Venti di battaglia con frecce e armonia di Daniela Daniele

Venti di battaglia con frecce e armonia Uno sport consigliato dallo psicoterapeuta: crea equilibrio fra corpo e anima Venti di battaglia con frecce e armonia // ritomo del tiro con l'arco L A terza guerra mondiale si combatterà con arco e frecce. Nota frase che mette i brividi in giornate come queste (e che ne richiama un'altra, scritta da Einstein nel 1936: «Cari posteri, se non sarete diventati più giusti, più pacifici e, in generale, più razionali, beh, allora, che il diavolo vi porti!»). Ma, al di là delle profezie, sta il fatto che in tutto il mondo occidentale - in oriente non s'era mai spento - è esploso l'interesse, senza distinzione di sesso, per il tiro con l'arco. L'ecologia ha dato forte impulso al fenomeno. E anche i venti di guerra hanno spinto non pochi sulla strada, o meglio i sentieri, del survival. Le scuole e le associazioni si sono moltiplicate. Tra i discendenti di Robin Hood c'è anche qualche cacciatore stanco d'imbracciare il fucile e in cerca di diverse e più antiche emozioni: la caccia silenziosa, la preda colta senza l'aiuto delle armi sofisticate che sempre meno lasciano all'abilità dell'uomo. Ma anche per chi non si accontenta di ammirare il volo elegante di un pennuto e desidera porvi fine con una freccia, la tecnica non ha risparmiato le proprie grazie: dall'America arrivano i «compound» dell'ultima generazione. Arco tecnologico, facile da usare e assai preciso, il compound è caratterizzato da un sistema di cavi ed eccentrici che consentono di sviluppare una potenza maggiore con uno sforzo assai minore. Oggetto malvisto dai puri della disciplina che preferiscono affidare il risultato a quella fusione misteriosa che si crea, nel momento in cui il dardo si stacca dalla corda, tra lo spirito e il corpo dell'arcie¬ re. Quell'unione che fa dire ai maestri giapponesi che «la freccia si tira da sola» e che induceva gli arcieri di Yabusame, nel tredicesimo secolo, a colpire tre bersagli stando in groppa ad un cavallo lanciato al galoppo e, in caso di fallimento, a darsi la morte. Occidente e Oriente si fronteggiano, di continuo, così nello spessore di eventi macroscopici come nelle sfumature di abitudini all'apparenza secondarie. Eppure - secondo quanto affermano i cultori della visione globale dell'uomo, e come insegna l'indiana Scienza della Vita, l'Ayurveda, che non cura mai soltanto il fisico dimenticando l'anima - il tiro con l'arco è un rito che affonda le radici non soltanto nella preistoria e nella storia, ma negli archetipi della parte più sottile del nostro inconscio. Piero Parietti, psicoterapeuta della Società italiana di Medicina Psicosomatica, mette in risalto «la funzione dell'arco che è, principalmente, quella di porre in equilibrio le varie componenti della persona, cercando, nel rilassamento che precede la ricerca del bersaglio, un'armonia dentro se stessi che passa attra¬ verso il coordinamento delle attività motorie». Il respiro viene chiamato in causa in modo fondamentale: «L'inspirazione nel momento della tensione, e l'apnea nel mantenimento della posizione, rappresentano bene lo sforzo della ricerca. E l'espirazione, allo scoccare della freccia, è il raggiungimento dell'obiettivo. La soddisfazione». Ci sono, poi, due modi di essere arcieri. C'è chi, una volta centrato il bersaglio, cerca di superare se stesso, incoccando di continuo frecce e facendone una questione numerica e chi, invece, si sente appagato da un tiro, anche uno solo, che è stato però il risultato dell'assonanza cercata con tanta concentrazione. «Nel tiro con l'arco - conclude Parietti -, per realizzare l'unità psicosomatica, è importante tutto quello che si fa per raggiungere la meta, non tanto la prestazione finale. E si potrebbe addirittura ipotizzare l'uso di questa tecnica come terapia che aggiunga anche il ricorso all'immaginazione». Ecco che il tiro con l'arco si trasforma allora in una vicenda in cui l'arciere racconta se stesso, si cerca e, infine, si trova. E, conoscendosi, impaia a gestirsi. Heugen Herrigel, nel suo «Lo Zen e il tiro con l'arco», dopo un apprendistato di cinque anni in Giappone, scrive che «il tiratore mira a se stesso», diventando così minatore e bersaglio. E il maestro che lo congeda, nell'offrirgli in dono il suo arco migliore, gli dice: «Quando tirerà con questo arco sentirà che la maestria del mastro è presente. Ma non lo dia in mano a curiosi. E quando ne sarà padrone, non lo conservi per ricordo. Lo distrugga, che non ne resti che un mucchietto di cenere!». Daniela Daniele L'arco, una fra le più antiche arti del Giappone: gli arcieri di Yabusame, nel tredicesimo secolo, colpivano tre bersagli stando in groppa a un cavallo al galoppo e in caso di fallimento si davano la morte

Persone citate: Einstein, Herrigel, Parietti, Piero Parietti, Robin Hood

Luoghi citati: America, Giappone, Medicina