Il plastico viaggia nascosto nei tappeti di Andrea Di Robilant

Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna si preparano alla guerra parallela dichiarata dai fìlo-iracheni Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna si preparano alla guerra parallela dichiarata dai fìlo-iracheni Il plastico viaggia nascosto nei tappeti Anche i militari presidiano i possibili obiettivi del terrorismo Agli Usa il comando delle forze italiane ALLARME sul fronte del terrorismo mediorientale è scattato sei giorni prima dell'ultimatum dato a Saddam Hussein dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Mercoledì 9 gennaio i servizi segreti di Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna hanno comunicato ai rispettivi governi un quadro preciso di quella che si presenta come una «guerra» parallela già dichiarata dalle centrali del terrore da tempo installate sul territorio iracheno. Subito, nel nostro Paese, sono scattati i piani di emergenza speciale. La difesa di alcune strutture è stata affidata alle forze armate poste alle dipendenze dei prefetti. Le informazioni sono arrivate dai servizi Nato e da quelli orientali che per la prima volta hanno lavorato in perfetta sintonia, in un clima di grande collaborazione. Il Sismi italiano si è avvalso dei buoni rapporti con gli uni e con gli altri ed ha messo a punto uno scenario abbastanza chiaro. Numerosi terroristi sarebbero transitati negli ultimi mesi dalla Jugoslavia, provenienti da Cipro e Grecia. Alcuni avrebbero installato le proprie basi in Paesi dell'Est come Cecoslovacchia, Polonia, Bulgaria, Romania. Altri avrebbero organizzato delle vere e proprie cellule in territorio slavo con la funzione di appoggio dei commandi operanti in Europa. Alle frontiere tedesca e francese sarebbero stati intercettati consistenti quantitativi di tappeti che nascondevano nella trama del tessuto esplosivo al plastico non individuabile da nessuno dei moderni metaldetector in dotazione ad aeroporti e stazioni ferroviarie. Altro esplosivo liquido sarebbe stato camuffato in cornici, fotografie, libri ed oggetti di chincaglieria. Infine un gruppo di persone sospettate da tempo di collegamenti con il terrorismo sono scomparse, sottraendosi ai controlli dei servizi di sicurezza. E a nulla sarebbero servite le ricerche effettuate dalle autorità competenti. E' difficile dire sino a che punto le informazioni raccolte dai servizi segreti troveranno riscontro nella realtà. La piena e completa collaborazione tra gli 007 dell'Est e quelli dell'Ovest autorizza tuttavia a rite¬ nere che le fonti delle informazioni siano state sottoposte ad un controllo incrociato. I rapporti preparati dalle «intelligence» dei vari Paesi indicano nei capi arabi più oltranzisti i responsabili della catena di terrore pronta a colpire in Europa ma capace anche di infiltrarsi nel territorio degli Stati Uniti. I nomi e le sigle sono quelli di sempre: Abu Abbas, capo del Fronte di liberazione della Palestina, responsabile del dirottamento della Achille Lauro; Abu Nidal, leader del FatahConsiglio rivoluzionario che la giustizia italiana ha ritenuto responsabile della strage di Fiumicino (27 dicembre 1985); il colonnello Hawari del Fronte popolare per la liberazione della Palestina; il gruppo «15 Maggio» che fa capo ad Abu Ibra- him; ed infine l'Hezbollah, il «partito di Dio», che per il rapimento da parte israeliana di uno dei suoi capi provocò l'impiccagione per rappresaglia del tenente colonnello dei marines William Higgins. E' stato tracciato anche il quadro degli attentati possibili nel nostro Paese. Gli obiettivi sono stati indicati in un documento segreto consegnato alle più alte cariche dello Stato. Le misure di sicurezza necessarie sono state già adottate. In ordine di importanza l'obiettivo più caldo è risultato l'aeroporto internazionale di Roma-Fiumicino. Il piano di emergenza speciale prevede lo stato di massima all'erta ventiquattr'ore su ventiquattro. Basta nulla per far scattare una sorta di allarme rosso. Il numero due è la base Nato di Camp Derby, con il vicino porto di Livorno. Ed ancora: gli aeroporti militari di Aviano e Sigonella, e quelli di Decimomannu e Capodichino. Seguono gli insediamenti petroliferi di Venezia, Livorno, Genova, Napoli ed Augusta. L'elenco comprende anche le industrie strategiche come la Selenia (presidiata dall'esercito), alcuno stazioni ferroviarie, società commerciali e filiali delle compagnie aeree. Non viene esclusa la possibilità di azioni dimostrative nei luoghi di ritrovo e ricreazione dove si raccolgono un gran numero di persone come cinema, teatri, stadi e discoteche. Possibili obiettivi sono infine considerati alcuni centri culturali, personaggi rappresentativi e strutture simboliche. Telex cifrati aggiornano di ora in ora la massa di informazioni che il Sismi "riceve e scambia con i servizi Nato e con quelli dei Paesi orientali. Questi