Il primo assalto in attesa del golpe

Il primo assalto in attesa del golpe Il primo assalto in attesa del golpe «I berretti neri sparavano. Il Presidente ha rischiato la vita» RIGA DAL NOSTRO INVIATO Il potere legale di Lettonia è ormai circondato da un assedio armato che assume sempre più apertamente le sembianze del terrorismo. L'assalto dei «berretti neri» al Ministero dell'Interno ha lasciato un'altra scia di sangue e una situazione di tensione che prelude a sviluppi ancora più drammatici. Il bilancio delle vittime è di cinque morti e 10 feriti. La facciata dell'edificio è crivellata di buchi. I vetri delle finestre tutti in frantumi. L'attacco è stato di incredibile violenza e, stando alle prime testimonianze, vi avrebbero partecipato non più d'una cinquantina di agenti della famigerata Omon (distaccamenti speciali antisommossa) giunti verso le 9 di sera a bordo di due camion, alcune jeep e una Volga nera. Le raffiche hanno squarciato il silenzio per oltre quaranta minuti, ma la resistenza dei militi lettoni è stata rapidamente soverchiata. L'edificio è stato conquistato dagli assalitori che hanno sparato all'impazzata in tutte le direzioni, non risparmiando neppure l'atrio dell'albergo Ridzene, sul lato opposto della strada, dove il presidente lettone Anatolij Gorbunov stava dando una cena ufficiale in onore di una delegazione del senato polacco. Gorbunov ha dovuto uscire precipitosamente da una porta secondaria, mentre le vetrate crollavano in frantumi. Due membri della troupe televisiva del noto regista lettone Juris Podnieks - subito accorsi sul luogo della sparatoria - sono stati raggiunti dai proiettili. Il cameraman Andris Skapins è morto all'ospedale, il suo aiutante Guido Zvaigzene è ferito gravemente. Uguale sorte è toccata a un operatore della popolare trasmissione televisiva «Vzgliad», mentre un giornalista finlandese è stato violentemente colpito col calcio del fucile da uno degli assalitori. Che cosa è avvenuto in seguito è ancora in gran parte da ricostruire. Nell'edificio ormai in mano al commando è cominciata una convulsa trattativa tra il vice-ministro degl'interni lettone Indrikovs - di fatto in ostaggio - e gli Omon. Nel frattempo la televisione locale - erano già le 22 - invitava la popolazione a non uscire di casa e il comando repubblicano dell'autodifesa dava ordine ai suoi volontati di accorrere a Riga «in uniforme e in pieno assetto di combattimento». Gorbunov e il premier Ivars Godmanis telefonavano a Mosca, al ministro degl'interni dell'Urss, Boris Pugo, esigendo l'immediata cessazione delle ostilità da parte dei «berretti neri». Il capo del gruppo parlamentare del Fronte Popolare, Janis Dinevics, riusciva invece a mettersi in contatto con il ministro della Difesa, maresciallo Jazov. Per sentirsi rispondere che l'esercito non era implicato nella vicenda e che la questione sarebbe stata esaminata dal Soviet Supremo dell'Urss. Per oltre tre ore la situazione è rimasta del tutto incerta. Infine gli Omon si sono ritirati - senza perdite portandosi dietro, in stato d'arresto, un colonnello e 8 miliziani delle forze repubblicane, e lasciando libero il vice-ministro degl'Interni. Avevo - con molti colleghi - lasciato Riga, intersecata da barricate di mezzi pesanti ma ancora relativamente tranquilla, per recarmi a Vilnius dove la situazione appariva più tesa. Vi sono tornato ieri di corsa, con mezzi di fortuna, per trovare una città in stato di choc e sul piede di guerra. Le barricate che circondano il parlamento sono ora alti e spessi muri di cemento armato, per attraversare i quali occorre mostrare ripetutamente i documenti. I carri armati possono forse conquistare il palazzo del governo, più esposto. Ma non potrebbero avvicinarsi nelle strette vie sbarrate della città vecchia. Solo elicotteri e «teste di cuoio» potrebbero tentare un'offensiva del genere. Ma sarebbe davvero una carneficina. Migliaia di attivisti del Fronte presidiano ogni vicolo, ogni angolo. I fucili non si vedono ma ci sono. E i poliziotti locali, vigilano in giubbotto antiproiettile e mitragliette in perfetta efficienza Ma si è già passato il confine dell'autodifesa civile. Il parlamento, riunitosi ieri mattina (presenti 113 deputati), ha votato un decreto che, di fatto, istituisce l'esercito repubblicano. Il gesto di conciliazione del 15 gennaio - con cui era stata sospesa la legge che tagliava viveri e assistenza all'esercito sovieti- II presidente lettone Gorbunov co - è già travolto da questi nuovi morti. La polemica divampa. Ieri il primo segretario del partito comunista, Albert Rubiks, ha convocato i giornalisti per una rovente conferenza stampa in cui è stata diffusa la dichiarazione della deputati comunisti che difende l'operato degli Omon e accusa i miliziani del governo di Riga di aver preparato un'imboscata al distaccamento dei «berretti neri». Secondo la versione di Rubiks la moglie di uno degli Omon sarebbe stata aggredita e minacciata da attivisti nazionalisti e il distaccamento delle truppe speciali si sarebbe diretto alla sede del Ministero degli Interni per «negoziare». L'episodio è stato in parte confermato ieri anche dal procuratore generale lituano, Janis Krashtins, che ha promesso la punizione dei colpevoli. Ma sembra che gli Omon avessero organizzato una spedizione punitiva piuttosto che un negoziato. E, nella conferenza stampa di Krashtins è emersa una circostanza inquietante: i «berretti neri» sarebbero stati visti all'interno della lussuosa sede del Comitato centrale del partito comunista. Rubiks - che non nasconde più di essere uno dei membri del «Comitato sociale di salvezza» - ha ribadito la sua piattaforma: scioglimento del parlamento, nuove elezioni, scelta socialista e firma del patto dell'Unione con l'Urss. Ma non ha nascosto che il «Comitato» è pronto a usare tutti i mezzi per ottenere lo scopo. E ha lasciato nel vago i rapporti assai ambigui che esistono tra il pc e le bande di terroristi che sparano coprendosi con la divisa dell'esercito sovietico. Il presidente lettone Gorbunov arriverà a Mosca oggi per incontrare Gorbaciov. Nel suo ordine del giorno c'è la ricerca di una strada per normalizzare la situazione. Ma in quello di Gorbaciov c'è probabilmente, il regime presidenziale in Lettonia e Lituania. Giulietta Chiesa LA IN EDICOLA