«Via da Baghdad è la guerra» di Sergio Quinzio

Gli Usa: ogni momento è buono. Mitterrand: la parola ora passa alle armi Gli Usa: ogni momento è buono. Mitterrand: la parola ora passa alle armi «Via da Baghdad,, è la guerra» Il Papa a Bush e a Saddam: non sparate MA BUSH NON PUÒ' STRAVINCERE LA MORTE SENZA MASCHERA LNEW YORK A potenza distruttiva che George Bush ha dispiegato nel Golfo Persico avrebbe dovuto costringere alla resa Saddam Hussein in virtù del puro potere di intimidazione che le armi americane possiedono. Ma il dittatore iracheno ha temerariamente accettato la sfida. E ora, scaduto l'ultimatum, Bush non ha vie d'uscita: non avendo conseguito la vittoria psicologica, deve cercare la vittoria militare sul campo. Ed è prevedibile che non aspetti più di qualche giorno per lanciare l'attacco, perché il tempo (sia per ragioni internazionali connesse con la fragilità della coalizione anti-Hussein sia per il dissenso interno che sta esplodendo in America soprattutto tra i giovani) lavora contro la Casa Bianca. Che tipo di guerra verrà combattuta? La risposta è già tutta nelle armi che si affrontano nel Golfo: da una parte i tremendi arsenali del futuro, con i precisissimi missili di crociera, con i cacciabombardieri invisibili ai radar, con l'elettronica che guida i proiettili anche nel buio della notte; e dall'altra la statica guerra del passato, con i carri armati, il fuoco d'artiglieria, le trincee, i fili spinati, le fortificazioni. Sulla carta, è una guerra impari. L'Iraq può soltanto perdere, ed in maniera devastante. Dunque: o Saddam Hussein è un pazzo votato al martirio oppure confida cinicamente nelle capacità di resistenza del suo popolo per un periodo abbastanza lungo da fiaccare la volontà politica americana. Perche egli calcola che se l'America è assai più forte nei ferramenti della distruzione, l'Iraq è più capace di soffrire. E' un calcolo terribile, ma e pur sempre un calcolo che ha ìa sua logica. Mentre sui propositi di Hussein possiamo solo fare congetture, sulla strategia militare americana possiamo avanzare ipotesi fondate sulle dichiarazioni pubbliche dei suoi ideatori oltre che sulle autorevoli opinioni di alcuni esperti. Lo scenario più attendibile prevede un conflitto in tre fasi, le prime due delle quali - gli attacchi aerei - ci saranno con certezza, la terza invece - il conflitto terrestre - potrebbe anche non esserci. La prima fase prevede attacchi aerei e missilistici notturni Gaetano Scardocchia CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA Indice La crisi del Golfo 2-12 Estero 13 Interno 15 Cronache 16-19 Società e Cultura 23-25 Spettacoli 27-29 Economia 31-34 Sport 35-37 I motori 38-39 WASHINGTON. «D'ora in poi ogni momento è buono per l'attacco»: mentre scorrevano le prime ore dopo la scandenza dell'ultimatun Onu senza che le truppe che si fronteggiano nel deserto sparassero un colpo, da Washington gli uomini di Bush hanno lanciato precisi segnali per indicare che il momento della guerra è ormai vicino. La Casa Bianca ha lanciato un appello urgente ai giornalisti che ancora restavano a Baghdad perchè lascino «in fretta» l'Iraq; le Nazioni Unite hanno deciso di trasferire gli osservatori militari incaricati di vigilare la pace tra Iran e Iraq in una località vicino al confine iraniano, lasciando la capitale irachena. Anche sul piano militare si sono moltiplicati i segnali allarmanti. Una squadriglia di superbombardieri B-52 è decollata dalla loro base nell'isola Diego Garcia e si è diretta in una località segreta in prossimità dell'Iraq. Sono iniziate anche le prime schermaglie elettroniche tra i due eserciti: gli americani hanno cominciato a oscurare le comunicazioni tra le forze di Baghdad, misura indispensabile per rendere più sicuro l'attacco dell'aviazione. Sono ormai rassegnati alla guerra anche i governi come quello francese che fino al'ultimo si sono battuti per cercare una soluzione diplomatica: il presidente Mitterrand in un messaggio televisivo alla nazione ha detto che «ormai la parola è destinata a passare alle armi». Da Mosca è partito un ultimo appello a Saddam: «Iniziate il ritiro subito perchè Washingl on non sta bluffando». Mosca ha però ribadito che non parteciperà in messun modo al conflitto nel Golfo. In Israele Shamir ha annunciato un accordo di cooperazone militare con Bush. Benedetto Bisio, Candito, Ciriello, Colombo Del Buono, Man, Pantarelli Passarmi, Patruno, Rampoldi Sansa Tosarti Zaccaria ALLE PAGINE 2,3,4, 5, 6 ,7 AD incombere su di noi, con la minaccia della guerra, è la morte, l'ultimo tabù che ci è rimasto, la cosa che non vorremmo sapere, la cosa di cui non vogliamo parlare. Ed è la morte nella sua forma più brutalmente esplicita: uccidere, essere uccisi. Un tempo, e ancora oggi in altri luoghi del mondo, la morte era perfettamente visibile, la gente moriva nelle case e lungo le strade. La gente moriva sui campi di battaglia, e quel tipo di morte era considerato, da epoche immemorabili, glorioso. Moriva sul patibolo, nel mezzo di Lina piazza, e i boia più abili erano apprezzati e ben pagati. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per rendere la morte invisibile. Abbiamo dei posti dove si va a morire, e sono posti sempre più inaccessibili, nei quali la faccenda è affidata a specialisti. Non vedendo più la morte in mezzo a noi, ci è diventato inconcepibile il modo in cui le generazioni venute prima di noi hanno pensato il morire, l'uccidere, l'essere uccisi. Eppure, sembra evidente che il nostro più o meno consapevole progetto di nascondere ed esorcizzare la morte non funziona. Infatti i nostri teleschermi, le nostre cronache, perfino i nostri spettacoli, sono normalmente riempiti da scene macabre o sanguinolente. Ma si tratta di una specie di vaccino: la morte diventa ancora più invisibile e ancora più impensabile quando siamo ininterrottamente abituati, invece che a scontrarci con essa nella nostra vita, a vederla filmata, fotografata, raccontata stando seduti Il presidente iracheno Saddam Hussein inginocchiato in preghiera, prima della scadenza dell'ultimatum [fotoapj Sergio Quinzio CONTINUA A PAGINA 6 PRIMA COLONNA n Am di Torino