Sbarrati in casa aspettando Saddam di Guido Rampoldi

Israele teme un colpo di coda, Baghdad potrebbe scatenare l'attacco con l'arma segreta Israele teme un colpo di coda, Baghdad potrebbe scatenare l'attacco con l'arma segreta Sbarrati in casa, aspettando Saddam Solo oggi la fine dell'emergenza Coprifuoco assoluto nei Territori BUENOS AIRES. «L'Argentina è in guerra», ha dichiarato il presidente Carlos Menem, confermando in tal modo che il Paese non è neutrale, ma partecipa all'azione bellica diretta dagli Stati Uniti contro l'Iraq, sotto l'egida dell'Orni. L'Argentina è l'unico Paese latino-americano ad avere inviato forze nel Golfo. Si tratta di due navi da guerra con funzioni di appoggio logistico che per ora non sono intervenute direttamente nel conflitto. Il Parlamento si riunirà d'urgenza nelle prossime ore, per decidere sul futuro delle navi. Secondo il governo, non si pone il problema di ritirare le unità, ma solo quello di stabilire fino a che punto esse possano partecipare a eventuali combattimenti; l'opposizione dell'Unione civica radicale e anche vari deputati peronisti vorrebbero richiamare in patria le due navi. Menem ha assicurato che sono state prese tutte le misure necessarie contro il terrorismo. [Ansa] MENEM stinese moderata. Si era piegata a tifare ufficialmente per Saddam, malgrado lo giudicasse un assassino (di oppositori e di uomini dell'Olp), nella speranza che si sarebbe rivelato un alleato utile. Perciò grande era stato lo sgomento la sera del 15 gennaio, quando era apparso chiaro che Saddam non avrebbe compiuto il piccolo passo necessario alla diplomazia francese per agganciare il ritiro dal Kuwait ad una successiva Conferenza internazionale sui Territori occupati. Adesso arrivano i primi segnali di un dibattito interno che si svolgerà a porte chiuse. Tardivamente, i moderati si smarcano da Saddam Hussein: comincia a prenderne le di¬ stanze Faisal Husseini, la mente dell'Olp nel West Bank («Non è per aiutare Saddam che continua l'Intifada»). Ma sul campo di battaglia iracheno potrebbe già esserci il cadavere politico dell'Olp. «Dubito che Arafat rappresenterà i palestinesi in un'augurabile Conferenza internazionale», dice Abba Eban, uno dei più autorevoli sostenitori israeliani del negoziato. «Ha commesso un errore madornale: credere che a Saddam premesse la causa palestinese». Uno sbaglio dalle conseguenze disastrose. Del resto Hannah Siniora l'aveva previsto. Ci diceva poche ore prima dell'inizio delle ostilità: «Saremo noi palestinesi il prezzo più alto se ci sarà la guerra». gIn quella sera di vigilia bellica il premier israeliano, Shamir, appariva in tv rilassato e fiducioso. Ufficialmente avrebbe saputo del raid americano solo all'ultimo momento, alle 11 e 45 di notte, da una fonte francese. Da tre giorni Shamir chiedeva agli Usa di rompere gli indugi, temendo che Saddam avrebbe finito per ritirarsi dal Kuwait in cambio di una Conferenza internazionale sull'area. Inoltre Israele non voleva correre il rischio di subire un attacco di sorpresa. Shamir avrebbe ventilato un attacco preventivo israeliano se gli Usa non avessero al più presto neutralizzato le 30 rampe irachene al confine con Tel Aviv dopo la notte della grande paura: è l'alba e le strade sono vuote. Sotto, il premier israeliano Shamir l'Iraq. qIntorno all'una di ieri notte le forze armate hanno decretato lo stato d'emergenza, ordinato alla popolazione di restare in casa, consigliato di prepararsi al peggio. Gli unici autorizzati ad uscire in strada, per raggiungere al più presto i posti di lavoro, erano i nomila israeliani che operano in settori strategici. Gli ospedali erano già pronti da ore a soccorrere anche centinaia di colpiti da gas, con i soldati di leva disposti intorno ai sanatori per lavare le ferite provocate da agenti chimici. Nel kibbutz intitolato a Nezzer Sereni, il leggendario combattente sionista, i telefoni avevano preso a squillare presto, secondo un piano preciso. I primi dieci a ricevere la chiamata a loro volta dovevano avvertire e istruire un certo numero di abitanti del kibbutz, il cui cognome inizia con determinate lettere. Ma col passare del tempo anche nel Nezzer Sereni, a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv, si è cominciato a confidare che l'attacco non sarebbe venuto. Oggi, come molti israeliani, i kibbutzim hanno violato gli ordini dell'esercito per una passeggiata con i bambini. Stamane, quando Israele saprà se il pericolo è passato, forse in quest'area inizierà una nuova geopolitica. Col tramonto dell'Iraq, a ricoprire il /uolo di prima potenza araba della regione sarebbe l'unico Stato che riconosce Israele: l'Egitto. Per l'Iraq rifondato, per la Siria attratta in orbita americana, Israele sarebbe un vicino più accettabile che in passato. Eppure un'ombra già inquieta il governo di Shamir: a guerra finita, gli alleati arabi degli Usa potrebbero presto chiedere quella Conferenza internazionale cui Washington non si oppone più. Prevedete pressioni americane? è stato chiesto ieri al viceministro Netanyahu. «E' presto per parlarne», è stata la risposta. Chissà che in futuro la pace non debba rivelarsi per Shamir più disagevole di quanto non sia stata, finora, la guerra. Guido Rampoldi