L'amara attesa del guerriero ferito

L'amara attesa del guerriero ferito STATI UNBTB L'amara attesa del guerriero ferito I BOLLETTINI di guerra segnano ripiegamenti . pesanti su tutti i fronti. Mentre si contano le ore per l'approssimarsi delle battaglie vere nel Golfo, gli Stati Uniti fanno i conti sullo stato di salute della loro economia e gli auspici che ne traggono sono scoraggianti, L'America che si appresta a combattere contro Saddam Hussein ha i sintomi di una malattia che minaccia di diventare grave. Lo ha ammesso Bush, lo confermano tutti i dati. Gli ultimi riguardano il deficit federale: le previsioni di un mese fa, che parlavano di un indebitamento di 250 miliardi di dollari, sono salite ora a 300-325 miliardi. Senza contare le spese dello «Scudo nel deserto», che nel migliore dei casi (cioè se la guerra non scoppierà) dovrebbero ammontare a circa 30 miliardi di dollari. C'è già chi ipotizza un deficit record di 400 miliardi di dollari per il 1991. * Sono cifre allarmanti, ma alle quali occorre aggiungerne altre che fanno rabbrividire. Il tentativo di salvataggio delle casse di risparmio, ad esempio, si sta rivelando un pozzo senza fondo. L'ultima stima parla di 370 miliardi di dollari e non esclude che si possa arrivare addirittura a 500 se la recessione avrà un andamento pesante. Il crack delle banche è una diretta conseguenza del crollo del mercato immobiliare, dove le vendite sono calate del 2,5 per cento e dove la costruzione di nuove abitazioni ha segnato ribassi per dieci mesi consecutivi. La crisi del settore immobiliare cammina di pari passo con quelle del settore finanziario e di quello automobilistico. Wall Street ha chiuso il '90 con una perdita dell'8,9 per cento. Le vendite di auto sono scese del 19 per cento, raggiungendo quindi i livelli minimi dal 1982. Più in generale, i dati di chiusura dell'anno dicono che i fallimenti aziendali sono aumentati del 15 per cento, che il prodotto nazionale lordo nell'ultimo mese è diminuito dell'1,3 per cento, un dato inquietante tanto più se confrontato con il previsto aumento del Pnl, e che l'indice dei prezzi al consumo è salito al 6 per cento, il tasso annuale più alto dal 1981. Le conseguenze più immediate si misurano con il tasso di disoccupazione, che sfiora ormai anch'esso il 6 per cento. Nella loro aridità queste cifre illustrano abbastanza bene la tendenza attuale. Il fatto più preoccupante, però, è che si innestano su una situazione generale già di per sè negativa. Secondo l'ultimo rapporto dell'Ufficio americano di statistica, reso pubblico in dicembre e relativo all'estate scorsa, i poveri negli Stati Uniti erano 31 milioni e mezzo, pari al 12,8 per cento della popolazione complessiva. Di quanto siano ulteriormente aumentati in questi ultimi mesi, ancora non si sa, ma lo stesso Ufficio di statistica paventa «livelli di del Tesoro povertà mai visti da un quarto di secolo a questa parte». In base a dati forzatamente incompleti, i senzatetto, cioè le persone costrette a vivere per strada o in auto, sono almeno tre milioni. Il «National Center for Health Statistics» ha reso pubblici solo adesso i dati relativi al 1988 per quanto riguarda l'aspettativa media di vita negli Stati Uniti. Per la prima volta in questo secolo si è registrata un'inversione di tendenza, con una diminuzione da 75 a 74,9 anni di vita rispetto al 1987. E' questo, soprattutto, il risultato di una mortalità infantile che in alcune zone particolarmente disastrate da un punto di vista sociale, come ad esempio ad Harlem, raggiunge addirittura punte del 23 per mille. Come in Malaysia. Che gli Stati Uniti abbiano sempre avuto sacche di povertà e di miseria quasi «fisiologiche», è cosa risaputa. Queste disuguaglianze non hanno mai inficiato, finora, il ruolo e l'immagine di grande potenza dell'America, un Paese dalle risorse tanto grandi da riuscire a sopportare anche piaghe interne così vaste. Il problema è che nell'ultimo decennio (quello «reaganiano») le disuguaglianze sociali si sono fatte ancora più forti e strati sempre più vasti di popolazione sono stati attratti verso il fondo della scala sociale creando un clima diffuso di malessere. Ad aumentare il pessimismo, nei giorni scorsi sono giunte notizie che segnano l'incrinatura di altri bastioni di quella che era considerata l'immagine dell'«America rampante». La Pan Am, una delle più gloriose compagnie aeree Usa, ha chiesto l'amministrazione controllata per sfuggire al tracollo. La Paramount, uno degli ultimi «gioielli» rimasti a Hollywood, ha offerto la propria divisione cinematografica alla giapponese Pioneer. Brutte notizie arrivano anche dalle università: le specializzazioni scientifiche e tecnologiche, che da sempre sono l'orgoglio del sistema scolastico americano, sono ormai frequentate in stragrande maggioranza da studenti stranieri che alla fine dei corsi tornano a casa. I famosi laboratori di ricerca stanno insomma fabbricando scienziati per Paesi stranieri, mentre gli studenti americani scelgono facoltà come Legge e Medicina, che garantiscono sbocchi professionali più immediati. E' un panorama scoraggiante. Gli Stati Uniti hanno la forza e le capacità per un colpo d'ala che li rilanci verso l'alto. Nessuno, però, sottovaluta l'incognita del Golfo. Non c'è mai un momento «giusto» per incominciare una guerra, ma l'America che si sta avviando a combattere contro Saddam Hussein è già coperta di ferite. Dipende da come andrà il conflitto. Dalle ferite si può guarire. Difficilmente, però, una guerra è la medicina giusta. Silvano Costanzo IZO^j Brady, ministro del Tesoro

Persone citate: Bush, Harlem, Legge, Medicina, Saddam Hussein, Silvano Costanzo

Luoghi citati: America, Hollywood, Stati Uniti, Usa