare». Per il sociologo Filippo Barbano il conflitto sul Golfo comporta, insieme alle riflessioni d'obbligo, un personale rimpianto. Un anno fa lui e padre Eugenio Costa, con l'associazione «Dialogos», avrebbero voluto organizzare a Torino un seminario sulla guerra poi sostituito dal tema della corruzione. Un'occasione sprecata: «La guerra ci sembrò un tema così inattuale. E invece...». E invece? «Invece eccoci qui traumatizzati dallo shock. E annichiliti da una tv che, portandoci la guerra in casa e trasformandola in una specie di avanspettacolo non-stop, ha dimostrato tutto il suo potenziale di perversità. Ipnotizzandoci in attesa che succeda, di continuo, quel qualcosa in più che poi ovviamente non succede». C'è un irrinunciabile dirittodovere di cronaca, però. «La realtà del mondo è uno specchio rotto in mille pezzi e ogni cronista della guerra, in grado di cogliere solo un frammento di questa realtà atomizzata, non può e non deve dimenticare questo fondamentale condizionamento. Sottovalutarlo può avere risultati devastanti. Tipico il caso degli accaparramenti dei giorni scorsi, ricollegabile al vecchio, banale "effetto mattone". Se ne muove uno e vengon giù tutti; si enfatizza qualche sporadico accaparramento e si innesca un assalto di massa ai supermarket». E intanto, mentre la gente stenta ad assimilare l'incongruente «racconto» di questa tempesta di bombe senza morti, troppe incognite rimangono inevase. «Non solo ignoriamo la cultura araba, ma evitiamo di confrontarci con l'americanismo. Contro cui, sotto la bandiera del pacifismo, anche a Torino molti stanno cercando una rivalsa sul lutto per la morte degli ideali socialisti. Ignorando che non ci sarà un'Europa unita finché, prò o contro, non avremo risolto questa cronica attrazione-repulsione verso l'America». A intaccare i movimenti pacifisti, secondo il sociologo Barbano, è proprio questa mancanza di elaborazione. Spiega: «Le loro manifestazioni di piazza sono più che comprensibili, anche perché l'angoscia si risolve con un incremento delle relazioni interpersonali e marciare insieme è un grosso sfogo. Ma agitarsi senza serie strategie è inconcludente e diseconomico. Ciò che ancora manca ai pacifisti nostrani, a differenza di quelli nordici, è un solido, maturo zoccolo culturale». Ma c'è bisogno di cultura, per credere nella pace? «Ce n'è bisogno per affrontare le modalità, le tecnologie e la gestazione delle guerre attuali; per scegliere una quotidianità libera da sentimentalismi irrazionali e contraddizioni egocentriche; per evitare di fermare il mondo in attesa che migliori». E se davvero si ama l'Oriente, «per sostituire con il grande valore della non violenza questo nostro pacifismo di stampo ottocentesco, storicamente rischioso e ormai anacronistico quasi quanto 1' "interventismo" oggi riesumato sul fronte opposto». Resta il fatto che per gli arabi si tratta di una guerra santa. E per noi? «Bobbio ha detto che questa guerra è legittima anche se "probabilmente l'ultimatum è stato un errore". Sono d'accordo con lui. Dopo l'ultimatum seguito all'aggressione al Kuwait siamo entrati in una situazione di diritto internazionale che non può essere trasceso. E per questo diritto la guerra è legittima». Ma non determinante, forse. «Mentre Clausewitz definiva la guerra una prosecuzione della politica con altri mezzi, il Golfo imporrà presto una politica che sarà, con altri mezzi, una lunga prosecuzione della guerra. Saddam sa di perdere la guerra, si tratta di non fargli vincere la pace». Luisella Re

Persone citate: Barbano, Bobbio, Clausewitz, Eugenio Costa, Filippo Barbano

Luoghi citati: America, Europa, Kuwait, Torino