Un blitz senza segreti

Un blitz Un blitz senza segreti Una prolungata tensione nuocerebbe al morale dei militari e Saddam Hussein, in un ennesimo gesto di demenza, potrebbe colpire Israle, dilatando così le dimensioni del conflitto. Cosa inaugurerà l'escalation? Una imponente operazione per la celere conquista dei cieli. E' impensabile che l'Iraq, con i suoi 700 jet, dei quali 50 soltanto, i Mig-29, sono potenti e temibili, possa resistere all'offensiva di 1300 formidabili aerei americani, più altri 400 degli alleati europei e islamici. Allo stesso tempo, queste squadriglie distruggeranno le basi di missili, gli impianti militari, i campi di aviazione. Poi l'«apocalisse», un lungo bombardamento contro le forze irachene di terra schierate attorno al Kuwait. Vi parteciperanno aerei, navi e artiglierie, un bis, dicono gli esperti, del tifone di ferro e di fuoco che precedette lo sbarco in Normandia. Infine, avanzeranno carri e uomini. Soprattutto di notte, perché i tank alleati dispongono delle ultime tecnologie per combattere nell'oscurità. I marines americani tenteranno allora di sbarcare sulla costa kuwaitiana; le forze multinazionali e il 18° Corpo d'armata Usa circonderanno Kuwait città; e il 7° Corpo d'armata si spingerà forse verso Al-Nasiriya, fra Kuwait e Baghdad. Questo, dunque, il canovaccio. Ma difficilmente si snoderà così, senza groppi, senza sfilacciature. I soldati angloamericani ricordano in queste ore la Legge di Murphy, quella che, con humour amaro ma saggio, insegna che «se qualcosa può andare a rotoli, a rotoli va». AVID Evans, uno studioso americano di questioni militari, scrive dall'Arabia Saudita: «Quando i mezzi corazzati scenderanno in campo, si assisterà alla più colossale battaglia della storia». Non basta: «Tanti e tali saranno gli aerei che causeranno, nel cielo del Kuwait, un'eclissi parziale di Sole». Il linguaggio è iperbolico, ma la visione è corretta: ed è condivisa da tutti i «professionisti» delle arti belliche sulle due sponde dell'Atlantico. Il canovaccio della strategia alleata non è più un segreto e ha una sua robusta logica. Ma la guerra non è una parata in piazza. Come insegnava il feldmaresciallo Helmuth von Moltke, il genio prussiano: «Nessun piano sopravvive allo scontro con il nemico». Spieghiamoci meglio. La certezza di una vittoria alleata è pressoché totale, ma la strada per arrivarvi potrebbe rivelarsi più ardua e più lunga dello sperato. Il generale Norman Schwarzkoph, il comandante supremo di Desert Shield, lo scudo del deserto, avverte: «Non facciamoci troppe illusioni. Questa guerra potrebbe durare fino a sei mesi». I più calcolano trenta giorni, soltanto i super ottimisti si cullano nell'attesa di un rapidissimo collasso iracheno, già scorgono un oceano di disperate bandiere bianche. Anche l'International Institute for Strategie Studies, a Londra, consiglia prudenza: «Gli alleati prevarranno gradualmente, con una escalation di iniziative». Questa escalation - aggiunge l'Institute londinese dovrebbe cominciare «assai presto», per molti motivi. Un gruppo di musulmani americani si è riunito ieri in preghiera • nella moschea Al Falah di New York [fotoap]

Persone citate: Falah, Norman Schwarzkoph, Saddam Hussein, Shield

Luoghi citati: Arabia Saudita, Baghdad, Iraq, Kuwait, Londra, New York, Usa