Un mondo oppresso dalle «dottrine»

Un mondo oppresso dalle «dottrine» Un mondo oppresso dalle «dottrine» Einaudi: «Coi secoli, anche il comunismo sarà diverso» Arturo Carlo Jemolo nasceva a Roma cento anni fa, il 17 gennaio del 1891. Anticipiamo alcune lettere del carteggio con Luigi Einaudi, che verrà pubblicato sul prossimo fascicolo della «Nuova Antologia», distribuito il 15 marzo. Toccano vari temi: l'ingresso del fascismo nel «Corriere», il mancato trasferimento a Torino di Jemolo, nel '32, e la riflessione sui totalitarismi, nel dopoguerra. L'intera corrispondenza, ricavata dall'Archivio di Stato e dalla Fondazione Einaudi, copre un arco di quarantanni, dal novembre '22 al marzo '60. La Nuova Antologia sta pubblicando tutti i carteggi di Jemolo. Sono già apparsi quelli con Biagio Marin, Paolo Baffi e Francesco Ruffini. 1925: l'ora è tristissima Bologna, 28 novembre 1925 Illustre Senatore, so che questo è un giorno tristissimo per Lei. Il foglio di cui Ella da tanti anni è così gran parte - dal quale ha svolto un'opera così alta e così meritoria, che mi auguro abbia a trovare il suo storiografo, opera d'istruzione e di educazione del nostro popolo che ha sempre cozzato contro la maraglia degl'interessi, ma che pure qualche benefico effetto ha prodotto - viene meno idealmente se non materialmente. E poiché il caso mi ha reso testimonio del Suo dolore per questo crollo e per il distacco dagli Albertini, sento oggi il dovere, come antico allievo e come Suo devoto e reverente ammiratore, di esprimerLe quanta parte prendo a questo Suo dolore. Non se s'Ella sul nuovo Corriere potrà e vorrà continuare la Sua opera, che andava a tutta la nazione, e ch'è di quelle che possono continuarsi in ogni regime. Diversamente, quanti non avevamo altra cultura economica all'infuori di quella dataci dalle colonne del Corriere, cercheremo, sfogando un po' la nostra ignoranza, di trovare sulle pagine della Riforma sociale quelle cognizioni di cui non è possibile fare a meno. L'ora è tristissima: più triste ancora per i pessimisti come me, che pensano siasi iniziato un pe¬ riodo di dominio della forza e di soffocamento di tutti i valori spirituali che durerà più di noi. (...) Dev. A. C. Jemolo Non vuole la cattedra? Torino, 21 aprile 1932 Caro Jemolo, io avrei molto desiderio che Ella potesse confidenzialmente scrivermi qualche cosa in merito alla cattedra di Diritto Ecclesiastico di Torino, "aturalmente io ho chiesto in primo luogo il parere al Suo e mio amato e venerato Maestro (Francesco Ruffini, n.d.r.) e, come Egli giustamente in primo luogo mi fece il Suo nome, a questo senz'altro avevo riservato il mio voto. Mi si dice però che sia molto probabile, anzi quasi certa, una Sua chiamata a Roma, che in questa contingenza sarebbe non conveniente dì muoversi da Bologna, che vi siano altre circostanze famigliari o personali, che La possono sconsigliare di allontanarsi dalla Sua attuale sede. Ma tutto questo è un «si dice» ed io penso che la cosa migliore sia quella di chiedere senz'altro a Lei. Va da sé che io ardentemente desidero che questi «si dice» siano infondati, e che mi sia dato di poter contribuire con il mio piccolo voto a farla venire qui con noi. (...) Luigi Einaudi Ho pochi soldi resto a Bologna Bologna,24 aprile 1932 Illustre e caro Maestro, grazie della Sua lettera del 21. Per pochissimi uomini al mondo nutro tanta stima e tanta devozione come per Lei, e per questo ogni cenno di Sua benevolenza mi è oltremodo grato. Venire a Torino? Torino è rimasta per me la città incantata dell'adolescenza e della prima giovinezza: piemontese solo a metà per sangue, e molto meno che a metà per anni vissuti, codesta è rimasta la parte d'Italia cui spiritualmente inerisco sempre. Non so parlare piemontese, e nessuna parlata mi dà tanta gioia quando la sento risuonare all'orecchio: ed i colli di Torino, i suoi viali, il suo Po costituiscono l'angolo d'Italia che mai dimentico, e che ogni due anni almeno