Addìo Dakar senza rimpianto

Oggi si conclude una gara accompagnata dall'amarezza e dalla paura Oggi si conclude una gara accompagnata dall'amarezza e dalla paura Addìo Dakar, senza rimpianto Un raid ricco e infelice r Sci, la nazionale del selfservice TAMBACOUNDA DAL NÒSTRO INVIATO La finta guerra del deserto, la tredicesima Parigi-Dakar, si chiude oggi, per strana coincidenza, ai primi rintocchi di quella vera. Le milie bussole della carovana puntano verso Dakar e una frettolosa passerella finale. Nella striscia di terra tra il Lago Rosa e la spiaggia si placherà la tempesta di polvere e rumori che ha percorso in 15 giorni 8.000 chilometri di dune e villaggi di capanne. Non sarà una festa. I centocinquanta superstiti dell'avventura cominciata a Parigi il 29 dicembre, hanno una gran voglia di partire e lasciarsi alle spalle quest'Africa così poco hemingwayana, dal paesaggio uguale e disperato, da attraversare con gli occhi puntati sugli strumenti di bordo, perché ogni piccolo errore di rotta schiude le porte di un labirinto ocra. I giochi ormai sono fatti. Le classifiche dicono del successo della Citroen di Ari Vatanen, ribattezzato senza troppa fantasia «leone d'Africa». Nessuno ha vinto come il finlandese: quattro delle ultime cinque edizioni, tranne quella dell'88. Nelle moto, vero oggetto della mitologia cresciuta intorno alla «Padak», dovrebbe spuntarla Peterhansel, davanti a Lalay, vincitore della 14° tappa (KiffaTambacounda, 572 km, metà gara e metà trasferimento) e a Magnaldi, per un podio di francesi, tutti su moto Yamaha. Agli italiani, trionfatori dell'edizione scorsa, con pilota e marca, Edy Orioli su Cagiva, resta qualche premio di consolazione. Vittorie di tappa di De Petri, di Orioli e soprattutto il successo pieno della Gilcra di Medardo (che ieri e caduto ma senza conseguenze) settimo nella classifica generale,- ma primo nella categoria Silhouette, cioè nelle moto di serie, che poi è quello che conta per le vendite. Ieri invece ha perso un posto (ì: 9°) Mandelli, con l'altra della Gilera, vittima di qualche problema. BASKET Vita dura per la Range Ma il vero vincitore del raid è Gilbert Sabine, sessantenne fanatico patriarca della carovana. Ha ereditato la Parigi-Dakar dal figlio Thierry, inventore di questo monumento all'assurdo, morto cinque anni fa col suo elicottero nel Mali. E da cinque anni il vecchio comanda a colpi di frusta il suo circo. Gelido conquistador benedetto dallo sponsor, Sabine lo conduce attraverso un mare di sabbia alla ricerca del suo personale Eldorado. Resta un grande business, il raid, per chi lo vince e per chi lo organizza. Un affare da moltissimi miliardi. L'avventura della Padak ò fatta soprattutto di questa montagna di franchi e dollari, un miraggio dorato che finisce per inghiottire le critiche e, ogni tanto, qualche vita. Quest'anno è toccato a Charles Cabannes, 34 anni, ucciso da un colpo di fucile in Mali, mentre era alla guida del camion d'assistenza della Citroen. L'inchiesta si è conclusa con molta fretta, attribuendo le colpe ai Tuareg. Cabannes è stato il primo morto assassinato della corsa. Anche se sarebbe giusto aggiungere, il primo assassinato europeo. E forse per questo ha scatenato la rivolta della carovana. In molti hanno chiesto all'organizzazione d'interrompere la gara e tornare a casa, prima di attraversare la Mauritania, Paese musulmano e alleato di Saddam, nei giorni della guerra vera. Ma Sabine ha domato anche il primo ammutinamento nella storia del raid. A suo modo, ha avuto ragione. A parte qualche sassaiola di piccole bande di adolescenti che inneggiavano al dittatore iracheno, le tre tappe sono scivolate tranquille. Ma a che prezzo? La scorta armata comparsa allo sbarco dei mezzi a Tripoli, a Capodanno, si è ingrossata man mano fino a diventare un esercito alle porte del Senegal. E la repressione delle popolazioni locali è stata spesso violenta. r: Curzio Maltese ma l'allenatore Sacco p Auto - Classifica di tappa: 1. Auriol (Lada Samara) lh36'13"; 2. Tambay (Lada) a 17"; 3. Erickson (Mitsubishi) a 1*51". Generale: 1. Vatanen 31h20'25"; 