Volare con Wendy di Osvaldo Guerrieri

Volare con Wendy Volare con Wendy Bonacci protagonista a Milano nella commedia di James Barrie L'ho fatto perché era lì. No, stavamo girando una scena ir. cui io dovevo trattenerlo e per un errore il mio gomito è andato a sbattere sul suo naso. Ha fatto un suono... qualcuno ha una matita? Voglio farvi sentire. Meglio, sembrava un osso di pollo. La scena doveva finire lì, ma io ho iniziato a scusarmi, Bobby ha cominciato a sanguinare. E la regista, che non si era accorta di niente, ha pensato che stessimo esagerando la nostra recitazione. C'era sangue. Sangue vero. Certo, ora Bobby dovrebbe pagarmi, peché si era già rotto il naso un'altra volta e adesso gliel'ho riaggiustato. Oltre a riaggiustare nasi, Robin Williams nei suoi ultimi film sembra sempre riuscire a «risvegliare» quelli che lo circondano. E' un caso? O le accade anche nella sua vita personale? Iniziamo da quest'ultima parte. Attraverso una combinazione di terapia e di una moglie e due figli straordinari credo di avere raggiunto il mio personale risveglio. Osservare una bambina di un anno e mezzo è come una droga che non vorresti mai lasciare. Mi permette di rilassarmi e tirare fuori quello che qualcuno chiama l'altro lato di me stesso. Quanto ai miei ruoli, forse anche il mio prossimo film rientra nel filone. Si chiama «Fisher King» ed è la storia di una specie di Don Chisciotte a Manhattan. Comunque no, non c'è stato uno sforzo consapevole di trovare quei personaggi. Semplicemente mi sono arrivate queste sceneggiature molto belle in questo ordine e quello che mi ha attratto è stata la sensibilità e l'umanità dei loro protagonisti. «Good morning Vietnam», dove ho potuto usare il mio humour, ha portato a «L'attimo fuggente», dove ho usato una combinazione di humour e di dramma. Poi è venuto «Awake¬ nings», dove lo humour è stato messo completamente da parte. Oh, oh, ora che ci penso temo che sto risalendo la scala delle emozioni... In pochi anni, da comico di cabaret Robin Williams è diventato uno degli attori più stimati del cinema americano. Se potesse scegliere di fare quello che le pare, che cosa farebbe? Amleto, un musical intitolato «Essere o non essere». No, già fatto. E poi ora ci si è messo anche Mei Gibson. Resta Re Lear. Oppure, vediamo. Se ho a disposizione tutti i fondi che voglio, vuol dire che lavoro per una corporation giapponese. Potrei mettere assieme un albero e due persone e facciamo una Bonsai Production. Okay, siamo seri. Beh, mi piacereebbe tornare e fare Godot. Certo, anche un musical sulla Bibbia... Lorenzo Soria MILANO DALL'INVIATO Forse soltanto Flavio Bonacci poteva interpretare • il «Peter Pan» di Sir James Matthew Barrie che Andrée Ruth Shammah ha messo in scena al teatro Franco Parenti. Con quel suo corpo da adolescente, il ciuffo ribaldo, lo sguardo vagamente smarrito e a tratti canzonatorio, Bonacci sembra incarnare alla perfezione, evitando il favolismo dolciastro e magari evasivo, il personaggio creato nel 1903, sviluppato in due romanzi e in una commedia che, tradotta da Luca Fontana, giunge per la prima volta sulle nostre scene. Il fatto che la Shammah abbia deciso di affidare ad un attore adulto il ruolo del bambino senza memoria, ignaro del cibo e dell'ordine sociale, suggerisce immediatamente il punto di vista della Shammah, e cioè che Peter Pan sia un nostro transfer, una creatura avventurosa e sregolata che racchiude i nostri ricordi e le nostre paure. Sarà anche per questo che la regista ha domandato a Gian Maurizio Fercioni una scena contemporanea, con la carcassa di un'automobile semiaffondata in una sorta di fanghiglia-acquitrino