la Germania schiera le difese

Se sarà guerra i tedeschi metteranno sul mercato le riserve di petrolio Se sarà guerra i tedeschi metteranno sul mercato le riserve di petrolio la Germania schiera le difese La City sceglie la «guerra breve» Nelle zone calde non c'è più sicurezza Le imprese italiane abbandonano il Golfo Cantieri ancora aperti in Arabia La maggior presenza è di Iri o Eni LONDRA. Tutto pronto per l'emergenza. Ieri è stata la Germania ad annunciare di aver messo a punto il dispositivo di difesa della propria economia. Il governo di Kohl ha fatto sapere di essere pronto a immettere sul mercato le scorte strategiche di petrolio e a prendere provvedimenti per «calmierare la domanda» se sarà richiesto dal programma petrolifero di emergenza, approvato venerdì dall'Aie, l'agenzia internazionale per l'energia. Tuttavia, un portavoce del ministro dell'Economia ha aggiunto di «non poter fornire dettagli sull'operazione» e in particolare di non poter «quantificare» quanto petrolio potrà essere fornito ai mercati dalle riserve strategiche tedesche, nel caso fosse avviato il programma dell'Agenzia. Il piano predisposto venerdì dai 21 Paesi che aderiscono all'Aie, che è il braccio esecutivo dell'Ocse, prevede la «liberazione» fino a 2,5 milioni di barili al giorno di greggio, un quantitativo ritenuto equilibrato per soddisfare la domanda, che sarà venduto sul mercato dai governi, attingendo alle scorte, o frenando la domanda in caso di grave carenza delle forniture, o di acquisti dettati dal panico. Il piano, se dovesse accendersi un conflitto, dovrebbe scattare nel giro di 24 ore e entrare a regime nei quindici giorni seguenti. Il grosso delle scorte petrolifere dei governi occidentali si trova in Germania, negli Usa e in Giappone. Gli ultimi due hanno già dichiarato di essere pronti a utilizzare le scorte, come stabilito dal piano Aie, pur non precisando quanto petrolio sarà prelevato. Il Giappone, in particolare, ha rilevato che l'Aie non ha ancora allocato le quote che dovranno essere attribuite ai singoli Paesi. 11 crescere della tensione non sembra però frenare un certo cinismo da parte di economisti e investitori inglesi. La Gran Bretagna del business si interroga infatti sugli effetti della guerra. Ma anche su quelli del¬ la pace. E la risposta lascia perplessi. Già l'ultimo numero del]'«Economist», l'autorevole settimale economico inglese, aveva preso chiara posizione, concludendo: «Non esiste una buona guerra," ma qualche volta una cattiva pace può essere peggiore». Ora arriva il responso di un'inchiesta della «Management and marketing strategy analysts», secondo la quale il 60% dei 115 amministratori delegati delle principali mille aziende britanniche ed economisti dolki City ritiene che una «guerra veloce» sarebbe l'esito migliore del conflitto nel Golfo, dato che potrebbe far uscire l'economia dalla recessione. Soltanto il 35% è favorevole ad un accordo negoziato. Anche la politica di fermezza adottata dal governo britannico, prima dalla Thatcher e poi dal suo successore Major, ò condivisa dalla maggioranza degli intervistati. Il 77% degli amministratori e il 64% degli economisti afferma che gli interessi del Regno Unito, nel lungo termine, sono stati serviti meglio dall'impegno del governo inglese a fianco degli americani, piuttosto che dalla cauta diplomazia dei partners europei. Il 44% degli economisti e il 26% dei quadri sostiene però che la posizione del governo di Londra ha danneggiato la fiducia delle società più di quanto avrebbe fatto un approccio più cauto. Il 74% degli intervistati ritiene che le sanzioni commerciali contro l'Iraq non porteranno alla pace, mentre il 52% non considera vantaggioso evitare la guerra dopo la scadenza dell'ultimatum dcll'Onu. Più della metà prevede una ripresa degli affari se e quando la pace verrà stabilita. Quanto all'atteggiamento della stampa inglese, tutti i 21 giornali nazionali del Paese si sono espressi a favore della guerra. Ford, Chrysler e sindacati per una riduzione della quota di mercato giapponese (32%) (r. e. s.] ROMA. Vigilia di paura anche per le imprese e gli italiani rimasti nelle «zone calde». Dopo aver evacuato il Kuwait e l'Iraq, le imprese italiane ancora presenti nel Golfo Persico si tengono pronte a lasciare anche le ultime postazioni. «Le aziende italiane che