Gonin il ritrattista di Renzo e Lucia

Il grande illustratore dell'Ottocento in una mostra che si inaugura oggi a Torino Il grande illustratore dell'Ottocento in una mostra che si inaugura oggi a Torino Gonin, il ritrattista di Renzo e Lucia Dai Promessi Sposi alle vicende di Casa Savoia -fi] TORINO 1 ' HI è Francesco Gonin? I Da generazioni - fino alla 1 i mia, certamente; non so Alloggi - la risposta nasce spontanea con una sorta di automatismo da scuola media superiore: è l'illustratore xilografico, personalmente scelto e poi imbeccato e controllato, illustrazione per illustrazione, vignetta per vignetta, dal Manzoni, per l'edizione definitiva dei Promessi sposi, a Milano presso Guglielmini e Redaelli 1840-42. Null'altro. La persona, nella memoria e nell'immaginario collettivo, era talmente incorporata al Manzoni e alla visualizzazione romantica della sua storia e dei suoi personaggi, da scomparire in quanto tale. Eppure, era legittima la domanda: perché il Manzoni, con Hayez sottomano, interpellato, provato e lasciato, e dopo aver contattato a Parigi Boulanger, il litografo principe di Hugo, e il geniale Achille Devéria, sia finito su questo trentaduenne torinese, nato da famiglia valdese di Luserna San Giovanni. Gonin aveva poi abiurato per sposare la cattolica Olimpia Vacca, figlia di Luigi, scenografo dei regi teatri e decoratore. Fra l'altro capo équipe, dal 1825, della decorazione classico-neogotica di Altacomba, dove Gonin esordì. prio di qualche vignetta affiancata alle 300 e passa di Gonin, è il tramite decisivo fra Manzoni e il pittore torinese, loro ospite a Milano nel 1835 e già carico di commissioni regie torinesi da parte del fratello di Massimo, Roberto, longa manus artistica di Carlo Alberto dopo la salita al trono del Carignano. Gonin era stato protagonista delle prime grandi imprese litografiche torinesi dello stabilimento Festa, dal Viaggio romantico-pittorico del Paroletti ai Souvenirs Pittoresques de Hautecombe alla Iconografia Sabauda. Aveva esordito a quindici anni rifacendo litografie di Carle Vernet di cavalli, intieri a 10 franchi e teste a 5; non senza significato per la pittura avvenire. Aveva ridisegnato nel 1833 le illustrazioni di D'Azeglio per l'edizione torinese Pomba dell'Ettore Fieramosca, Il romanticismo «moderato» La risposta ci porta verso un contesto tra culturale e ideologico, fra Milano e Torino, di romanticismo nazionale «moderato». Anche lo scritto e l'immagine, qui, portano un contributo metaforico, cavalleresco da un lato e pietistico dall'altro, ai primi sbocchi risorgimentali vincenti, sabaudi e neoguelfi: massimo simbolo Carlo Alberto, ma protagonista non secondario, sul doppio versante dell'arte e dell'azione politica, Massimo D'Azeglio. E proprio il genero D'Azeglio, autore in pro- Gii psicofarmaci meglio della teoria Abbiamo letto attentamente la bella intervista di Alberto Papuzzi alla senatrice Ongaro Basaglia, pubblicata su La Stampa del 6 gennaio. E ci congratuliamo con questa signora che si è resa finalmente conto, tra le altrp cose, del dramma delle famiglie per lo più impotenti nel gestire il malato mentale dopo la sua «liberazione». Si tratta di un notevole passo avanti rispetto all'insostenibile leggerezza del pensiero basagliano degli Anni 70, che in sostanza aveva ridotto la malattia mentale a un mero fenomeno politico. E chi non crede alle nostre parole vada a leggersi la summa di tal pensiero contenuta nello sterminato articolo «Follia» dell'Enciclopedia Einaudi (Torino, 1979), firmato dai coniugi Basaglia. Nell'intervista viene citata a modello la città di Trieste in cui si curano bene i malati psichici; però, come al solito, non si specifica che si tratta prevalentemente di malati leggeri, mentre per i gravi la situazione non è diversa da quella di altre città italiane, se non peggiore. E ciò perché gli psichiatri basagliani non intendono farsi responsabilmente carico di quei malati, i gravi, la cui imbarazzante presenza mette in crisi i difensori più strenui della 180, quali essi sono. E in effetti è sufficiente leggere sul Corriere della Sera del 20 dicembre il rifiuto viscerale da parte del successore di Basaglia (prof. Roteili) della responsabilità, anche solo civile, per i disastri combinati da un malato pericoloso diagnosticato guarito. E ciò a commento di una recente