Jemolo l'anticonformista di Pier Franco Quaglieni

Jemolo l'anticonformista Nasceva cent'anni fa: giornalista, uomo di legge e storico Jemolo l'anticonformista // maestro che credeva nella ragione SASCEVA cent'anni fa a Roma, il 17 gennaio 1891, Arturo Carlo Jemolo, giurista, storico, scrittore e giornalista, la cui opera, iniziata nel 1911, riguarda i diversi campi del diritto, della storia religiosa, della storia contemporanea e della politica. Morto a novant'anni, Jemolo venne definito da Luigi Firpo un «testimone austero e umano al tempo stesso di un lunghissimo arco della nostra vita civile, religiosa, politica». Anche se poteva sembrare «l'uomo di un altro tempo, di un'altra Italia (...) egli fu sensibilissimo ai problemi del presente, osservatore lucido dei fenomeni politici, sociali, di costume, in un Paese che mutava troppo in fretta...». In una indimenticabile seruta dell'autunno 1989 con il presidente Cossiga, Bobbio e Galante Garrone che compivano 80 anni, si parlò a lungo di Jemolo: il Capo dello Stato dimostrò una grande considerazione per quello che definì «un maestro del diritto ed un cattolico liberale» e raccontò dei suoi rapporti personali con lui. Cossiga diede quella sera di Jemolo la più penetrante delle definizioni. Allievo di Francesco Ruffini all'Università di Torino, egli infatti sentì profonda l'esigenza della ferma tutela della libertà religiosa e della laicità dello Stato, giungendo ad affermare la necessità di superare, fin dal 1944, il Concordato, per garantire una vera pace religiosa. Su Jemolo cattolico «non senza brividi e trasalimenti giansenisti», ma «laico credente nella ragione» ha scritto pagine penetranti Giovanni Spadolini nel libro Italia di minoranza, in cui egli viene accomunato, per l'eredità risorgimentale e la tradizione antifascista, a uomini come Nello Rosselli, Ernesto Buonaiuti, l'eretico di cui Jemolo rimase amico, e Luigi Salvatorelli, anche lui storico e giornalista. In un'epoca di confusione come l'attuale, in cui di fronte all'intraprendenza di un Papa che, come annotò Jemolo, «non ha dubbi», i laici appaiono remissivi e quasi inesistenti, andrebbe riletto il libro Chiesa e Stato in Italia - Dalla unificazione a Giovanni XXIII in cui Jemolo riper- corre con lo scrupolo dello storico le alterne vicende del conflitto fra Stato e Chiesa, rivelandosi il più lucido sostenitore del separatismo cavouriano. Dinnanzi all'odierna crisi delle ideologie e dei partiti che invadono ogni settore con sempre maggiore arroganza, si dimostrò profetica l'insofferenza di Jemolo verso la degenerazione partitocratica. Oggi molti suoi articoli aiuterebbero a capire il malessere profondo che ha colpito la democrazia in Italia. Impegnato sul terreno civile, volle sempre rimanere appartato, mantenendo quel distacco critico indispensabile all'uomo di cultura. Nella sua lunga vita ci fu un'unica eccezione: nelle elezioni politiche del '58 si candidò (e non fu eletto) per l'alleanza laica, nata su iniziativa di Pannunzio e de II Mondo, di cui fu collaboratore autorevole. Jemolo e Pannunzio: due personalità tanto diverse che trovarono molti punti di feconda intesa. Se si scorrono gli indici de II Mondo, si può ripercorrere una collaborazione iniziata nel '52 e continuata fino al '64. Gli articoli non sono moltissimi, ma toccano tutti punti nodali: la libertà religiosa, i comunisti e la libertà di stampa, il settarismo, il dibattito sulla terza forza, il liberismo e il liberalismo (in dialogo con Ernesto Rossi), le autonomie locali ed i prefetti, l'Europa, la magistratura, la coscienza laica, il tema delicatissimo dei rapporti fra magistrati e politica. Due elementi collegavano Jemolo a Pannunzio: la tradizione risorgimentale che ambedue sentivano come patrimonio irrinunciabile ed il liberismo einaudiano: Jemolo era stato allievo anche di Einaudi all'ateneo torinese e di lui conservò un'altissima stima. Giustamente Spadolini ha scritto che «fra gli uomini di Stato del dopoguerra, forse il prediletto da Jemolo fu Einaudi per la sobrietà piemontese e per quella secchezza di stile, da servitore dello Stato». Per altro, fu lo stesso Jemolo a dichiarare in una sua nota che non votò mai per la democrazia cristiana. Una volta si definì un «malpensante». Il giurista e storico Alessandro Galante Garrone, che con lui mantenne una intensa frequentazione e una profonda amicizia, ha però osservato a questo proposito: «Jemolo sembra quasi compiacersi di questa sua definizione. Diciamo piuttosto un anticonformista, un uomo che non si lascia prendere dagli entusiasmi o dalle paure collettive, che scopre e denuncia i punti deboli degli amici e cerca di capire le ragioni degli avversari, che non si adagia mai nel sentire dei più ed ha il gusto caparbio di andare controcorrente». In effetti questa è la definizione più esatta di cosa significhi essere laico, cioè libero da pregiudizi, aperto al dialogo, geneticamente allergico ad ogni manicheismo, pur senza mai venir meno alle proprie convinzioni più profonde ed irrinunciabili. Pier Franco Quaglieni A. C. Jemolo colto in un atteggiamento caratteristico. Maestro del diritto, fu per la ferma tutela della libertà religiosa e della laicità dello Stato

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