Amato fratello ti odio di Giorgio Pestelli

A Bologna «Scacco pazzo», bellissima commedia di Vittorio Franceschi A Bologna «Scacco pazzo», bellissima commedia di Vittorio Franceschi Amato fratello, ti odio Loy al debutto nella regia teatrale Intensa edizione dell'opera di Ciaikovski, con Deiman Poetico Onegin russo ma il canto è italiano E bravo Nanni Loy. Alla sua prima regia teatrale ha offerto al pubblico del Testoni uno spettacolo che, quasi certamente, resterà fra le cose davvero notevoli di questa stagione. Merito della sua direzione discreta, pudica, totalmente «di servizio»? O merito del testo, di questo «Scacco pazzo» scritto da Vittorio Franceschi su sollecitazione e suggerimento di Alessandro Haber, premiato l'anno scorso al concorso IDI e prodotto dallo Stabile di Trieste insieme con la cooperativa Nuova Scena? Tenderei a scegliere la seconda ipotesi. «Scacco pazzo» mi è parsa una commedia bellissima nel tono, nella situazione, nel linguaggio, nelle psicologie: un gioco teatrale che, mascherato di fanciullaggine, sprofonda nei labirinti mentali di due fratelli quarantenni, nella dolce pazzia dell'uno e nella solitudine nevrotica dell'altro. Antonio e Valerio abitano una casa grande, grigia, caotica, stracolma di giocattoli (scene realistiche di Sergio d'Osmo). Soldatini, aeroplanini, un treno radiocomandato, palle, pupazzi, bambolotti servono a riempire i giorni di Antonio che, dopo aver perso la fidanzata in un incidente d'auto, ò regredito allo stadio infantile. Indossa un tight sdrucito e stazzonato (evidente richiamo alla sciagura e al sogno d'amore infranto), vive simulando battaglie aeree, a tavola fa i capricci, strepita di non voler andare a scuola: dice di frequentare la quarta, ma è ancora un mignolino e i compagni lo picchiano, gli rubano le gomme. Quando il suo disappunto è insostenibile, si fa la pipì addosso, il che lo costringe al pannoIone. Ha un angelo protettore in Valerio, che lavora nella cartoleria ereditata dal padre. Valerio è paziente e mite. Quando ò necessario, si traveste da padre e da madre, assumendo l'autorità dell'uno e la dolcezza dell'altra; a volte, indossandone l'abito nuziale e mettendosi una parrucca bionda, diventa Elisabetta, la fidanzata morta del fratello. Il rapporto tra i due procede per alleanze e sorde violenze. I fratelli giocano, fingono, si confortano, vanno al cinema, ma fra le pieghe di un legame all'apparenza affettuoso si avverte l'acuminata punta dell'insofferenza, forse dell'odio. Infatti: perché all'improvviso Valerio decide di trovarsi una fidanzata? perché si porta in casa Marianna e le parla di matrimonio? Per abbandonare il fratello, per cercare l'ossigeno di una vita nuova. Sennonché Marianna trova nella pazzia di Antonio una specie di coloritura al forzoso grigiore della propria vita: Antonio è la fantasia, è lo scardinamento delle regole, porta il brusio dell'immaginazione e il gusto della deviazione. La loro complicità scivola nella tenerezza, assume i toni di una confidenza pacata e malinconica che ingelosisce Valerio e provoca la sessualità di Antonio, che tenta di violentarla. Marianna abbandona la casa, i due fratelli sono nuovamente soli, ma qualcosa è cambiata, il malato ora non è Antonio, forse è Valerio, è lui l'essere ferito sul quale il «pazzo» distilla una strana dolcezza: «Ho sentito un lamento nel mio cuore. Dev'esserci qualcuno nascosto dentro. Un sepolto vivo». Alessandro Haber e Vittorio Franceschi sono splendidi nelle parti di Antonio e Valerio. Il primo esprime un irrefrenabile vitalismo, è smanioso ed euforico, sa insinuare nella follia i lampi di verità propri dei visionari, è infantile e volubile, un piso pisello bisognoso d'amore, traumatizzato e candido. Franceschi gli fa da contrasto con una recitazione pacata, chiaroscurata, a tratti volutamente gelida. Fra l'uno e l'altro s'inserisce una persuasiva Monica Scartini nella parte di Marianna. Successo grande, molte chiamate anche a Nanni Loy, vagamente disorientato da quella raffica di applausi. BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Osvaldo Guerrieri Telethon 1 990 - Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare Campagna di Ricerca Scientifica contro la Distrofia Muscolare La Commissione Medico-Scientifica del Telethon è lieta di annunciare che le somme raccolte attraverso la maratona televisiva Telethon '90 serviranno a finanziare un numero limitato di progetti originali di ricerca scientifica nei seguenti settori: Ricerca Clinica, Biochimica e Biofisica, Genetica, Medicina Sociale. L'iniziativa ha come obiettivo la promozione di studi per migliorare le condizioni di vita delle persone affette da distrofia muscolare e giungere nel più breve tempo possibile all'individuazione di una terapia. 