«Sono inutile volevo morire» di Alberto Papuzzi

I gruppi impegnati nella lotta contro la depressione: incontro con i soci I gruppi impegnati nella lotta contro la depressione: incontro con i soci «Sono inutile, volevo morire» Storie di uomini e donne, mancati suicidi un mi con .Coche EYORINO AURA: «Quando sono depressa io sento grande vuoto. Che sforzo di riempire tante cose, ma non ci riesco me la buca delle lettere, prima era sempre piena, adesso la vedo sempre vuota. Prima, cioè quando mio marito viveva ancora con me». Pino: «Io provo un senso di inutilità. Penso che sono solo uno fra cinque miliardi. La goccia nell'oceano. L'acino nel grappolo. Ma è anche positivo pensare che siamo tutti uguali. Per smontare certi padreterni». Giovanna: «Per me l'esperienza della depressione è una specie di momento di silenzio. Un silenzio assoluto. Tutto si ferma. Io sono sotto una campana di vetro. Succede quando mi caricano di responsabilità. Perché io in casa sono la donna forte. Invece tante volte sento che non ce la faccio. Allora cerco la solitudine, accendo una sigaretta, giro intorno alle cose, non riesco a fare nulla». Mario: «La depressione diventa preoccupante quando non riesco a comunicare. Io non sono in conflitto con me stesso. Ma ci sono persone che vogliono assolutamente cambiarmi. Per me è come se volessero demolirmi». Una grande stanza rettangolare, un lungo tavolo bianco. Siamo in una delle sedi torinesi dell'associazione «Esprimersi», Ente sperimentale per la ricerca sul suicidio. E' in corso un seminario sulla depressione e sulle condotte suicide, diretto dalla psicologa Grazia Tetto Troiano con la collaborazione di una psicoterapeuta, Luisella Pianarosa. Attorno al tavolo sono riunite venti persone fra i 35 e i 55 anni, in maggioranza donne. Alcune di queste persone hanno tentato il suicidio, alcune lo hanno immaginato e meditato. Sono arrivate in questa stanza per vie diverse: di propria iniziativa, su consiglio di amici, inviate da un pronto soccorso, inviate da un repartino psichiatrico, su proposta del loro psicoanalista, su suggerimento del loro medico, per curiosità, per solitudine, per interessi di studio, per disperazione. Che cosa sia la depressione, nessuno studioso o terapeuta è in grado di dirlo con certezza. Non è neppure chiaro se si debba parlare clinicamente di una malattia. Ognuno di noi può conoscere momenti depressivi: senso di inutilità, sfiducia in se stessi, inedia, malinconia, disamore, sconforto, ansie incomprensibili, angosce improvvise, silenzi, e la paura di essere rifiutati o abbandonati. Difficile distinguere Spesso è difficile distinguere tra la depressione e le cause di depressione; ma il confine imperscrutabile è quello tra uno stato depressivo momentaneo e una crisi depressiva patologica. Come si individua questo confine e come si riporta indietro chi si è trovato a varcarlo? Non esiste certezza. L'uso di psicofarmaci è spesso indispensabile, però non è una garanzia. La maggioranza dei terapeuti consiglia di procedere caso per caso. «Possiamo dividere le depressioni in due grandi tipi - dice la dottoressa Tetto Troiano -. Quelle reattive, come risposta a uno stato di vedovanza, alla perdita di un amore, a delusioni e fallimenti. Quelle endogene, sulle quali si fanno ricerche molteplici, anche genetiche, per capire quanto possa influire l'ambiente, quanto siano di natura costituzionale. Nella mia esperienza la depressione è essenzialmente incapacità di progettare. Allora può trasformarsi anche in una condotta da suicida, dominata da un'idea ossessiva: rientrare nell'utero materno. Ma sono ipotesi teoriche, spesso smentite dai fatti. Come accade con i suicidi degli adolescenti. Una volta si riteneva che l'adolescenza, in quanto stagione dell'impulsività, fosse esposta al tentato suicidio, non al suicidio meditato, progettato lucidamente, pensato e ripensato. La recente recrudescenza di suicidi di adolescenti, preannunziati nei diari o concepiti insieme, ha messo in forse quella teoria». «Perché si perde la fiducia in se stessi? Perché si diventa in- capaci di progettare?», dice la dottoressa Luisella Pianarosa. «La sofferenza fa parte della storia personale di tutti noi; determinate teorie sostengono anzi che bisogna passare attraverso l'esperienza depressiva per dare un senso alla vita. Altrimenti si rimane sempre in superficie. Ma perché alcuni non riescono a sopravvivere a queste esperienze? Secondo un'interpretazione psicoanalitica è il bambino dentro di noi che attraversa una fase depressiva quando scopre che non è onnipotente. Di fronte a un evento traumatico, morte, separazione, malattia, lì scatta la depressione: aiuto, mi sto distruggendo! Si suppone che un certo tipo di persone, a causa sostanzialmente di un'assenza di genitori in momenti in cui erano fondamentali, non abbiano dentro di sé una capacità ricostruttiva quando sopraggiungono lutti e separazioni, anche simbolici. E' solo una teoria. L'approccio deve essere multidisciplinare». I suicidi sono oggi in Italia ln Italia vi sono quindici suicidi al giorno, m ma nei Paesi