ultimi hanno fornito anche in questi giorni indicazioni prezioso. Il servizio italiano ha messo in piedi un'unità di crisi coordinata personalmente da Fulvio Martini. L'ammiraglio, che da sette anni è alla guida de! Sismi, tiene personalmente i contatti con i capi degli altri servizi. Al secondo piano di Palazzo Baracchini, dove ha sede il cuore dell'«intelligence» italiana, spira da tempo aria di crisi. Il mandato di Martini scade tra poco più di un mese, ma già alla fine dell'estate c'è un candidato alla poltrona più scomoda della gerarchia militare. La destituzione anticipata non è piaciuta all'ammiraglio, che ha rifiutato le offerte ricevute e ha annunciato che si ritirerà a vita privata. E' una crisi che il servizio segreto non può permettersi in un momento tanto delicato per la sicurezza del Paese. ROMA. Le forze militari italiane combatteranno nel Golfo sotto il comando americano. La decisione è già stata presa dal governo e sarà annunciata oggi a Parigi alla riunione della Ueo, l'organizzazione che riunisce i Paesi europei della Nato. A facilitare la decisione del governo, resa ancora più delicata dalla forte opposizione espressa ieri dal pei alla presenza italiana nel Golfo, è stato l'annuncio a Parigi che anche le forze francesi opereranno sotto il comando degli Stati Uniti. Le forze italiane sono composte da dieci Tornado (trecento aviatori) di stanza nella base di Al-Dhafrah, in Arabia Saudita; da tre fregate - Orsa, Libeccio e Zeffiro - e da una nave appoggio, la Stromboli. Per avvicendamenti già previsti, ieri è arrivato il cacciatorpediniere Audace, mentre sono partite da Taranto la naveospedale San Marco e la fregata Lupo. La partenza delle due navi ha provocato qualche tafferuglio: mentre due canotti di Greenpeace scortavano le navi fino al mare aperto, un corteo attraversava le vie del centro, scandendo slogan contro la guerra e poi scontrandosi con un massiccio schieramento di polizia e carabinieri. Il governo ha anche affrontato il problema del trattamento degli iracheni che si trovano in Italia. E ha deciso di presentare in Parlamento, subito dopo il dibattito che finisce stamane, un decreto in base al quale i militari iracheni che dovevano portare in Iraq dieci corvette commissionate all'Italia rimarranno consegnati sulle navi, a La Spezia. Nel frattempo il governo continua la sua attività diplomatica nell'estremo tentativo di scongiurare una guerra nel Golfo. «Qualche speranza c'ò ancora», ha detto ieri il ministro degli Esteri Gianni De Michelis. E in particolare il ministro non rinuncia a sfruttare fino all'ultimo il canale palestinese. «L'Olp - dice - rimane un possibile canale aperto». Per tenersi in contatto con Arafat e il vertice Olp, De Michelis ha «passato la notte al telefono». Ma riconosce che i segnali provenienti dai palstinesi non sono né chiari né incoraggianti. L'idea sulla quale la diploma¬ zia italiana continua a lavorare ormai da settimane è quella di convincere Arafat a fare un appello a Saddam Hussein affinché si ritiri. L'impressione della Farnesina, infatti, è che un'iniziativa del genere costringerebbe il leader iracheno a riconsiderare la sua posizione poiché non potrebbe più presentarsi come il paladino del popolo palestinese. Ma lo stesso De Michelis riconosce che dopo l'uccisione due giorni fa a Tunisi di Abu Iyad e di Abu al Hol, due tra le figure più influenti in seno all'Olp, il margine di manovra di Arafat si sia considerevolmente ridotto. Una delle ipotesi che circola in questi giorni è che i due palestinesi siano stati uccisi anche perché nei giorni scorsi avevano valutato con interesse la proposta italiana per un appello di Arafat a Saddam Hussein. E questa ipotesi è stata avvalorata esplicitamente ieri dal segretario del partito socialista Bettino Craxi nel suo discorso nell'aula di Montecitorio. «Il giorno prima di essere assassinato il leader palestinese Abu Iyad si era incontrato a Tunisi con l'ambasciatore italiano Claudio Moreno», ha detto Craxi. «Egli aveva ascoltato le proposte contenute in un messaggio del governo italiano. Le aveva commentate favorevolmente, aveva dichiarato di condividerle, si era immediatamente attivato per stabilire i contatti necessari». Cosa proponeva l'Italia ad Arafat? «L'Olp avrebbe chiesto il ritiro iracheno dal Kuwait ha spiegato Craxi - e lo avrebbe fatto nell'interesse della pace, mettendo in rilievo l'interesse vitale del popolo palestinese a collocare la propria "questione" in una cornice di pace». Secondo Craxi, Abu Iyad «aveva capito l'importanza di portare il peso dell'Olp sulla bilancia di un processo di pace. Lo hanno capito anche i suoi nemici ed i nemici della pace ed è per questo che è stato assassinato». «Purtroppo - ha concluso il leader socialista - ancora una volta il popolo palestinese si trova nel mezzo di una bufera e rischia di essere trascinato lontano dai suoi obiettivi». Andrea di Robilant