Parlamento vuoto la gente in piazza

Aspettando il conflitto nell'aula della Camera, rimasta aperta per tutta la notte Aspettando il conflitto nell'aula della Camera, rimasta aperta per tutta la notte Parlamento vuoto, la gente in piazza Davanti a Montecitorio, candele, fiori e pacifisti cialista Agostino Marianetti racconta come si sono svolti i lavori della direzione del suo partito e anzi il divertente Sacconi (divertente nel senso che è un grande imitatore) riproduce fedelmente Rino Formica che avrebbe detto: «Io sonc contro il pacifismo cialtrone e sono anche contro l'interventismo cialtrone. Si può sapere che razza di^Paese è il nostro in cui si praticano entrambi i cialtronismi?». Gli storici si chiederanno: com'era il Parlamento, quella sera? Davvero i deputati del popolo erano angosciati? Probabilmente sì, anzi certamente, perché la paura della guerra alle otto di sera di quella sera aveva afferrato alla gola ogni cittadino, e ogni cittadino si sentiva strangolato. Ma la loro angoscia i deputati la mostravano non camminando mestamente, o tacendo, ma vociando, chiamandosi come se fossero studenti alla vigilia degli esami. Un senso di cupa impotenza gravava quella sera sul Parlamento della Repubblica. E con il senso di colpa emergeva anche il diffuso desiderio (fra i comunisti, ma anche fra moltissimi democristiani) di mollare gli Stati Uniti e trovare un accordo con Saddam Hussein. Ieri si parlava di stamattina come di un giorno indecifrabile. Ci sarà Consiglio dei ministri all'alba, e subito dopo il Parlamento si affollerà, per discutere, discutere, ma senza arrivare però a un voto di fiducia. Del resto, fiducia a chi e su che cosa? Sull'intervento? Sul contin¬ «Angoscia, paura, preoccupazione e rabbia»: sono i termini più usati in queste ore nel Transatlantico di Montecitorio gente? Vedremo. Intanto i deputati Giuseppe Fiori e Luigi Onorato, sono indignati per un risvolto macabro che potrebbe venire a peggiorare il già triste orizzonte. Riguarda la fucilazione, la pena di morte in Italia. Se l'Italia va alla guerra, c'è rischio che si renda applicabile la pena di morte nei casi previsti dai codici militari. Come impedire che qualcuno possa convocare il plotone d'esecuzione? I due deputati chiedono a gran voce che valga come «stato di guerra» soltanto quello deliberato dalle Camere in caso di aggressione esterna. Le nove di sera. L'aula è vuota. Alla presidenza l'onorevole Aniasi parla davanti ai banchi vuoti. Parla a raffica, per sbrigarsi, come è giusto. Un gruppetto di deputati aspetta che lui finisca per uscire. Escono. Il Transatlantico cade nel silenzio. Fuori c'è una manifestazione sulla piazza, trattenuta dalle transenne e sorvegliata da un reparto di polizia. I manifestanti sono ragazzi, gli stessi del grande corteo di sabato. Indossano per lo più la kefia palestinese, sono schierati con un immaginario «mondo arabo» composto dai buoni, gli ultimi indiani, minacciato dal Settimo Cavalleria, perfido esattore del mondo reale. Barbe, baffi, capelli lunghi, uno struggimento: sembra di essere tornati indietro di più di vent'anni. Per terra è disposta una sciarpa bianca e nera e sopra la sciarpa sono deposti garofani bianchi. I garofani bianchi sono stati cooptati come simbolo dei nuovi pacifisti. In circolo cantano sull'aria di «Addio mia bella addio» una contro-canzoncina molto carina, di cui abbiamo afferrato una strofetta che dice: «Addio mia bella addio, l'armata se ne va, ma se aspetta che parta anch'io, ha voglia ad aspettar». Di nuovo la parola d'ordine ripetuta è «diserzione». L'iconografia, cartelli e foto, slogan e striscioni, insiste sulle immagini dei carri armati che avanzano, delle città devastate dalle bombe come Norimberga. C'è Pietro Innrao, fra loro, e c'è Gavino Angius. Un giornalista di spirito commenta: «E' la seconda mozione in cerca di emozioni». Il Parlamento resta aperto per tutta la notte. Per far che cosa, non è chiaro, visto che la guerra non dovrebbe scoppiare prima dell'alba, ammesso che scoppi e che scoppi subito. Però, sulla puntualità delle guerre, nel cominciare e nel finire, nessuno è in grado di giurare, e così la risa dei rappresentanti del popolo resta aperta, illuminata, vuota, fastosa, ma anche mesta. Radioline. La gente