del centro e del nord Euro 8,7 ogni 100 mila abitanti. Quindici al giorno. Nella geografia della disperazione restiamo lontani da Austria, Ungheria, Svezia, Norvegia, Germania, Polonia, che registrano indici superiori al venti. Ma dobbiamo constatare una crescita spaventosa del numero dei suicidi: esattamente del 47,6 per cento fra gli anni 1973-77 e 1983-87 (dati pubblicati in Rifiuto di vivere di Paolo Crepet e Francesco Florenzano, Editori Riuniti). Améry e Styron Molto più complicato è calcolare i tentativi di suicidio; la maggioranza dei casi sfugge inevitabilmente alle fonti di accertamento (autorità giudiziaria e presidi ospedalieri). Le stime "ono tutte ipotetiche; si pensa a un rapporto di dieci a uno con i suicidi. Le statistiche possono offrire anche chiavi di interpretazione; per esempio quando accer- pa il numero è molto maggiore. Illustrazione vere». Laura: «Quando gli altri non mi tengono in considerazione come vorrei, io mi metto davanti allo specchio e me lo dico che sono in gamba, che mi stimo». Ma il seminario di «Esprimersi» non è una riunione accademica. Dare forma al disagio psichico costa una fatica che traspare nei comportamenti. Si avverte una tensione, che non tutti controllano. Un uomo sfoga il suo malessere. Accusa gli altri di parlare in astratto. Rivendica l'esclusività della propria vicenda. La sua sofferenza è un «vagone», non comparabile a quello degli altri. Alla seduta successiva non si farà vivo. «Gli abbiamo ricordato cose che voleva dimenticare», dice una voce. «Era lui a sentirsi sotto accusa». La dottoressa Tetto Troiano ha fatto girare un questionario. Una domanda chiede di mettere in fila una serie di possibili fattori depressivi: la maggioranza pone al primo posto l'incapacità di raggiungere i propri ideali. tano una maggiore incidenza di suicidi fra i disoccupati o fra i militari. Ma sull'interpretazione del fenomeno pesano condizionamenti ideologici, culturali, politici, clinici. Pensiamo a due libri recenti, Levar la mano su di sé di Jean Améry e Un'oscurità trasparente di William Styron: la condotta suicida per Améry è un atto liberatorio, un'estrema ribellione, alla quale ogni uomo ha diritto; per Styron è l'esito di patologie depressive che vanno curate in ospedale, come è avvenuto nel suo caso. Fra queste due posizioni si spalanca un baratro di rapporti depressione-suicidio, la cui ombra si allunga anche in questa stanza. I soci di «Esprimersi» possono raccontare numerose storie di comune disperazione. Storie uguali a quelle che leggiamo sui giornali quotidiani. I mancati suicidi sono di casa. Chi col gas, chi con le armi, chi si è sdraiato sui binari, chi si è distrutto con l'alcol; sono infiniti i modi per «levar la mano su di sé». Ma che cosa accade quando bussano alla porta dell'associazione? Che cosa può restituirgli la forza di continuare a vivere? Sembra perfino troppo semplice: vengono ascoltati. «Gli viene riconosciuta quella possibilità appunto di esprimersi che, probabilmente, la società in cui vivono gli ha negato», dice una volontaria dell'associazione. Prendono parte a incontri, riunioni, seminari, attività culturali o ludiche, in cui possono sentirsi protagonisti. Ritrovano le energie che credevano perdute. Naturalmente è sempre un lungo percorso. Uno degli uomini che siedono attorno a questo tavolo, arrivato all'associazione dopo tre tentativi di suicidio, è rimasto chiuso un anno intero in un ostinato silenzio. Per chi assiste dall'esterno è difficile comprendere quanto possa essere emozionante per ognuna di queste persone farsi coinvolgere nel seminario. Giovanna: «Mi sembra un viaggio verso l'ignoto. Ho fatto tante ricerche nella mia vita, che non mi hanno fatto fare un passo avanti. Non voglio illudermi». Rrero: «E' come se dovessi entrare in un bosco». Luciano: «Per me la base di tutto è la comprensione da parte degli altri. Essere compresi significa essere importanti per qualcuno. Cioè avere un senso per vi¬ e di Rockwell Kent «L'idea d'essere abbandonati» Pochi voti all'immagine sociale insufficiente e ai pericoli per l'integrità fisica. Un'alt:'a domanda chiede di indicare eventi, traumi, che possano costituire cause di depressione. Risposte prevalenti: «La paura della solitudine», «Le attese inutili». Mirka: «L'idea di essere abbandonata ha il potere di uccidermi». Giorgio: «Non sopporto di attendere qualcosa che non si realizzerà». Nel bilancio delle angosce pesano certamente i grandi traumi, le malattie gravi, i lutti, le delusioni. Ma la patologia delle depressioni sembra irridere alla drammaticità degli eventi. E' normale, è quotidiana, è naturale, è familiare. Probabilmente pesca in un lutto profondo, preesistente e nascosto, ma il suo ò un volto ingannevolmente domestico. Come dice, a un tratto, Giovanna: «Quando ho dovuto affrontare cose impegnative, grossissirne, mi sono sempre trovata in mano delle buone armi, ma se dovevo combattere piccole cose, tante volte mi trovavo in mano soltanto dei temperini». Alberto Papuzzi

Luoghi citati: Austria, Germania, Italia, Norvegia, Polonia, Svezia, Ungheria