I segreti di «Palinuro», fabbrica dei nocchieri di Vincenzo Tessandori

I segreti di «Palinuro», fabbrica dei nocchieri Il vascello sul quale si sono formati i sottufficiali italiani che attendono l'ora x sul Golfo I segreti di «Palinuro», fabbrica dei nocchieri Nell 'ultima guerra, quel viaggio maledetto /•N 11 dice, da sempre, che L ' l'architrave degli eserciti m siano i sottufficiali, vel J terani con esperienza I preziosa o giovani con vocazioni sincere. Sono loro il meccanismo più sicuro anche sulle navi grigie, che ora attendono nel Golfo la decisione sull'ora «X» o che incrociano al largo della costa somala, pronte a imbarcare chi fugge dall'inferno del «Corno d'Africa». Vengono «fabbricati» nella scuola di Taranto e «rodati» sulla Palinuro, una nave a vela di rara bellezza. Palinuro è un nome che già altri battelli hanno portato nella nostra Marina. Durante l'ultima guerra mondiale, su quel veliero alcuni allievi dell'Accademia lasciarono Venezia, dove l'istituto era stato trasferito da Livorno, per Brindisi. Col Palinuro viaggiavano altre navi a vela e un transatlantico. Un esodo che uno dei protagonisti ora ricorda. Le prue tagliavano silenziose il mare, quella notte le navi avanzavano a luci spente, gli occhi di tutti erano fissi sull'orizzonte. All'alba la foschia diventò un nebbione compatto. Ma durò poco. «In testa il Colombo, poi il gemello Vespucci, infine il Palinuro, piccolo, elegante, lo scafo chiaro». Flavio Porreca ha 64 anni ed è ordinario di Fisica all'Università di Napoli. Letta su Stampa Sera la storia della nave scuola sulla quale fan pratica di mare gli allievi sottufficiali della Marina Militare e che porta anch'essa il nome di Palinuro, ha rivissuto quel viaggio maledetto. Dall'alto Adriatico in Puglia, dov'era fuggita la famiglia reale. Mercoledì 8 settembre 1943 pareva un giorno anonimo, uguale a molti che l'avevano preceduto. Annota Porreca nel diario: «Da R.N. Colombo alla fonda nel porto di Trieste. Ancora un allarme aereo. Sono circa le 13. Dopo pranzo leggo dai giornali che nell'ultima incursione su Napoli sono cadute bombe anche a via Tasso, la più bella strada panoramica della città legata a tutta la mia fanciullezza. Mi auguro di poter presto ricevere rassicuranti notizie sulla sorte dei miei familiari, dei miei conoscenti». A tutto motore e con paura Anche quando vien dato l'ordine di salpare tutti ignorano che l'Italia abbia detto basta alla guerra, ma «si ha la sensazione di una fuga e quindi non si pensa certamente alle lente manovre alle vele. A tutto motore costeggiamo la riva istriana a Sud di Trieste. Ben presto siamo raggiunti e sorpassati dalle motonavi Saturnia e Vulcania». Ore cariche d'incertezza, dubbi, paure. «Perché siamo partiti? Ancora non ci è data una risposta. Sono di vedetta sulla sinistra, a poppavia, e sento che si accrescono responsabilità e preoccupazioni per ogni servizio, ma specialmente per quello di vedetta, man mano che scende la sera, coi suoi incubi sul mare ricco di insidie». Erano, ricorda il professore, circa seicento allievi: «Trecento del primo corso, altrettanti quelli del secondo. Un anno più tardi molti di noi lasciarono. Io tornai a Napoli, m'iscrissi all'Università, altri presero parte alla guerra di Liberazione e, purtroppo, qualcuno morì». La rotta è stata scelta per sfuggire ai battelli della Kriegsmarine e agli aerei della Luftwaffe lanciati alla ricerca di una rappresaglia. Prua su Pola e Lussimpiccolo. A sera anche sul veliero conoscono la verità. «Alle 20 dalla cabina del radiotelegrafista vedo improvvisamente uscire in fretta qualcuno. In un baleno tutti sapevano: l'Italia aveva chiesto e ottenuto l'armistizio. Qualcuno applaude, pazzo di gioia, poi un silenzio glaciale, più convincente. Domina una impressione vivissima e incontenibile, che si riflette sul volto di