hanno teste di ponte nella zona - sono già, tranne alcune eccezioni, a ranghi ridotti e stanno organizzando rapidamente i piani di evacuazione da attuare in caso di guerra», ha detto ieri il vicepresidente dela Confindustria, Carlo Patrucco, quasi a confermare che la macchine è in movimento e che si sta facendo il tutto per tutto per mettere al riparo dai venti di guerra i dipendenti delle imprese ancora sparsi nei luoghi dove le acque potrebbero diventare turbolente da un momento all'altro. I piani di evacuazione che si stanno allestendo riguardano soprattutto l'Arabia Saudita. E' lì, infatti, infatti che il «nocciolo duro» della presenza italiana vive la vigilia della scadenza dell'ora «x» fissata per il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait. Secondo le informazioni raccolte in Italia, i connazionali presenti in Sud Arabia sono circa 400. Duecento circa si trovano a Jeddah, quindi in una zona sicura, fuori dal raggio dei missili iracheni, un centinaio si trova a Riyad, mentre un nucleo piuttosto robusto (tra 60 e 70) sono sparsi lungo la costa tra Dhahran e Jubail, a 300 chilometri dalla frontiera kuwaithiana. uove è situato l'impianto idustriale della Belleli Saudi di Mantova, che impiega 6-700 immigrati, tra tailandesi e filippini. Per tutte queste persone, secondo le stesse fonti italiane, sarebbe già stato predisposto un piano di evacuazione. Se sarà necessario, saranno trasferiti in villaggi all'interno, in zone considerate più sicure, già presi in affitto, lontani dal «triangolo petrolifero», dove sono concentrate le cattedrali dell'oro nero, una delle zone a Nella foto a sinistra, il cancelliere tedesco Helmut Kohl. Sopra, il premier britannico John Major Nuove SportWagon 1.3 e 1.3 L o L 17J50.000 e L 19.650.000 chiavi in mano. Di una SportWagon conoscete la classe, la versatilità e la raffinatezza delle soluzioni tecniche. Da oggi Alfa Romeo e i suoi Concessionari propongono le due nuove versioni 1.3 e 1.3 L: versatili, eleganti, sportive, uniscono alle prestazioni del boxer un grande confort di guida. Nuove SportW;igon 1.3 e 1.3 L: due nuovi allestimenti per un concetto unico di esclusività. HUM SPWIWAGON13 OTOKAtSIHCUJSI WBKWf ounowi»w is uaousmu timed wi m POTBtUOMCVMII tm BtOGUOi 01 m001AIW(bl/k) 173 owsum CEHTSAUBU* m v.viiiunxt i ico ir.t. lor uuiEtouwono ut CDPFM HUSMM (H D») IN/!2< SHtOUO KRMSOB LAID Ul wwstto SPORTWAGON. SI PORTA DIETRO UN MONDO. rischio, dove da giorni, è iniziato un vero e proprio esodo di massa. A Jubal Jubail inoltre c'è il grande porto industriale che gli americani hanno trasformato in un immenso arsenale e più a Sud, dopo il grande desalinatore della Belelli, c'è il Ras Tanura, una delle più grandi distillerie del mondo, dove viene imbarcata una grande percentuale del petrolio destinato all'Europa e al Giappone. La maggior parte dei familiari dei lavoratori italiani ha già lasciato l'Arabia, mentre chi è rimasto, come detto, si trova a Riyadh. Il governo saudita avrebbe già provveduto alla distribuzione di maschere antigas anche nell'impianto di Al Jubail. In Arabia Saudita, si trova anche personale di società dei gruppi Eni e Iri. Quelli dell'Eni sono comunque impegnati sulla costa del Mar Rosso nella costruzione di oleodotti. In altri paesi della penisola arabica come gli Emirati arabi e l'Oman, la presenza delle società Iri ed Eni è stata ridotta all'osso (due o tre persone). In Qatar e nel Bahrein, paesi più prossimi alla zona di un ipotetico conflitto, non è rimasto nessuno. Dove invece l'Ansaldo sta mettendo a punto un piano di evacuazione è in Iran. Qui la società genovese dell'Iri, dove è impegnata da tempo alla realizzazioni di centrali, tra dipendenti e familiari, ha circa un centinaio di persone. Altrettanti sarebbero i dipendenti delle società dell'Eni sparsi nei diversi cantieri aperti in Iran Consistenti le rappresentanze di Iri ed Eni anche in Egitto, mentre in Siria e Giordania non è segnalata nessuna particolare presenza, tranne quella, ad Amman, del rappresentante della Siderexport (Iri). Per quanto riguarda gli uffici dell'Ice, l'istituto per il commercio estero, le sue rappresentanze a Gedda e Riyadh risultano regolarmente aperte, così come quella di Teheran. [r.e.s]

Persone citate: Belleli, Carlo Patrucco, Helmut Kohl, John Major, Kohl, Saudi, Thatcher