blu e circondata da muri azzurrini intorno ai quali corrono tubature di zinco unite da scale e da passerelle. E' la Terradimai, il luogo fantastico dove si raccolgono i Bambini Perduti. Qui vanno a finire Wendy e i suoi fratellini nella notte in cui Peter Pan si è insinuato nella loro casa per riprendersi l'ombra dimenticata dopo un'incursione nei giardini di Kensington, i giardini delle fate nate dai sorrisi dei bambini. «Ma sono sempre di meno, le fate», dice mesto Peter Pan: quando un bambino non crede più in loro, ne muore subito una. Anche lui ha una fata-compagna, Campanellino, una lucetta che saltella e pulsa per il teatro, una stellina capricciosa e gelosa che, con la sua vocetta stridula e acida, non esita a mettere Wendy nei guai pur di avere Peter tutto per sé. La Terradimai è l'antitesi della Casa vittoriana, dominata da un rituale immutabile. E' il luogo della fantasia assoluta, il crocevia di tutte le avventure. I suoi abitanti sono minacciati dai coccodrilli, dagli indiani, dal perfido Capitan Uncino, che Barrie modellò su vari personaggi scespiriani, e la cui ciurma è nemica per la pelle di questa comune svitata e totalmente libera che adotta Wendy come mamma, le sollecita favole, comprensione, tenerezza, forse per nostalgia della mamma vera, che poi è nostalgia nell'ordine, nel quale rientrano Wendy e i suoi fratelli, andandosi ad infilare, come nella scena d'apertura, sotto le lenzuola. E' stato un vero ritorno? O Wendy ha sognato e, al risveglio, riconosce di essere cresciuta e di non poter volare più con Peter Pan? La Terradimai, ora che Wendy è addirittura madre, è diventata la Terradimaipiù. Addio, dunque, addio. Difficile evitare che una simile materia esca dai margini. Questo «Peter Pan», in cui la Shammah ha inserito canzoni di Fiorenzo Carpi e alcuni brani dai romanzi di Barrie, mescola descrizione familiare a rappresentazione dell'immaginazione pura, con tutti i mostri (compresa una sirena) che hanno cittadinanza soltanto nella fantasia. Ma la Shammah ha trovato per l'occasione un polso di ferro che, unito alla leggerezza dell'invenzione, ha generato uno spettacolo sognante e divertente, gradito anche dai non pochi bambini radunati domenica pomeriggio nella sala del Parenti. Citando il «pantomime» (cioè quella forma di spettacolo inglese che si svolgeva a distanza ravvicinata dal pubblico) la Shammah ha ambientato in proscenio, oltre un sipario scarlatto, la vita della famiglia Darling, con la cuccia di Nana, il cane di Terranova che fa da baby sitter. E' appena una striscia di palcoscenico chiusa da un secondo sipario azzurro, al di là del quale si spalanca l'azzurro fondo della Terradimai. Qui, con uno stile tra Mei Brooks e certi musical caricaturali, ribolle un'avventura continuamente variata, sostenuta con encomiabile partecipazione da un gruppo d'attori impegnati naturalmente in più parti. Wendy è Giovanna Bozzolo, bravissima nel far da mamma non soltanto ai suoi due fratellini (Marina Senesi e Daniela Martelli ma anche ai Perduti: l'irresistibile Tut-Tut di Ruggero Cara (che sostiene pure la parte di Capitan Uncino), il Secondascelta di Alberto Mancioppi, l'Ergo Sum di Claudio Calaiiore, il Nero di Francesco Migliaccio, lo Schizzo di Mario Pardi, 1 Esaurito di Piergiorgio Piebani. Una segnalazione particolare merita Calafiore quando entra in scena come il Coccodrillo, beffarda creatura un po' blasé, che ti aspetti si metta a fumare col bocchino e magari ballare un silenzioso slow. Si sa: la gioia della fantasia fa fare questo e altro. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Manhattan, Milano, Terranova, Vietnam