tutti, muti e nervosi». Per saperne di più, dopo quella prima, stralunante notizia, si fa quello che, fino a un'ora prima veniva considerato delitto grave ma che moltissimi commettevano. «Da Radio Londra aprrendiamo dettagli sulle condizioni di armistizio: si tratta praticamente di una resa senza condizioni, che chiunque sarebbe stato capace di sottocrivere, anche senza Badoglio». A Pola, dove son giunte al tramonto, le navi scuola rimangono alla fonda. Dal diario, 9 settembre: «Prevenendo l'arrivo dei tedeschi alle 11 si salpa. E' con noi anche il Palinuro. Procediamo in linea di fila verso Sud-Est, abbastanza lontano dalla costa istriana. Alle 23 di questa seconda notte di una campagna navale fuori programma sempre più drammatica, il Palinuro accusa una grave avaria alle macchine, certamente provate più del possibile per stare dietro a noi e lo riduce a un peso morto per la nostra formazione. Per ora, e sono le 24, viene preso a rimorchio dal Vespucci e la navigazione riprende verso Sud-Est, per portarci nella zona mediana dell'Adriatico, ma la velocità si riduce pericolosamente». Varato quasi mezzo secolo prima, nel 1896, in un cantiere slavo e battezzato Dalmata, il Palinuro aveva poi mutato nome in Vila Velebita. Vele e motore, 260 tonnellate di stazza. Ora agonizza: seguitare a trainarlo significa correre troppi rischi. A zig zag contro i siluri Anche per il Saturnia, allontanatosi da Venezia con parte del personale dell'Accademia, è un viaggio d'angoscia. Qualcuno ricorda come il transatlantico navigasse a zig zag per evitare i siluri. A mezzo Adriatico è intercettato dal sommergibile polacco Sokol. Può proseguire ma nella notte fra 1' 11 e il 12 s'incaglierà davanti al faro di San Cataldo di Lecce. Senza scorte la flotta dei velieri, una flotta d'altri tempi, avanza nella bruma. Appena la brezza muove l'aria i comandanti ordinano di sbrogliare le vele perché il rombo dei motori crea rischi. Ma il vento scarso non gonfia la velatura. Dal diario, 10 settembre: «Sono al timone, rotta 129°. Oltrepassiamo il parallelo di Ancona. Verso le 12 il Palinuro ci lascia, non potendo continuare così malamente e pericolosamente, per tutti, la navigazione: cercherà di raggiungere un porto della costa italiana con i propri mezzi». Il veliero scompare nella foschia. «Non lo vidi più». Il destino si era compiuto, la sorte non aveva riservato al Palinuro una navigazione «faventibus ventis», come recita il motto della navevE annota nel diario l'ammiraglio Erminio Pintanida, citato nel volume Nel regno del Sud, curato da Mirella Ronchetti Vitaloni: «La R.N. Palinuro nell'attraversata Lussimpiccolo-Brindisi ha dovuto, per causa di forza maggiore, poggiare ad Ortona dove è stata inutilizzata (sic) al sopraggiungere delle forse tedesche». Colombo e Vespucci proseguono verso Brindisi dove arriveranno martedì 14. «Temevamo d'imbatterci in sommergibili tedeschi. E uno lo incontrammo. Annotai: "Alle 6,45 ci sfila di controbordo". Emergeva soltanto la torretta, puntava verso Nord, su Trieste o Fiume. Non avevamo potuto far niente per evitarlo e ora era lì, che ci passava accanto. Ma forse rientrava da una missione in Mediterraneo o in Atlantico dopo esser stato fuori mesi. "Fantasma senza un segno visibile di vita, forse non saprà ancora nulla dell'armistizio". 0 forse ai marinai non gliene importava nulla. Era andata bene». Oppure il comandante non aveva ancora ricevuto ordini. Fu anche l'ultima crociera del Colombo. Il 3 marzo 1949, a Odessa, verrà ceduto all'Urss in conto riparazioni spese di guerra: trasformato in carboniera e umiliato, affonderà nel Volga, dopo un furioso incendio. Vincenzo Tessandori «Palinuro», nave scuola della Marina Militare, in navigazione

Persone citate: Badoglio, Erminio Pintanida, Flavio Porreca, Letta, Mirella Ronchetti Vitaloni, Porreca, Vespucci