Si sfascia la «squadra» dei riformisti

Si sfascia la «squadra» dei riformisti Si sfascia la «squadra» dei riformisti MOSCA. Ad uscire dalla squadra gorbacioviana non sono stati solo Petrakov e Aleksandr Jakovlev: secondo l'agenzia «Interfax» infatti escono di scena altri cinque alti dirigenti. Si tratta dell'economista riformatore Stanislav Shatalin, del consigliere scientifico Jurij Osipjan, del vicepremier Stepan Sitarjan e dei moderati Leonid Abalkin (anch'egli vicepremicr) e Evghenij Primakov, consigliere di politica estera. La notizia, nel momento in cui i tecnocrati dell'industria militare rafforzano le proprie posizioni nel governo, testimonia la violenza della lotta politica mentre Gorbaciov sembra aver decisamente virato a destra. I tragici eventi in Lituania hanno fatto da catalizzatore dello scontro. Oggi si terrà a Mosca una manifestazione di radicali per protestare contro l'intervento militare. A Vilnius ieri la situazione era comunque calma. Il leader russo Boris Eltsin, la bandiera dell'opposizione radicale, ha anticipato la convocazione del Parlamento repubblicano: si riunirà domani per discutere il grave momento politico, mentre l'Unione dei collettivi di lavoro di Mosca ha chiesto le dimissioni di Gorbaciov. La destra prosegue intanto la sua offensiva: ieri duecento persone hanno partecipato ad un comizio convocato da alcune organizzazioni reazionarie, ed un gruppo di scrittori conservatori russi ha pubblicato una lettera aperta contro Eltsin, le cui posizioni «conducono alla guerra civile». conservatori sono un'altra cosa: dietro le loro spalle c'è il settore industriale-militare, ci sono i dirigenti del settore agrario. Loro hanno una forza reale, materiale. Gorbaciov, allora, sarebbe stato costretto alla svolta? Penso che su di lui sia stata esercitata una forte pressione e che lui abbia scelto un'altra linea di comportamento. Adesso lei parla di «scelta». Vuole dire che è Gorbaciov ad avere deciso il colpo di freno alla perestrojka? Per quanto conosco Gorbaciov, sono convinto della sua sincera adesione alla linea democratica. Ma la situazione è veramente molto complicata. Ci sono stati sbagli anche da parte dei progressisti che non hanno saputo approfittare nel modo opportuno dei frutti della democratizzazione. Se il Presidente dice vi do la liberà e in risposta ci sono pretese territoriali e spinte nazionaliste, il gioco dei conservatori diventa più facile. Dopo la notte di sangue in Lituania, dopo le accuse che Eltsin e Gorbaciov si sono scambiate, lei crede che un margine di com¬ tunno scorso. Le pressioni sul Presidente sono partite dalle forze conservatrici: prima di tutto dal settore industrial-militare e dai cosiddetti latifondisti rossi, i presidenti dei kolkoz e dei sovkoz, che sono contro la riforma economica in agricoltura. E poi si è accentuata, si è sempre più accentuata. Ma nelle sue dimissioni ci sono anche ragioni di politica generale: lei ha firmato l'appello comparso su Moskowskie Novosti sul «crimine di regime» commesso a Vilnius? Per quanto riguarda gli avvenimenti di Vilnius non è necessario essere un politico per capire che l'uso dell'esercito contro la popolazione è inammissibile e la decisione dell'uso della forza è illegale. Ecco perché ho firmato l'appello senza esitare. Anzi, ho anche partecipato alla redazione del testo. Shevardnadze, Bakatin, Yakovlev, lei... Che cosa resta del gruppo riformatore che era attorno a Gorbaciov? Non resta più nulla. Nessuno. Devo dire che io ho preso la mia decisione senza parlare con gli altri che si sono già dimessi o che sono stati messi da parte. La vicenda di ognuno ha seguito una strada particolare. Vadim Bakatin, ministro dell'Interno, è stato licenziato. Aleksandr Yakovlev, Stanislav Shatalin, Evghenij Primakov si sono trovati fuori gioco dopo la liquidazione del Consiglio presidenziale. Eduard Shevardnadze si è dimesso dalla guida della politica estera. Ma, in fondo, i motivi sono uguali per tutti. I riformatori sono stati forzati a lasciare la «squadra», dunque. Ma chi entra al loro posto e chi preme su Gorbaciov? Le forze conservatrici, in un certo senso, hanno adottato la tattica dei democratici. Se ricordate, un elemento tattico dei democratici erano gli ultimatum a Gorbaciov: per fondare il blocco della sinistra, per organizzare una tavola rotonda con l'opposizione. Dalla fine di ottobre anche i conservatori sono ricorsi agli ultimatum. Il primo è partito dai colonnelli del gruppo Soyuz che hanno dato a Gorbaciov 30 giorni di tempo per cambiare linea. Poi si è mosso l'apparato del partito. Ma quando gli ultimatum venivano dai democratici, le minacce erano soltanto a parole. Gli ultimatum dei promesso esista ancora, o che Unione Sovietica sia alla vigilia di uno scontro frontale? Spero che, in qualche modo, possa vincere la ragione. Ma la situazione è davvero complessa. Credo che per prima cosa si debba disinnescare la miccia nel Baltico. Alla fine di questa miccia c'è una bomba potente. Quello che è successo a Vilnius si può definire un tentativo di colpo di Stato militare: secondo molte indicazioni, i paracadutisti hanno agito in base agli ordini di un organo illegittimo, di un sedicente consiglio della salvezza nazionale. Questo è inammissibile. Ma Gorbaciov in Parlamento ha avallato l'azione dei militari a Vilnius. Questo non mi è chiaro. Il 12 gennaio c'è stata la seduta del Consiglio federale e tutti si sono pronunciati per una soluzione politica. Su iniziativa di Gorbaciov è stata creata la commissione che è subito partita per la Lituania. Non capisco perché i responsabili militari non hanno dato l'ordine di sospendere ogni azione fino alla fine del lavoro di questa commissione. Secondo lei, quindi, un golpe militare c'è stato? 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