La Forrestal in soccorso d'Israele di Guido Rampoldi

La Forrestal in soccorso d'Israele Dopo i missili anti-Scud e i tecnici militari, gli Stati Uniti inviano la loro settima portaerei La Forrestal in soccorso d'Israele E Shamir non attacca GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO Dopo una notte tranquilla, la prima in quattro giorni, Gerusalemme ha riaperto edicole e forni, e i negozi di abbigliamento hanno ripreso a esporre la maglietta più venduta, quella su cui è scritto «America non ti preoccupare, Israele ti protegge». Da ieri si potrebbe dire il contrario: per alcune settimane saranno gli Stati Uniti a proteggere Israele. Dopo i missili anti-Scud e i tecnici sbarcati sabato a Tel Aviv, Washington ha inviato nel Mediterraneo orientale un'altra portaerei, la «Forrestal», settima nella zona operazioni del Golfo. E un negoziatore esigente, Lawrence Eagleburger, giunto a Gerusalemme per concordare la contropartita dell'aiuto militare. Improbabile che Israele rinunci al diritto di reagire all'aggressione irachena. Ma il tempo e il modo potrebbero essere suggeriti dagli Usa. Del resto ora che il sistema di difesa israeliano è così integrato dagli americani, un coordinamento anche politico 6 inevitabile. Per uno Stato che fino a due giorni fa ripeteva, per bocca del suo ministro degli Esteri, «Ci difendiamo da soli», la svolta delle ultime ore è storica. E' quasi uno choc, soprattutto per la destra israeliana. Così non è detto che il premier Shamir si riveli un interlocutore malleabile per Eagleburger, né che accetti di soprassedere quando Saddam sparerà altri missili sulla popolazione di Tel Aviv e Haifa. Malgrado Washington da due giorni sostenga l'opposto, la posizione ufficiale del governo israeliano resta quella ribadita ieri sera dal ministro della Difesa, Arens: reagiremo, nei tempi e nei modi che decideremo noi. Tuttavia Arens ieri ha aggiunto: terremo conto degli interessi americani. E Shamir ha confermato: difenderci da soli è da sempre la nostra politica, «ma non per questo dobbiamo rinunciare alla saggezza». Dunque la reazione israeliana sarà saggia. E terrà conto, ha detto Shamir, che «il nostro nemico è lontano, di mezzo c'è un altro Paese», cioè la Giordania. Fino a ieri sera, il governo israeliano ufficialmente non dava peso al problema che invece ieri Shamir ha affacciato: la Giorda.nia non accetta di essere sorvolata dai bombardieri con la stella di David diretti in Iraq. Amman promette anzi che difenderà il suo cielo. E gli Usa vogliono scongiurare un attrito giordanoisraeliano, perché metterebbe in difficoltà gli alleati arabi. Eagleburger e il generale del Pentagono che l'accompagnava hanno incontrato Shamir mentre Israele si addormentava più serena, dopo l'arrivo dei Patriots e 24 ore senza sirene. A Gerusalemme e nell'interno del Paese l'esercito ha autorizzato la gente a uscire di casa e a tornare al lavoro. Per le strade, malgrado si circolasse con la scatola del kit anti-gas sottobraccio, pareva un giorno come tanti. Ma Tel Aviv e il Nord di Israele vivono ancora dietro le finestre sigillate con lo scotch e la maschera anti-gas a portata di mano. Un nuovo attacco iracheno con i missili Scud viene dato - per imminente. Neanche gli esperti militari sanno prevedere se Saddam userà i gas, come ha promesso. L'altro grande dubbio di Israele è il Patriot: davvero riuscirà a fermare tutti gli Scud lanciati da Saddam? E' un gioiello di tecnologia bellica e viaggia ad una velocità doppia degli Scud, 2 km al secondo. Ognuna delle due batterie arrivate dagli Usa, con il personale tecnico americano, può sparare contemporaneamente 8 missili. Detto questo, non vi è alcuna certezza che i Patriots riescano a intercettare tutti i missili che arrivassero dall'Iraq. In altre parole, Israele sarebbe sicura solo quando saranno distrutte tutte le rampe mobili irachene rimaste a Saddam, almeno una ventina secondo gli israeliani. Da qui la pressione fortissima dell'opinione pubblica sulle Forze armate per un raid sull'Iraq. Il raid però dovrebbe essere definitivo: un fallimento ingigantirebbe il senso d'impotenza del Paese e minerebbe la fiducia nel vertice militare. E localizzare le ram¬ pe irachene in un'area di centinaia di chilometri, per l'intelligence israeliana, è difficilissimo. Lo sarebbe anche se Israele disponesse delle informazioni dei satelliti americani: peraltro gli Usa potrebbero rifiutarle, per scongiurare il raid. E comunque un via libera statunitense sarebbe quasi inevitabile: se il raid non fosse coordinato si rischierebbero equivoci, come un disastroso duello aereo tra l'aviazione israeliana e quella americana. Così parlando ieri alla televisione, Shamir ha detto al Paese che deve abituarsi a convivere con questo stato di guerra, con la minaccia «degli attacchi terroristici» di Saddam, così come si è abituato a convivere con il rischio di attentati, in modo che il Paese torni al più presto alla normalità. Israele sta incassando un discreto premio diplomatico per la sua saggezza: agli occhi del mondo lo Stato che reprimeva nel sangue l'intifada palestinese è ora una nazione aggredita con ferocia, che ha la forza di astenersi dal reagire. Piovono attestati di stima e solidarietà dalle cancellerie europee. «Ipocriti», è in genere l'aspro commento dei governanti israeliani, che in queste ore citano le forniture militari all'Iraq da industrie europee (gli accusati in primo luogo sono Germania, Francia, Italia). Guido Rampoldi Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv: sbarcano da un mastodontico Galaxy i primi veicoli armati con missili antimissile Patriot