sentenza del tribunale di Trieste sul caso Zadnich, sentenza con cui è stata condannata la Usi al pagamento di 200 milioni in favore di un LETTERE AL GIORNA Una sezione del catalogo si intitola «L'eclettismo delle tematiche»: e il campo d'azione professionale dell'incisore e pittore su tela e ad affresco è veramente totale. C'è di tutto. C'è la straordinaria galleria pluridecennale di generazioni regie e di classe dirigente militare e civile piemontese, esemplata nella sua perfetta «catena di montaggio» dal disegno su velina, ricalcabile, all'acquerello e all'incisione. C'è la grande decorazione ad affresco (ottimi ingrandimenti fotografici a colori), dalla più compunta arte sacra romano-parigina al neoseicentismo dei simboli di progresso, testé recuperati nella sala d'aspetto di prima classe di Porta Nuova, visitabile in questa occasione. E vi è una fredda, agghiacciante capacità visiva e psicologica di cogliere ed esprimere gli aspetti più funerei e al limite perversi della religiosità bigotta nell'età di Carlo Alberto. Mi riferisco all'ex voto della Consolata con l'anima di Felicita Balbo che sale al cielo avendo offerto la vita in cambio della guarigione del marito Felice, che la contempla assieme agli otto figli in un gruppo di famiglia di squisita precisione «olandese». Vi è anche il contrappasso, ed è un quadro, quello della Morte di Carlo Alberto a Oporto, veramente nel cuore della cultura visiva di metà '800: lo squallore totale di questa morte in esilio in una nuda stanza borghese, fra cinque gentiluomini in nero e due preti, è frutto, credo, altrettanto di intelligenza storica quanto di una sorta di eccitazione fra psichica e ottica fomentata dalla freschissima nascita della fotografia. Il fratello di Gonin, Enrico, era stato mandato apposta con la nave che riportò in patria la salma, per fornire ad acquarello e poi in incisione un «reportage» visivo dei luoghi, compreso quello della stanza. «Morte del Duca di Savoia Carlo Emanuele II», fra le opere di Francesco Gonin in mostra all'Accademia Albertina. Sopra, una foto dell'artista migliorandole. Quando Massimo D'Azeglio, nel 1837, ricevette dal fratello l'incarico per la serie di battaglie sabaude ancora oggi in Palazzo Reale, gli scrisse che era «affare serio» competere con Gonin, che stava dipingendo per la stessa sede Francesco I prigioniero nella battaglia di Pavia. Il quadro di Gonin è esposto, da oggi al 17 febbraio, nella mostra all'Accademia Albertina dedicata al longevo pittore, protagonista dalla Restaurazione all'età umbertina, morto nel 1889. Una mostra bella, intelligente, altrettanto curiosa quanto di gran gusto e precisione, a cura di Franca Dalmasso e Rosanna Maggio Serra, con il ricco apporto di giovani studiose, Antonella Casassa, Patrizia Masserano, Mariella Taranto, che fanno assai bene sperare in ulteriori approfondimenti e chiarificazioni sull'800 piemontese dopo la gran presentazione di materiali alla mostra della cultura artistica del Regno Sardo di dieci anni fa. La ricorda l'assessore Marzano presentando il catalogo come prima occasione in cui è emersa con giusto rilievo l'importanza del Gonin nel contesto storico e artistico. Ayres e Ferdinando Cavalieri. Di un colto e attento osservatore degli sviluppi romantico-accademici di Francia. A Parigi nel 1835 (espone al Salon del 1836), è troppo pretendere che capisca Delacroix, ma certo coglie in romantico-storici di rinforzo, da Horace Vernet a Schnetz, da Heim a Cogniet a Eugène Devéria, lo spirito che presiede all'inaugurazione della Galerie des Batailles a Versailles (proprio nel 1837, da parte di Luigi Filippo). Quanto alla Morte di Carlo Emanuele II, vera «pièce de résistence» ricca sia di finezze pittoriche alla fiamminga seicentesca (un altro «genere» che Gonin inaugura precocemente alle mostre della neonata Promotrice) sia di begli effetti affetti psicologici e scenici, essa apre già la strada al realismo storico e teatrale dei Gamba e dei Gastaldi. Agghiacciante capacità visiva In Mostra, il discorso di fondo su Gonin pittore storico è giocato fra il Francesco I, e la Morte di Carlo Emanuele II di vent'anni dopo, 1857: ed è un discorso di un professionista di ottimo livello - ben superiore al D'Azeglio e al maestro Biscarra, non inferiore ai veri talenti pittorici dei più anziani Pietro ALE Marco Rosei