Al confine la paura di morire di Mimmo Candito

Al confine la paura di morire Tank e soldati Usa ammassati a Al Khafji, paese di pescatori avamposto della guerra Al confine la paura di morire Dall'altra parte mine e trincee degli iracheni AL KHAFJI DAL NOSTRO INVIATO Questo Al Khafji è il posto da cui domani notte partirà la guerra. E' una minuscola città che si stende lungo il Golfo, un vecchio nome di pescatori che non troverete mai su nessuna carta geografica. Giù, verso Sud, al di là della moschea col minareto verde stanno acquattati gli americani, pronti a muovere all'attacco con i loro sergenti che hanno già il fischietto in bocca e i ragazzi che se la fanno sotto dalla paura: sono un'infinità di uomini e cannoni e tank ammassati dentro le sabbie mute dei deserti sauditi, e contano i giri delle lancette con la voglia ormai di finirla una volta per tutte. Dall'altra parte della frontiera, che poi è la linea sulla quale finisce Al Khafji, stanno gli iracheni, un milione o poco meno, con cinquemila carri armati, le trincee fonde per farci precipitare il nemico, e tutte le mine che hanno piazzato sotto terra come un disperato tappeto di Allah, che se un infedele ci mette su il piede finisce dritto all'inferno. Il posto di frontiera, qui, è vuoto. Proprio vuoto. Non c'è nessuno, nemmeno un povero cane. Piove a dirotto, sono due giorni che piove a dirotto e pare che anche il cielo ora si sia messo di mezzo per deprimerci più ancora di quanto lo facciano tutte le armi che girano da que¬ ste parti. Col binocolo, gli iracheni li si può anche vedere laggiù, lontani, sono piccole figure immobili in mezzo alla nebbia dell'acqua che viene fitta. Ma anche in Kuwait non dev'essere molto allegra, anche loro lo sanno bene che ci stiamo avvicinando al precipizio e nessuno ha la voglia di morire. I giornalisti hanno firmato .con il Comando americano un impegno molto severo a non dare alcuna informazione che possa aiutare «il nemico». Quel poco non riguarda né il percorso fatto, né le armi e gli uomini incontrati lungo la strada, né la disposizione delle truppe, la dislocazione delle batterie, i sistemi di comunicazione. Che resta? Diciamo che ancora ci sono colonne infinite di soldati e di armi che viaggiano verso Nord, ma che queste colonne sono assai meno, e assai meno folte, di quelle che si vedevano sulle stesse strade uno o due mesi fa. E soprattutto, che appare ormai ridotto al minimo il trasferimento delle strutture logistiche. Il senso di queste osservazioni è che gli americani lo schieramento della loro forza lo hanno ormai completato veramente, e che la preparazione per un attacco è praticamente conclusa. Senza poi tradire l'impegno firmato con lo staff di Schwarzkopf, si può aggiungere anche che questo schieramento è autenticamente impressionante, che non rende possibile alcuna comparazione con le esperienze di teatri di guerra che uno possa aver fatto nel passato. Qui, quanto a tecnologia militare che si incontra lungo la strada o dentro il deserto, carri armati, cannoni, i missili a batteria col muso puntato al cielo, e tutte le diavolerie e i marchingegni inventati per ammazzare prima e meglio, pare un museo di Arthur Clarke, anche se poi, per fortuna, gli uomini che stanno dentro e sotto tutte queste macchine sono gli stessi uomini di sempre. Da quello che si vede lungo il viaggio, bisognerebbe pensare che Saddam è davvero un pazzo a volercisi mettere contro. Naturalmente, la storia è assai più complicata e Saddam non è affatto pazzo. Però resta che se le guerre le si facessero soltanto pesando le armi e la preparazione dei soldati, allora gli americani non solo l'hanno già vinta ma non avranno nemmeno un morto. Invece poi i morti ci saranno ugualmente, e tanti, se la guerra domani notte arriverà. Al Khafji poi è come una città morta. Le strade sono abitate solo dalle auto della polizia, che guidano lente, silenziose, controllando null'altro che il vuoto. Sui marciapiedi non c'è nessuno, qualche barracano che sta sotto la pioggia a lasciarsi bagnare lo si vede soltanto dove ci sono 5-6 telefoni pubblici appesi al muro; i poveretti fanno una coda paziente, per comunicare chissà dove notizie di speranza e di rassegnazione. Sulla sabbia, tra la strada e il mare, un bimbino gioca felice, incurante della pioggia. Ma non parla né inglese né francese, e ha paura e scappa via verso il nulla. Il ristorante del Beach Hotel è desolatamente vuoto. Ma è il solo posto aperto, e non c'è nes¬ suno. I camerieri, un indiano e un turco, guardano a braccia incrociate i tavoli senza clienti. «Un tempo da qui passava un sacco di gente, soprattutto kuwaitiani che andavano in vacanza verso Sud; ora sono settimane che non si vede più anima viva». Ieri è passata una famiglia di profughi, hanno bevuto solo un consommé e poi sono scappati via. «Avevano facce che facevano pietà». La vita in Kuwait dev'essere scomoda, per chi vuole continuare a credere di essere un kuwaitiano e non un nuovo suddito di Saddam. La gente di Al Kafhji è scappata. Nessuno vuole vedere la guerra che gli passa addosso, e per la guerra questa è una strada proprio obbligata: se uno vuole andare in Kuwait, non ha tante alternative. Una grossa raffineria, laggiù, sull'acqua, sventola in alto il suo pennacchio di fuoco. «Ecco, la gente dice che gli iracheni la bombarderanno sicuramente, e che poi succederà il finimondo». Allora sono scappati tutti, o quasi. Il ristorante è pulito, ha un buon pesce, e i camerieri sono gentili anche se tristi. Ti guardano con l'occhio umido. Se gli chiedi perché non sono scappati anche loro, si tirano dentro le spalle e fanno un sorriso che pare un pianto. Anche un portiere ha un sorriso di toccante tristezza. E' indiano anche lui, allampanato, con due guance che quasi stanno dentro i denti. «Le camere sono vuote, chi dovrebbe venire qui?». Eppure nove stanze sono affittate al governo degli Stati Uniti, ci vengono i soldati a farsi una doccia. «Ma stanno qui solo un'ora, e poi filano via col fucile e la faccia rasataci fresco. La sala del ristorante ha una vetrata sul Golfo, che sta grigio e nero sotto le raffiche del lungo temporale. Nell'acj qua due bellissimi delfini gio| cano a pochi passi dalla sabbia l della riva. Nel vuoto immobile del paesaggio bagnato pare un segno di vita, di speranza, almeno. Ci resta un giorno soltanto per sapere se è vero. Mimmo Candito Un soldato americano con la sua mitragliatrice fotografato ieri nel deserto saudita ai confini con il Kuwait

Persone citate: Arthur Clarke, Beach, Schwarzkopf

Luoghi citati: Kuwait, Stati Uniti, Usa