2. Lartigue a 2h36'49"; 3. Fontenay a 3hl9'18"; 4. Erickson a 4h51'48"; 5. Auriol a 5h55'09'. Moto - Tappa: 1. Lalay (Yamaha) 3 h I2'll"; 2. Peterhansel (id) a 14'09"; 3. Cavandoli (id) a 19'47"; 4. Mas (id) a 20'30"; 5. Morales (Cagiva) a 22'11"; 8. Orioli (id) a 27'10"; 9. Medardo (Gilera) a 28'17". Generale: 1. Peterhansel 73hl6'07"; 2. Lalay a 17'22"; 3. Magnaldi a 25'51"; 4. Morales a 59'28"; 7. Medardo a lh36'39"; 8. Orioli a 5h05'34". IL CASO ga azzurra» che il tecnico Oreste Peccedi si alzava alle 5 del mattino a piantare paletti, ma soleva anche dire che i meriti non erano tutti suoi se c'erano i Thoeni, i Gros e così via. Un allenatore può valere nello sci dal 10 al 30 per cento nelle prestazioni di un atleta. Stenmark, Zurbriggen, Girardelli e Tomba sono diventati fuoriclasse per talento e per un certo tipo di dedizione, diversa per ognuno dei soggetti. Diciamo piuttosto che nella nazionale italiana esiste al momento un tipo di organizzazione e una situazione che non paiono essere all'altezza dei tempi. L'impressione è di una squadra self-service, da grande magazzino, dove ognuno pesca negli scaffali e poi paga alla cassa. Citiamo un fatto che può essere significativo: a luglio se ne è andato Ivo Bernard, il preparatore atletico. Non è stato sostituito. Gli atleti si allenano in base a tabelle che lo stesso Bernard aveva presentato prima del forfait. Così qualcuno rispetta i programmi, altri preferiscono riposare. Poi c'è il problema-Tomba. Alberto ha un suo allenatore, Gustavo Thoeni, un suo entourage (5-6 persone), si prepara per conto suo dove vuole. E' un elemento distaccato dalla squadra. Così in prova i confronti si fanno fra Moro e Polig, fra Ladstaetter e De Crignis, ma non c'è quasi mai il termine di paragone vero fra un campione e gli altri. E quando si arriva alle gare, distacchi abissali distruggono il morale degli atleti. La Federazione finora, a parte qualche parola, non ha ancora preso provvedimenti. Mentre si cede alla volontà di Tomba, si giustificano certi capricci, mentre elicotteri volano per le vallate a portare qua e là il «gioiello», la nazionale self-service rischia di dissolversi e di preparare per il futuro un eventuale dopoTomba con il vuoto assoluto. ANCHE se Marc Girardelli in questo periodo è più forte e magari più fortunato di Alberto Tomba, al bolognese non si può rimproverare nulla, sul piano agonistico. E' un campione, è amato dalla folla che lui ha saputo conquistare con la simpatia e la spavalderia, vince e perde alla grande, tiene in piedi lo sci italiano che però complessivamente, a livello di squadra, è ben lontano dai vertici. Qualche segno di risveglio c'è stato, fra i discesisti - per esempio - con la maturazione di Peter Runggaldier, secondo a Kitzbuehel e con la ripresa di Kristian Ghedina, quarto nella stessa gara. Ci sono inoltre piccoli segnali di crescita fra i giovani e c'è anche la bellissima notizia di Richard Pramotton che sta risalendo la china dopo due anni di infortuni. Tuttavia fra gli azzurri, non solo per quanto riguarda la Coppa del Mondo, ma soprattutto in vista del Mondiali che avranno inizio a Saalbach in Austria martedì prossimo con la disputa dello speciale maschile, sembra regnare un diffuso malumore. Slalomisti e gigantisti sono anche stati minacciati dal direttore tecnico Helmuth Schmalzl il quale in sintesi ha detto: o ottenete dei risultati, o vi lasciamo a casa. I ragazzi, gli atleti, sono frastornati. E, in realtà, rendono molto meno di quanto potenzialmente potrebbero. Ma è tutta colpa loro? Sono dei brocchi o qualcosa non funziona nella squadra? Qualcuno dall'esterno (forse perché interessato) e dall'interno ha messo sotto accusa l'allenatore Stefano Dalmasso. Noi invece siamo convinti che il male non sia nella conduzione tecnica. Lo stesso Dalmasso, quando era responsabile dalla squadra femminile, per otto anni aveva tenuto diverse atlete nel primo gruppo con numerosi successi. E non 1 erano delle «Rambo». RicorI diamo ai tempi della «Valan¬ AUTO E MOTO TENNIS Era dal '57 che un italiano non arrivava al terzo turno in Australia