Tel Aviv un incubo dietro ogni sirena

Gli abitanti barricati in casa davanti alla tv, la maschera antigas a portata di mano Gli abitanti barricati in casa davanti alla tv, la maschera antigas a portata di mano Tel Aviv, un incubo dietro ogni sirena Anche l'allarme di un 'auto fa scattare la paura to le autorità, sono rimaste ferite 14 persone, quasi tutte per lo spostamento d'aria o per essere state investite da frantumi. Il punto esatto in cui sono caduti i missili iracheni è considerato dalle autorità israeliane un segreto militare. Nella giornata di ieri la censura israeliana ha duramente rimproverato i rappresentanti della rete televisiva Cnn che aveva accompagnato un servizio sul bombardamento di Tel Aviv con una piantina su cui erano stati indicati i luoghi colpiti. Convocati i corrispondenti esteri nella sala stampa di un grande albergo della città, il generale Nachman Shai - il più autorevole portavoce militare - li ha quindi ammoniti perché controllino con la censura tutte le informazioni che potrebbero essere sfruttate dagli iracheni per correggere il tiro. «Se fra di voi ci sono aspiranti suicidi - ha aggiunto - per favore se ne vadano altrove». Per tutta la giornata la polizia è stata impegnata a isolare le zone colpite, per tenere alla larga i curiosi, e a raccogliere i frammenti dei missili, sparsi sopra vari quartieri. Alla popolazione è stato chiesto via radio di consegnare subito alle autorità gli esotici «souvenir». Basandosi sull'esperienza accumulata nel prolungato servizio militare, molti hanno sfruttato le ore successive al bombardamento per riordinare le stanze ermetiche dei loro appartamenti, verificare l'efficienza delle maschere antigas e sostituire l'acqua potabile delle bottiglie di emergenza. Hanno anche discusso con i bambini dell'esperienza passata e hanno cercato di fugare le loro paure fornendo informazioni generali sull'andamento del conflitto e rilevando che finora i danni sono stati per Israele relativa¬ mente contenuti. Alcuni genitori hanno cercato di dimostrare che è più probabile essere coinvolti in un incidente stradale sull'autostrada Tel AvivGerusalemme che non essere colpiti da un missile iracheno. E' proprio quella, comunque, la strada percorsa ieri da molti residenti della fascia costiera: nel tentativo di scampare ai missili, hanno preso d'assalto gli alberghi di Gerusalemme, una città che si spera fuori dal fuoco di Saddam in virtù dei suoi luoghi santi e dei 130 mila palestinesi che vi risiedono. Finora, per la stragrande maggioranza degli abitanti di Tel Aviv, i due bombardamenti iracheni sono stati poco più di un'«interessante esperienza» di vita collettiva di cui ci si potrà ricordare a distanza di anni. Si ricorderanno i teli di plastica applicati alle finestre, le maschere antigas, la solidarietà dei vicini nelle rampe delle scale, le lunghe ore dedicate alla famiglia. Si ricorderà in futuro anche il Paese disciplinato e la concordia di esponenti politici finora divisi da aspre rivalità. Nei collegi rabbinici verrà meditato e studiato anche il ruolo giocato dalla divina provvidenza. Questo, a crisi passata. Il problema, a Tel Aviv, era ieri invece più a breve scadenza: come organizzarsi per affrontare una nuova nottata di ansia e di insonnia, probabilmente squarciata dal suono rauco delle sirene e dal singhiozzo di bambini svegliati di soprassalto. Sono queste le cose che limano i nervi. Molti ormai sussultano anche al suono banale dell'antifurto di un'automobile parcheggiata sotto casa. Ma quanto può resistere un Paese in queste condizioni? Filippo Donati Un ufficiale israeliano davanti a una casa colpita da un missile iracheno ifotoafp] Secondo fonti dell'intelligence americano ed israeliano, le rampe missilistiche fisse, basate nell'Iraq occidentale, sono state eliminate alla prima ondata dei bombardieri, assieme agli Al Habbas (850 km di portata, 300 kg di testata bellica). Restano invece alcuni Al Hussein, da 80 a 100 secondo le stime, con i loro lanciatori mobili. Fuori uso sarebbero, invece, tutti gli impianti di produzione di missili, colpiti la prima notte: ad Al Faluja (vettori), ad Al Hillah (propellenti), a Karbala (poligono di prova), a Mosul (ricerche avanzate). Ed anche gli stabilimenti dove si caricherebbero le testate chimiche, a Saiman Pak e Samarra, sarebbero stati gravemente danneggiati. 