occorre torni a rivedere. Sono riuscito a rendere Torino una città di sogno e di prodigio agli occhi del mio bambino che non l'ha mai vista. E venire nella venerata cerchia dei maestri carissimi, sedere sul seggio di chi intellettualmente mi ò stato in più lati padre, sarebbe onore unico per me. Ma non posso ambirvi. Siamo poveri, ed abbiamo cominciato la famiglia col solo stipendio. Miseria no, ma privazioni molte, e qualcuna anche un po' umiliante, perché i bisogni sono relativi all'ambiente in cui si vive, e quello universitario non è di poveri. Poi ho cominciato un po' di attività professionale: rimasta modesta: ma che è bastata a permettere tante cose un tempo non consentite, a rinfrancarci un po'. Non mi sento di chiedere alla famiglia di tornare indietro, al punto di partenza. L'offerta romana forse non verrà mai (ci sono storici del diritto, più anziani assai di me, e deputati, che ambiscono quella cattedra); e sarà meglio. Venendo, forse non potrei rifiutare, per riguardo a mia suocera, che avrebbe carissimo un avvicinamento nostro, ed anche perché tra Cassazione e Consiglio di Stato spererei qualcosina di salvare. Ma a Torino non ci sarebbe che lo stipendio. Non posso. Dico subito la ragione che non consente repliche. Soggiungo che se questa non ci fosse, ci sarebbero sempre due gran se: l'imbarazzo a salire sulla cattedra del mio Maestro, dato il modo com'egli ne è sceso (non vedo bene come possa tenere la prolusione chi è in rapporti di tanta riconoscenza e di tanto affetto quali sono i miei con lui); la repugnanza a tagliare la strada per una predilezione sentimentale a due amici di quasi un quarto di secolo, carissimi entrambi (...). Grazie ancora del ricordo e delle buone parole. Io non manco di cercare sempre attraverso colleghi e conoscenti di avere notizie Sue e dei Suoi figlioli, ricchi di tante promesse. Con reverenti e devoti ossequi alla Signora, la prego di credermi sempre Suo dev, A. C. Jemolo Stalin non ci meraviglia Dogliani, 20. VII. 59 Caro Jemolo, Le faccio molti complimenti per il suo articolo sui magistrati. Chiarendo, ho sempre manifestato il mio consenso con i pochi i quali ritengono che ai magistrati dovrebbe essere assolutamente proibito di adempiere qualunque ufficio nel Ministero grazia e giustizia e in qualunque altro Ministero. E come si può fare a meno di una carriera e di gradi in una folla di 5500 persone? Come accade che 5500 siano pochi e, a non parlare dei saggi anglosassoni, i magistrati della Cassazione di Roma siano tanto più numerosi di quelli della vicina Francia? Perché i suoi articoli non sono sempre così docili? Anche il tipo contemplativo che Lei predilige, ha il suo fascino. Ma ogni tanto lo contemperi con l'altro tij-O. L'ultimo, che leggo oggi 19 luglio, potrebbe essere un po' voltato nell'altro senso. Un punto essenziale panni sia questo: ci sono dottrine politiche, sociali ecc. ecc. che necessariamente conducono a certe illazioni? Il comunista, il credente dell'idea del sangue, razza ecc. (Hitler), il cattolico del Sillabo sono coerenti quando negano l'infedele, l'eretico e lo vogliono distrutto. Gli autodafé, le camere a gas, i processi Stalin non meravigliano. La logica ci assiste. Non potevano non commettere quegli atti. Hanno ragione di meravigliarsi delle critiche altrui. Kruscev non può non ragionare come fa per Berlino. Coi secoli i cattolici, sono diventati diversi. La gran parte dei parroci, rnqlti vescovi non conoscono e no ■ cordano il Sillabo. Non lo rim. ^ano; ma ò come se non esistesse. Speriamo che coi secoli altrettanto accada per i comunisti. Ma non lo vedremo (...). Suo Luigi Einaudi Quanto può la ragione? Roma, 23 luglio '59 Illustre e caro Maestro, sul problema dei magistrati sono tornato sull'ultimo numero del Mondo; e problema su cui ci sarebbe da scrivere dei libri. Nella buona burocrazia che ho conosciuto non si ammetteva che un unico ufficio legislativo, al Ministero di Grazia e Giustizia, ed un