«Sono un uomo felice e fortunato con un difetta non racconto le barzellette
«Sono un uomo felice e fortunato con un difetta non racconto le ' «Sono un uomo felice e fortunato con un difetta non racconto le ' ' mosa gtecnicosettemteressaspettatza Crimsportivche perpiere uUna nove cdistintonamengio rifindi ha l'esibizsuoi, reticose dvano eè notatghi sbaestrem GENOVA DAL NOSTRO INVIATO una bella baraccata, che è davvero spiritoso, mi aggrego, non sono imbalsamato. E ballo. Vado perfino a ballare». Osvaldo Bagnoli porta in testa un berretto a cupola con visiera che è ormai diventato par te della sua persona, un distintivo, un annuncio. E' un berretto che suggerisce l'idea di un operaio della Bovisa che esce nel freddo mattino e va a lavorare in bicicletta. E' soltanto un'idea, magari non c'è nessun operaio milanese che porti quel tipo di cappello e vada a lavorare in bicicletta. Valutando di Bagnoli più il berretto proletario che l'uomo, Berlusconi scartò l'ipotesi, da prima considerata, di affidargli la panchina del Milan. Mi sa che sia comunista, sembra abbia detto, chiudendo la pratica. «Conosco quella storia. E' nata perché un giorno giocai in una squadra di socialisti e perché a Verona andavo in giro con un onorevole del pici. Però ero anche amico del sindaco democristiano. Era socialista mio padre. Io non m'interesso di politica, m'interesso di calcio». Bagnoli sfida il Milan, Bagnoli sfida l'Inter, la Sampdoria, la Juventus. Tecnico di prim'ordine, eppure mai che gli sia capitato di stare dalla parte dei grandi: sempre sulla sponda di chi deve arrampicarsi. «E sempre me ne sono infischiato. Sono stato in alto e in basso, scudetto e salvezza, un'esperienza completa. Mi basta». Uomo dolce e gentile, con sofferenze che non lo hanno inasprito, ma reso ancor più dolce e gentile. Nove anni a Verona per amore (sua moglie è di lì) e per necessità (una figlia che aveva bisogno di una scuola speciale e che ora, ventenne, lavora). Gentile e deciso. «Allenavo a Solbiate, tanti anni fa, e c'era un presidente che veniva negli spogliatoi a bere il tè. Sino a che beveva, andava bene. Poi ci aggiunse i consigli tecnici. Tè e tecnica non mi piacevano, lo misi alla porta». E quello lo licenziò. A Genova ha affrontato e ammansito i tifosi che rompevano le scatole e con le scatole la quiete tecnico-sociale. «La situazione richiedeva che fossi io a prendere la parola. Toccava a me. Avevo capito che dovevo fare del casino e l'ho fatto». La partita Juventus-Genoa sarà un argomento da trattare domenica sera e lunedì. Non prima. «Prima mi tolgo il cappello davanti all'avversario e preparo la squadra. Come giocheremo lo vedrete allo stadio». Però lo incuriosisce la metamorfosi di Schillaci, da solista produttore di gol a spalla di Baggio e Casiraghi. «Mi congratulo con lui, merita attenzione, cerca di migliorarsi. Ha capito che al gol non ci si arriva più stando in area, devi toglierti di là e prenderla alla larga». La soddisfazione che prova rivisitando il proprio cammino («ho sempre lasciato un buon segno, buoni ricordi»), lo fortifica: non ha timori. «In gara si va per tener botta e farsi onore». E' addirittura felice. «Tre volte, quattro volte felice. Quanti bravi allenatori vivono al buio, non hanno avuto fortuna. Io ho avuto fortuna, tanta fortuna e spero di poterlo ripetere a lungo». E' un fortunato pendolare sulla linea Genova-Verona, andata e ritorno. «A Verona avevo la famiglia a cinque minuti dal campo. L'ideale. Ma ci sono altre situazioni ideali, lavorare serenamente in un ambiente sereno, avere intorno gente che ti capisce e che capisci. Lavorare qui». Osvaldo Bagnoli contro la Juventus. Osvaldo Bagnoli appartiene a una categoria di allenatori che comincia con lui e con lui si esaurisce. Bagnoli si astiene dalle recite e, grazie a questa insolita caratteristica, si auto espelle dallo spettacolo calcistico in cui il numero degli attori, quelli che fanno ridere (molti) e quelli che fanno piangere (non pochi), si moltiplica con entusiasmante fervore. Bagnoli non partecipa a tavole rotonde, non abita le televisioni, non gliene importa nulla di risultare simpatico, non esprime pareri «divertenti» sui colleghi, non scopre l'acqua calda e non assume atteggiamenti da nipote di Napoleone. E allora che ci fa nel campionato italiano di serie A? Lavora. Limite non da tutti apprezzato e infatti abbondano coloro che vedono in Bagnoli un intristito musone, rispettabile, ma assolutamente inadatto a dare un coloristico contribuito al trionfo dell'iperbole pedatoria. Bagnoli ò un caso. Lo ammette: «Ho un neo, un difetto: non riesco a trasformare i giocatori in gioiose brigate, non so raccontare le barzellette, non organizzo spettacoli per la truppa. Quando sento parlare di spirito di gruppo, di unione degli animi e di vecchi cuori che palpitano, avverto odore di fritto e di rifritto. Da vent'anni costruisco squadre e da vent'anni mi trovo bene con me stesso e con i miei metodi. Perché dovrei sforzarmi di cambiare? Per adeguarmi ai tempi? Se trovo qualcuno che sa tenermi allegro, io ci sto. Ma deve tenermi allegro seriamente, scusate la contraddizione, mica con le fesserie. Se trovo qualcuno che sa organizzare Gianni Ranieri IERI CONSIGLIO DIRETTIVO LA GUERRA E LO SPORT Il presidente giallorosso è in clinica, ma la sua famiglia mantiene il controllo della società Da Bergomi la proposta di fermare il calcio
Persone citate: Baggio, Bergomi, Berlusconi, Casiraghi, Gianni Ranieri, Osvaldo Bagnoli, Schillaci
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