ha le radioline all'orecchio, a caccia di notizie. La folla cresce verso le dieci. Tira aria di allegra veglia giovanile. Della Lituania, dei veri morti ammazzati di Vilnius, non glie ne importa niente a nessuno: non vedi un cartello, uno striscione, non senti uno slogan che parli di Riga neanche se ti sguerci. Esiste soltanto la bella guerra per ora soltanto immaginaria. Anche di quelle poche migliaia di morti ammazzati in Kuwait non si trova traccia, né memoria. E' una festa, un rituale. Nessuno ha voglia, qui fuori dal Parlamento, di parlare dei fatti reali nella loro dimensione e storia reale. Poco prima il democristiano Ravasio aveva detto: «Sono ottimista per natura. Sento che succederà qualcosa per cui non si farà la guerra. Siccome nel comportamento di Saddam Hussein non c'è nulla di razionale, magari l'apparizione di Allah potrà suggerirgli di usare la testa». Ma anche il conflitto che si sta svolgendo qui non ha molto di razionale ed appartiene quasi interamente alla sfera delle emozioni. Sulla piazza sono state accese molte candele e i manifestanti seduti in circolo scandiscono: «Obiettare non è reato, nessun ragazzo partirà soldato». E poi: «Italiani a casa, yankees go home». A fianco dell'obelisco di Montecitorio è stata issata la bandiera dell'Olp, che sventola sopra quella iridata dei pacifisti comunisti. Uno striscione, destinato ai parlamentari, esprime una supplica in caratteri giganteschi: «Non ingolfiamoci». Così è finita questa vigilia di possibile guerra nella capitale della Repubblica, con i palazzi illuminati dai bagliori delle fiaccolate e la notte romana, mai gelida, che accoglie adolescenti dalle fronti cinte con bende bianche. I deputati sono in trattoria, perché la giornata è stata dura e faticosa. Paolo Guzzanti ROMA. Questa mattina Andreotti chiederà alle 9,30 alla Camera e alle 10,30 al Senato di autorizzare il governo a compiere con i nostri militari una «operazione di polizia internazionale» per costringere l'Iraq a obbedire alle risoluzioni dell'Onu ritirandosi dal Kuwait. Per le 8 è convocato il Consiglio dei ministri per decidere se chiedere o no il voto di fiducia su una risoluzione che di fatto porta l'Italia in guerra. Nella notte la Camera è rimasta ininterrottamente aperta, a disposizione di parlamentari e giornalisti. Non era mai successo. Migliaia di pacifisti hanno fatto una veglia notturna su piazza Montecitorio, in molte chiese si è pregato nella notte per la pace. Ieri sera la «fiducia» al governo veniva esclusa perché, si diceva negli ambienti di Palazzo Chigi, soffocherebbe inutilmente il dibattito e creerebbe un non necessario clima di scontro con le opposizioni. Il pei, infatti, questa volta ha deciso con voto unanime di chiedere il ritiro dei nostri militari in caso di conflitto armato. La verità è che l'incertezza regna su tutto e le scadenze proposte per oggi sono solo un esile canovaccio sul quale governo e Parlamento dovranno recitare a braccio. Perché ieri sera nessuno poteva prevedere se l'Italia si sarebbe svegliata oggi con la guerra in corso nel Golfo. Quella del Parlamento sarà una lunga rappresentazione, tacitamente concordata tra maggioranza e opposizione per prendere tempo in attesa degli eventi. Camera e Senato, in diretta tv, discuteranno sul da farsi per l'intera giornata e per un pezzo della notte. Contrariamente alle previsioni di ieri mattina, non ci saranno limiti agli interventi. Il presidente del Consiglio replicherà giovedì mattina e dopo si voterà. Dall'ultimatum saranno passate più di 24 ore. Tutti sperano che nel frattempo si verichi un qualche intervento miracoloso che eviti all'ultimo istante la guerra. Si è sperato nella mediazione della proposta dei francesi, si spera nell'Olp di Arafat, si spera nel Papa. Ma il senatore Fanfani esortava Andreotti ad arrivare al voto entro oggi per evitare «agitazioni popolari, movimenti di opinione pubblica e anche mutamenti della posizione di qualche partito della maggioranza». Ieri, per l'intera giornata, si sono susseguite le riunioni delle direzioni dei partiti. La de è combattuta tra i richiami del Papa e l'esigenza di tener fede agli impegni presi con l'Onu. «Noi non possiamo pretendere che siano sempre gli americani I ad assumersi gli oneri dell'azio-