11 Raiss di Baghdad disporrebbe quindi di un numero limitato di ordigni, salvati dalle ondate dei bombardieri. Per individuare i lanciatori e colpirli occorre sorprenderli nel momento in cui vengono preparati, cioè nei circa 60-90 minuti occorrenti per rifornirli di propellente liquido e per posizionarli. Ma una volta lanciati è estremamente difficile neutralizzarli da parte di Israele che, oggi, dispone soltanto di due batterie di missili-antimissile Patriot non ancora operativi: fonti ufficiali americane - secondo il Los Angeles Times hanno affermato che la rete di Patriot potrà essere efficiente in Israele soltanto ad aprile. Per questo motivo, dovuto a ritardi nella consegna dei Patriot a Tel Aviv che non mancheranno di provocare polemiche al Congresso, per prevenire gli attacchi non c'è che un mezzo: distruggere i lanciatori o i depositi nascosti di missili. Molti si chiedono anche per quale motivo Saddam Hussein non abbia ancora impiegato testate chimiche o batteriologiche in questa provocazione verso Israele. Tre le risposte. Primo: secondo alcuni esporti gli iracheni non avrebbero ancora una tecnologia sufficiente per realizzare simili ordigni. I bombardamenti degli inermi villaggi curdi nell'88 con i gas si poterono fare con mezzi anche rozzi, tipo «aerosol», ma attacchi sulle città israeliane sarebbero più complessi. Secondo: Saddam Hussein gioca le sue carte lentamente secondo una progressione calcolata: prima gli esplosivi convenzionali, poi i gas. Terzo: il dittatore teme che un'azione di questo tipo gli alienerebbe le simpatie che ancora ha e provocherebbe una reazione durissima degli alleati. In altre parole, non più «bombardamenti chirurgici», ma spianamento, «coventrizzazione». E per lui sarebbe finita. Il tracciato dei missili che hanno colpito Tel Aviv e Haifa Sotto il raggio d'azione delle basi irachene armate con i razzi Scud B Al Hussein e Al Abbas Gianni Bisio A Casa Bianca ha fatto sapere di non essere in grado di confermare o di smentire le voci, nate ieri, a quel che sembra sui mercati finanziari, secondo le quali Saddam Hussein sarebbe rimasto ucciso. «Siamo al corrente di queste notizie - ha detto Steve Hart, vice por a voce del presidente Bush ma non sappiamo se rispondano o non rispondano al voro». Laraoi'f hi nemico è una notizia ritir: 3 nelle guerre mediorientali. Ricordo che nel giugno del 1967, poche ore dopo il devastante blitz con cui l'aeronautica israeliana distrusse a terra nel giro di circa settanta minuti l'aviazione egiziana, alla Borsa di Tokyo corse la voce della morte di Nasser. La voce diventò notizia e rimbalzò sino al Cairo. A smentire, tuttavia, la morte di Nasser non furono gli egiziani bensì gli israeliani. E quando Saddam Hussein attaccò l'Iran, Radio Baghdad col primo bollettino di guerra che prometteva sfracelli diffuse la notizia della morte dell'iman Khomeini. Nel 1986, infine, dopo il bombardamento americano di Tripoli, poiché sugli schermi della tv non compariva Gheddafi ma soltanto il suo delfino, il maggiore Jallud, corse la voce della morte del Colonnello. Costui, invece, si era ritirato a riflettere nel deserto, turbato, fra l'altro, dalla morte della sua figlioletta adottiva. Tornò alla ribalta televisiva trascorso il lutto, smentendo la sua morte e mandando in pezzi, altresì, la speranza di un golpe che «referenti», certamente imbroglioni, al soldo degli americani, avevano dato per imminente all'allora Segretario di Stato Non sappiamo in quale dei 54 bunker a prova di atomica, costruiti assemblando il meglio della tecnologia occidentale da un pool di imprese americane ed europee, si trovi Saddam Hussein, non sappiamo se sia vivo o morto non fosse altro perché il neo-Califfo non s'è affatto preoccupato (almeno sinora) di smentire le voci che lo vorrebbero passato a miglior vita. Epperò sappiamo ch'egli non è un uomo davvero virtuoso; ebbene cosa «prevede» il Corano per il tristo (walim) che muore? Va o non va all'Inferno? Secondo il Libro «dettato» dall'Arcangelo Gabriele a Maometto, l'uomo si condanna da sé, sono i suoi stessi comportamenti che l'accusano. «Le sue 'violazioni" si trasformano in fiamme». L'uomo non possiede l'innocenza dell'animale, è consapevole della propria imperfezione e per tanto è responsabile. Chi pecca scientemente è dunque colpevole due volte. L'Islam prevetie il castigo per il peccatore malvagio, che è certamente tei ribile poiché la durata del castigo può essere superioie a quella del peccato. Non c'è dunque scampo per Saddam Hussein? Recita il Corano: «... ed essi dissero "il fuoco ci toccherà soltanto per un dato numero di giorni". Dì loro: "avete forse fatto un patto con Dio - e allora Dio non lo romperà -, oppure dite quel che non sapete? Coloro che avranno commesso il male e saranno circondati dal loro peccato, qu.-ììi saranno gli ospiti del fuoco, e vi resteranno"» [khàlidùn] (II, 80-81).