Parigi-Dakar, una lunga striscia di sangue sulla sabbia di Cristiano Chiavegato

Parigi-Dakar, una lunga striscia di sangue sulla sabbia Parigi-Dakar, una lunga striscia di sangue sulla sabbia In tredici edizioni ventisei vittime, tra le quali anche donne e bambini innocenti LA corsa continua. Mentre il governo del Mali ha aperto un'inchiesta sulla morte di Charles Cabannes, 34 anni, il conduttore di uno dei camion dell'assistenza Citroen, ucciso venerdì a fucilate, pare da ribelli Tuareg in lotta con il Paese africano che vorrebbe bloccare la loro vita nomade nei deserti, la Parigi-Dakar va avanti, anche se la tappa di ieri è stata trasformata in un trasferimento sotto scorta militare, spinta dagli interessi commerciali, ma non solo da quelli. In fondo sono molti degli stessi concorrenti che, arrivati a questo punto, non vogliono perdere l'occasione di vedere il traguardo della massacrante gara, in Senegal. Ci vorrebbe forse uno psicologo per spiegare le motivazioni che hanno costruite il successo di quella che qualcuno aveva definito «l'ultima avventura», anche se alle porte c'è già un'al¬ tra prova pronta a prendere il testimone in una ideale staffetta, la Parigi-Mosca-Pechino in programma nel prossimo (1-27) settembre. Forse il classico mal d'Africa, forse l'effettiva volontà di lasciarsi alle spalle la vita e i problemi della città, la routine di tutti i giorni. Da una parte i piloti professionisti, le Case automobilistiche e motociclistiche alla ricerca di gloria, soldi e pubblicità (gli ingaggi per i migliori corridori sono saliti oltre i 300 milioni), un giro d'affari calcolato intorno ai 100 miliardi, lira più lira meno. Dall'altra gli amatori, coloro cioè che sono rimasti veramente incantati da una prova indubbiamente stimolante è piena di fascino, una via di mezzo fra un tuffo nella mondanità, per i personaggi che hanno sempre frequentato la «Padak» e una forma di eremitismo sportivo. L'unica cosa certa, comunque, è che la Parigi-Dakar è diventata famosa anche e soprattutto per i suoi morti. Dal 1979, quando il francese Thierry Sabine diede vita dopo diverse esperienze al raid, sono stati ufficialmente 26 le persone che hanno perso la vita durante la corsa a tappe. C'è chi sostiene - e magari non va lontano dalla verità - che le vittime siano state molte di più: specie per incidenti nascosti da autorità locali compiacenti. Una scia di sangue lasciata sulla sabbia, tracciata sin dalla prima delle 13 edizioni, cominciata con la morte di un motocilista francese per una caduta ad Agadez nel 1979. Poi via via un elenco che sembra un bollettino di guerra. Nel 1980 perisce il giornalista italiano Giuseppe De Tommaso con due compagni di viaggio, su un'auto al seguito. Due anni dopo è la volta della cronista Ursula Zentschc e il motociclista olandese Bert Oostherius e di un bambino del Mali, travolto da una vettura. Nel 1983 muore il motard transalpino Pineau urtato da un'auto; nella gara successiva viene ammazzato uno spettatore nel Burkina Fase. Il 1985 è caratterizzato dalla caduta di un elicottero (2 morti) e ancora da un bimbo investito. La tragedia continua nel 1986: primo paga la sua sete d'avventura il motociclista giapponese Kaneko, ucciso in un normale incidente di traffico ancora in Francia. Quindici giorni dopo durante una tempesta di sabbia, cade ancora un elicottero e questa volta, insieme ad altri quattro passeggeri, scompare Thierry Sabine, l'ideatore della Parigi-Dakar. Nel 1987 tocca a Henri Mouren, passeggero di un'auto al seguito e nel 1988 le vittime sono sei: il camionista Van Loevezij, i motociclisti Canado e Huger e tre spettatori fra i quali U' i ragazzina di dieci anni. Lo sborso anno rimane ucciso il giornalista finlandese Kaj Salminen. Adesso dopo molti incidenti con feriti, l'incredibile episodio di Charles Cabannes, sacrificato in già cruenta guerra locale. Ma, pur con qualche difficoltà, la Parigi-Dakar continua. Che dire? Deve essere abolita? Bisogna gridare allo scandalo? Personalmente riteniamo che le vite che dovevano e dovranno essere assolutamente risparmiate sono quelle delle vittime innocenti, i bimbi, gli spettatori. Per le altre c'è la tristezza e l'umana pietà che accompagna tante disgrazie, in montagna, nell'acqua, in auto o in bici. Ma se si accetta una sfida, qualunque essa sia, si è consapevoli dei rischi che la stessa comporta. Una legge dura da accettare, forse una delle tante follie umane, ma anche una realtà difficile da cambiare. Cristiano Chiavegato

Persone citate: Henri Mouren, Kaneko, Pineau, Salminen, Thierry Sabine, Ursula Zentschc, Van Loevezij