1 ricercatori italiani che desiderino ottenere un finanziamento sono invitati a richiedere l'apposito modulo prestampato alla Commissione Medico-Scientifica del Telethon. Il modulo è disponibile sia presso la sede del Comitato Promotore Telethon '90 (Piazza Crazioli 18, 00186 Roma, tel. 06-6781331), sia presso la direzione Generale UILDM (Via P.P. Vergerlo 17, 35126 Padova, tel. 049-757033). A cura de Alessandro Haber e Vittorio Franceschi in un momento dello spettacolo Al Valli di Reggio Emilia il balletto di Neumaier tratto da «Un tram che si chiama desiderio» BOLOGNA. Il Teatro Comunale ha allestito un poetico, intenso «Evgenij Onegin» di Ciaikovski in lingua russa con una compagnia vocale quasi interamente italiana; un bel risultato, sul cammino che dovrebbe portare quest'opera in repertorio anche da noi malgrado alcune decisive differenze con la concezione teatrale italiana («scene liriche» in tre atti, non «opera» è in realtà il titolo originale, aprendo uno spiraglio sulla dimensione intima ed episodica). Il Teatro bolognese si è affidato per la direzione musicale dello spettacolo a Vladimir Deiman, italiano di adozione ma russo fino in fondo all'anima: si deve in gran parte a lui, pur guidando un'orchestra qua e là imprecisa, se l'esecuzione aveva i accento giusto, nel peso e nella grazia, temperando gli ardori lirici e mettendo in risalto il fluire del dialogo quotidiano. Un tempo si incasellava Ciaikovski fra i musicisti occidentalizzanti, perché «nazionale» sembrava solo il canto contadino; ma non meno nazionale e russo è quello dei piccoli proprietari terrieri, i «pomeshehiki», che Ciaikovski mette in scena nell'«Onegin» con tanto affetto di verità e di rimpianto; sono considerazioni di un conoscitore come Richard Taruskin, che la direzione di Deiman fa toccare con mano: anche per questo il terzo quadro del primo atto, con l'intrecciarsi del canto contadino (la raccolta delle bacche) e di quello della coppia dei padroncini, è risultato uno dei più avvincenti proprio nella sua scorrevole natu- ralezza. L'azione del direttore si è fatta sentire anche nell'intonazione del coro istruito da Piero Monti (peccato la soppressione, nel primo quadro, della «canzone allegra», richiesta dalla padrona di casa). Grande richiamo della serata l'intramontabile Mirella Freni, che della parte di Tatiana cantata in russo ha fatto un suo cavallo di battaglia: bisogna vederla in scena, come passa dalla figura timida e un po' goffa dei primi quadri al tono da gran dama della conclusione; dopo la scena della lettera ha avuto un'ovazione durata alcuni minuti, ma è stata ammirevole anche nei minimi interventi: indimenticabile, fra tutti, il suo «a parte» quando Onegin la rifiuta, come cova il suo dolore cercando di nasconderne il rossore. Onegin è Paolo Coni che rappresenta molto bene il tipo byroniano del personaggio; una sorpresa felicissima Giuseppe Sabbatini come Lenski; solo qualche volta spinge il registro lirico all'italiana, ma ha cantato la grande aria prima del duello in stile perfetto e con una immedesimazione commovente. Principe Gremin di lusso è Nicolai Ghiaurov, che ha fatto risentire la pastosità unica della sua voce; molto appropriata Francesca Franci come Olga, e così pure Gloria Banditelli, Nucci Condò e gli altri, fra cui Oslavio Di Credico nel bozzetto del canterino francese. Scene molto belle di Gheorghe Alexi-Meskhishvili, ispirate al realismo lirico del romanticismo russo (illustrato da un saggio di Claudio Poppi nel programma di sala); regia intelligente di Robert Sturua e calata nel movimento delle «scene liriche». Solo la morte di Lenski, che offre il petto alla pallottola di Onegin, non va d'accordo col personaggio: Lenski non è un suicida, non è Tristano che si strappa le bende, è un innamorato della vita annientato dal caso, quel caso su cui si appunta la moderna drammaturgia di Ciaikovski. Giorgio Pestelli

Luoghi citati: Bologna, Padova, Reggio Emilia, Roma, Trieste