Il Vaticano giornali guerrafondai

L'Osservatore Romano: l'euforia ricorda gli anni di un regime che si riteneva superato L'Osservatore Romano: l'euforia ricorda gli anni di un regime che si riteneva superato Il Vaticano; giornali guerrafondai «Inneggiano al conflitto e oscurano la voce del Papa» r Quando Andreotti gioca con le parole CITTA' DEL VATICANO. I centralini del Vaticano sono stati intasati in questi giorni da centinaia di telefonate di persone che volevano chiedere al Papa di recarsi a Baghdad per fermare la macchina militare. Persone di ogni ceto e condizione, che si presentano in forma anonima o con nome e professione, uomini, donne, giovani e vecchi, perfino militari. Non di rado alle suore del centralino viene chiesto di poter parlare al Pontefice sulla pace, per averne conforto, perché le sue parole contro la guerra sembrano a tanta gente un punto di riferimento e di serenità. Nel mondo cattolico si intensificano le iniziative legate alle conseguenze della guerra. La Ca- PER LA PACE distruzione di nessuno, però non bisogna meravigliarsi dì quanto stanno facendo come nel caso dell'Intifada. E allora vuole che la gente mandi dei fiori ad Israele? Certamente quando loro maltrattano il popolo palestinese e indirettamente un po' tutti gli arabi, cosa dovranno aspettarsi»? Bidawid, che è noto per le sue posizioni filo-Saddam, non si sa quanto per convinzione personale e quanto per timore di quello che potrebbe succedere alla minoranza cristiana in Iraq, ha smentito che vi siano «defezioni e tradimenti: il popolo e l'esercito stanno tutti attorno al loro Presidente». Bidawid ha scritto a Bush, per scongiurarlo di finire la guerra, «che è di grandissimo pericolo per tutta la cristianità in Oriente. L'America e l'Europa - ha concluso - sarebbero responsabili se dovesse succedere qualcosa: perché i movimenti popolari non si possono arginare e controllare. Noi saremmo le vittime, mentre invece siamo operatori di pace: vogliamo la pane per tutti, arabi ed ebrei». E' un'opinione condivisa da un altro presule arabo, Mons. Hilarion Capucci, che è rientrato a Roma ieri da Amman. Il 16 gennaio, poche ore prima che scoppiasse la guerra, aveva celebrato una messa ai confini fra Iraq e Arabia Saudita. «Dobbiamo tentare - ha detto -di fermare questa macchina infernale». LO SCO PER chiedere alle Camere di autorizzare il nostro contingente militare a intervenire contro l'Iraq, Andreotti ha parlato di «operazione di polizia». Neppure dopo i tonanti sarcasmi di Ingrao ha pronunciato la parola «guerra», evidentemente per motivi di prudenza costituzionale. L'Italia repubblicana può o non può fare la guerra? Sono tre gli articoli della Costituzione che trattano il tema. L'art. 11 dice che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». L'art. 78 stabilisce che «le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari». Infine l'art. 87, fissando i compiti del Presidente della Repubblica, precisa che egli ha «il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio superiore di difesa (...), dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere». Quindi l'Italia è per principio contro la guerra, ma può dichiarare guerra. Ossia riconosce che ci sono guerre legittime. Quali? Soltanto quelle per difendere i nostri confini? Dalla prima parte dell'art. 11 si deduce di sì, perché l'Italia ripudia la guerra «come strumento di offesa» e anche come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Però la seconda parte dello stesso articolo consente all'Italia di accettare le deliberazioni delle organizzazioni internazionali al punto di autolimitare la propria sovranità. Qui si pone l'interrogativo: se l'Onu dichiara guerra ad un Paese, l'Italia come si comporta? Dice no, secondo la prima parte dell'art. 11, perché sarebbe una guerra di offesa o promossa per risolvere una controversia, oppure dice sì, in ubbidienza alla seconda parte dell'articolo? C'è un conflitto tra la esigenze nazionaliste e le esigenze internazionaliste. Le prime affermano il primato del diritto interno, le seconde riconoscono che la sovranità Marco Tosatti NTRO di uno Stato incontra un limite nel diritto (e quindi nell'interesse) internazionale. E il diritto internazionale ha sempre condannato la guerra, senza riuscire a eliminarla. Già la Società delle Nazioni, costituita dopo la prima guerra mondiale, imponeva agli Stati aderenti il divieto di aggressione e l'obbligo di ricorrere all'arbitrato per risolvere le controversie. Ma dichiarava illecita la guerra soltanto se iniziata entro i tre mesi dal lodo arbitrale. Poiché quelle norme sembravano poco cogenti, con il trattato di Parigi del 27 agosto 1928 - conosciuto come patto di Kellog - gli Stati contraenti solennemente condannavano «il ricorso alla guerra per il regolamento delle controversie internazionali» e si impegnavano a rinunciare alla guerra «come strumento di politica internazionale nelle loro mutue relazioni». Anche il governo di Mussolini sottoscrisse il trattato. Però pochi anni dopo aggredì l'Etiopia con il pretesto (rivolto all'estero) di portare la civiltà a quelle popolazioni, e con la giustificazione (per la platea interna) di conquistare l'impero. Le sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia ebbero un magro risultato. La Germania di Hitler, dopo essersi annessa l'Austria e i Sudeti, attaccò la Polonia e fu la seconda terribile guerra mondiale. L'attuale nostra partecipazione militare nel Golfo sembra esclusa dalla prima parte dell'art. 11, ma consentita dalla seconda parte. E se la Turchia, membro dell'Onu e della Nato come l'Italia, attacca o viene attaccata, ci consideriamo in guerra al suo fianco oppure interveniamo con operazioni di polizia? Sovente la Costituzione manca di chiarezza, perché risente del contrasto delle ideologie che animavano i suoi autori e della temperie internazionale che si aggravava nel corso della elaborazione e della votazione degli articoli. Nell'incertezza interpretativa, Andreotti ha preferito servirsi di sinonimi. 11 nostro vocabolario ne è ricco. Una stessa cosa la si può definire con termini diversi, seguendo la convenienza.