Il miracolo è in montagna Si moltiplica il numero dei doc Vitigni antichi di gusto attuale

Il miracolo è in montagna Il miracolo è in montagna Si moltiplica il numero dei doc Vitigni antichi di gusto attuale Collina e montagna ospitano i due terzi delle nostre vigne, ma danno all'incirca la stessa quantità di vino di quel terzo situato in pianura. Poco ma buono. E' Mario Fregoni, presidente dell'Istituto nazionale per la denominazione di origine dei vini (la famosa doc), a mettere in rilievo questo fenomeno, accusando alcune Regioni di non attenersi alle indicazioni della Cee, che per salvaguardare i terreni ad alta vocazione - quelli, appunto, di collina e montagna - vuol favorire gli espianti nelle aree di pianura. Qui infatti i terreni sono quasi sempre fertili e facilmente meccanizzabili, quindi adatti a qualsiasi coltura alternativa. Anche dall'Europa Verde, dunque, viene un incitamento a migliorare la qualità del vino, e soprattutto a non inondare il mercato con le grandi quantità che si possono ricavare dai vigneti di pianura. E Fregoni ha precisato in un recente convegno a Piacenza che «se i vini a denominazione d'origine controllata non rispettano i disciplinari, devono essere declassati a vini tipici per non penalizzare la vera qualità». Come osserva Oddino Bo esperto vitivinicolo della Confcoltivatori e presidente della Commissione regionale piemontese per le Doc - «il buon vino lo si fa soltanto in collina o in montagna, a parte poche zone pianeggianti con caratteristiche molto particolari, come ad esempio le rive del Piave». Ma c'è il problema dei costi. In effetti, il vino di collina - e ancor più quello di montagna - non può reggere la concorrenza di prezzo del prodotto ottenuto in zone di pianura, dove la resa per ettaro è due, tre volte superiore, e dove si può meccanizzare quasi tutto. Se si pensa alla Val d'Aosta, a certe zone della Liguria, alla Valtellina - osserva Bo non si può dimenticare che il costo di produzione è molto elevato, anche per la forte parcellizzazione dei vigneti, la difficile ubicazione dei terreni. Un litro di vino ricavato a Saint-Pierre, Morgex, Dolceacqua, o in Valtellina o sul Collio, può costare due, tre, quattro volte più di quello ricavato nelle pianure di Puglia o di Romagna». Non solo la montagna ha vini stupendi (e costi elevati). «Per le sue peculiari caratteristiche spiega Giuseppe Luparia, presidente della Cantina sociale del Monferrato - la collina è la zona altimetrica ideale per la coltura della vite: perfetta esposizione solare, terreno in genere più «magro», minori sbalzi di temperatura». Vittorio Vallarino Gancia (sopra) e Renzo Balbo (a sinistra) parlano di vendite in diminuzione ma sono convinti che ci siano possibilità per una ripresa demmia è stata, a livello quantitativo, superata di parecchie lunghezze dalla Francia. Alla riduzione dei consumi corrisponde un aumento delle scorte e la stagnazione dell'export, in particolare verso gli Stati Uniti. Incerte anche le esportazioni verso i Paesi dell'Europa centro-orientale, a causa delle loro difficoltà finanziarie. Complessivamente la Cee prevede una produzione di vino leggermente superiore a 172 milioni di ettolitri contro un consumo di 153,4 milioni (detratto il prodotto destinato all'industria di trasformazione si può quantificare in un consumo prò capite di 37,73 litri). L'invenduto è quindi pesante: circa 18,6 milioni di ettolitri. '90-'91, con una diminuzione complessiva di 22 mila ettari di vigneto. La tendenza dei viticoltori italiani, che riducono la produzione per puntare a un prodotto di maggior qualità è seguita, in modo più o meno accentuato, anche dagli altri Paesi Cee. E proprio dalla Cee vengono nuovi segnali preoccupanti per la vitivinicoltura: secondo le stime di Bruxelles sulla campagna 1990-91 l'andamento del mercato è decisamente negativo per la caduta continua dei consumi. Il sintomo più inquietante è l'elevato ricorso alla distillazione (23 milioni di ettolitri in tutta l'area comunitaria) con una produzione di vino in crescita. Quest'ultimo fenomeno non coinvolge però l'Italia, che, anzi, in quest'ultima veri- Vanni Cornerò ROMA DAL NOSTRO INVIATO «Ma la qualità dei vini - sostiene Fregoni - oltre che con le "aree vocate", si difende con la differenziazione: valorizziamo quindi i vitigni locali. In Italia possiamo farlo più che in altri Paesi, poiché abbiamo centinaia di varietà che stiamo raccogliendo per proteggerle dall'estinzione». Vitigni locali da salvare, quindi, anche per vendere meglio il vino. «I turisti stranieri che passano di qui - dicono in Val d'Aosta - non vogliono un vino che già hanno in casa, ma qualcosa di diverso». Ecco allora che, accanto ai più famosi (doc e non) Enfer, Blanc de Morgex, Donnaz, Chambave, troviamo ancora, per fortuna, il Fumin, il Prie Rouge, il Mayolet, il Bland de la Salle, con i suoi vigneti a oltre 1200 metri, i più alti d'Europa. Oltre che vitigni da salvare, doc da rivalutare. In questo settore ci saranno in Piemonte importanti novità. Le anticipa Bo, annunciando che questa regione avrà entro il '91 23 doc in più: dal Loazzolo, un moscato con resa d'uva non superiore a 50 quintali l'ettaro, che prenderà nome dall'omonimo paese (come il Barolo), ai vari doc accoppiati al nome «Piemonte», «Langhe» o «Monferrato» (Barbera del Monferrato, Dolcetto delle Langhe, ecc.): un modo per mettere in vendita un vino garantito, ma a un prezzo più competitivo rispetto ai doc già conosciuti. E' una conseguenza dello scandalo del metanolo, che, tutto sommato, ha fatto bene alla viticoltura italiana, sfrondando dal mazzo i produttori disonesti e pungolando gli altri a migliorare la qualità. Qualità che, per il vino, non sempre significa alta gradazione. Come si sa, secondo gli standard di gusto moderni, ai nuovi consumatori piacciono i vini giovani leggeri, freschi, fruttati. Qualcuno «inventa» nuovi vini; altri preferiscono seguire le indicazioni di Frugoni, cioè valorizzare antichi vitigni o vini dimenticati. E' quanto hanno fatto alla Cantina Sociale del Monferrato, dove sta avendo molto successo il Barbesino (uve Barbera, Freisa, Grignolino). Seguendo questa linea «giovane», alcune cantine, e anche produttori singoli, si mettono a fare Cortese, o Barbera bianco, o ancora, come la cantina del Monferrato, un Rosato Piemonte che altro non è se non «il vino di una notte», come lo definisce romanticamente Giuseppe Luparia: cioè dura meno di ventiquattr'ore il contatto con le bucce, che, invece di tingerlo «rosso barbera», gli daranno quel tono rosato oggi di gran moda. Livio Burato