Silone svizzero

Silone svizzero Silone svizzero Voci e volti di antifascisti | GNAZIO Silone fu un ■ collaboratore irregolare I e in qualche misura ecI cezionale del Mondo. Ri*l spettato dagli amici di Pannunzio - sinistra liberale e sinistra crociana ai confini col partito d'azione, repubblicani, socialisti dissidenti - ma «diverso» e peculiare nella sua solitudine socialista e nella sua solitudine cristiana, in quel fondo di socialismo evangelico e messianico compenetrato dal pessimismo profondo dei diseredati del Sud, i «cafoni» protagonisti della sua favola gioachimita. Per i primi dieci anni del settimanale, dal '49 al '58, un solo racconto dello scrittore boicottato dalle prevalenti centrali editoriali, Faustina e il terremoto, e due interventi di battaglia, aspri e infuocati come sapeva farli lui, sui comunisti e la libertà di stampa (un tema, allora, drammaticamente attuale). E poi all'improvviso, agli inizi del 1959 e in quattro puntate, Lei volpe e le camelie, un romanzo autobiografico rielaborato da un vecchio canovaccio del 1934, in tempo di esilio. E infine, sempre a puntate in pieno terremoto kruscioviano, nel 1962, la cosiddetta Scuola dei dittatori. Un testo oggi dimenticato: nonostante le folgoranti anticipazioni confermate dalle vicende dell'Est. «Non si è mai parlato di un certo Carlo Rosselli?». «Non ha mai sentito nominare un certo Bassanesi?». Sono due interrogativi, che affiorano dal nuovo testo siloniano de ta volpe e le camelie. Opera anomala, opera insolita, perché - scritta,quasi nell'anno di Fontamara - prescinde dallo scenario prediletto del Sud povero e isolato, ambientato com'è nel Canton Ticino, precisamente nelle zone bagnate dal Lago Maggiore, nei pressi della frontiera italosvizzera, «ancora di salvezza» per i fuorusciti italiani. Sessant'anni fa, nel 1930, quel Cantone fu al centro di gloriose e straordinarie vicende, di cui, nel romanzo di Silone, c'è traccia. In primo luogo, il volo di Giovanni Bassanesi un singolarissimo valdostano, ventiduenne, oscillante fra l'anarchismo e «Giustizia e Libertà» - sul centro di Milano, in pieno giorno, fra le dodici e le tredici, con la nevicata multicolore di manifesti, mercé un piccolo aereo decollato dai dintorni di Lugano e poi rientrato in Svizzera, ma fracassatosi sulla punta delle Alpi. 9 luglio 1930. Pochi mesi dopo uno strascico giudiziario che gioverà enormemente alla causa dell'antifascismo: un processo sui responsabili del «raid» aereo, che avevano violato la neutralità svizzera, svoltosi a Lugano - città sacra insieme alla tradizione mazziniana e cattaneana - fra il 17 e il 19 novembre. Con l'intervento, quali testimoni a favore, di uomini come Carlo Rosselli, come Filippo Turati, come Carlo Sforza, come Alberto Tarchiani. E una sentenza finale in favore dell'imputato, cui sarà consentito di lasciare subito la Svizzera. Bassanesi: un personaggio complesso e contraddittorio, nelle sue impuntature e nelle sue audacie, che non è inserito o quasi in nessuna storia organica dell'antifascismo e che Arturo Colombo - animatore della Fondazione Bauer e storico profondo dell'Italia di minoranza - ha fatto benissimo a comprendere, in posizione di apertura, nel suo suggestivo panorama della terza forza laica e democratica, nella lotta al fascismo e dopo, Voci e volti della democrazia, da Gobetti a Batter (Le Monnier) con una sopraccoperta non a caso dedicata a uno splendido quadro del pittore gobettiano per eccellenza, Felice Casorati. Filone ereticale e «minoritario» della storia d'Italia, che ha finito per assumere un ruolo di protagonista, oltre tutti i calcoli numerici. Dai Rosselli a Calamandrei, da Bauer a Carlo Levi (alcuni dei ritratti che affollano questo volume). Durante la resistenza e durante la fondazione della Repubblica. senso» per dirla con De Felice. De Bosis. Un personaggio unico e inconfondibile. Di padre italiano (e quale padre!) e di madre inglese. Professore a New York: cultore profondo, e appassionato, della storia della civiltà italiana. Largamente permeato da dannunzianesimo (Valiani, che se ne intende e che è di Fiume, ama dire che D'Annunzio ha influenzato egualmente fascismo e antifascismo). Arrivato tardi alla lotta contro il regime e non senza qualche sgradevole equivoco coi compagni di esilio (salvo Salvemini che lo capì subito e le protesse sempre). Fondatore nel '30, insieme con Mario Vinciguerra (un altro personaggio che meriterebbe una «vita»), dell'Alleanza nazionale, una specie di riduzione dell'Unione democratica amendoliana in chiave monarchica, anzi in chiave di collaborazione tra forze liberali, cattoliche e moderate, al fine di premere su Monarchia e Chiesa per la rottura col fascismo (non importa se due anni dopo il Concordato). Una specie di 25 luglio anteli tteram. Sanzionato dal volo che porterà il poeta angelico sulla capitale, da un'altezza di 2000 metri fino a poco più di 300 metri, con un aereo disseminante 400 mila manifestini proprio nella zona di palazzo Venezia e di palazzo Chigi. Un errore, nel rifornimento della benzina, condurrà a morte il pilota e il suo apparecchio nel rientro in terra di Francia. «Il martirio - diceva Mazzini - non è mai sterile». Ricorrenze del 1930, in questo 1990 che se ne è appena andato. Non solo il volo su Milano che è passato quasi sotto silenzio, salvo che a Milano - ma anche il terribile colpo inflitto dalla polizia del regime allo stato maggiore .ell'azionismo nascente, iJ 30 ottobre 1930, grazie al tradimento di Carlo Del Re, la famosa <spia del regime», come la definirà Ernesto Rossi. Proprio la trappola in cui anche Rossi cadrà, insieme a Bauer, a Parri, ai fratelli Alberto e Mario Damiani, a Vero Roberto, a Umberto Ceva. Ignazio Silone Ceva, un apostolo degno dei grandi precedenti risorgimentali di Jacopo Ruffini: suicida in carcere la notte di Natale, proprio nel timore di fare qualche nome nel corso dei lunghi e massacranti interrogatori cui era sottoposto a Regina Coeli. Un'educazione, quella di Ceva, assolutamente mazziniana. In Italia si stampa, o si ristampa, tutto (e anche molto che non meriterebbe la luce). Ma noi proponiamo a qualche editore animoso e intraprendente, senza sussidi alle spalle, di ristampare in anastatica un piccolo e prezioso libro degli anni del dopoguerra, precisamente del 1948, uscito a Torino presso una testata editoriale ormai avvolta nel mito, Francesco De Silva, in una collezioncina in carta poverissima che si intitolava «Biblioteca Leone Ginzburg» e che comprendeva, nella sua breve e gloriosa storia, Se cj/testo è un nomo di Primo Levi e l'Antologia della Rivoluzione liberale, curata dal nostro vecchio e indimenticabile amico e collega Nino Valeri. Storia della mia morte. Un'operetta scritta quasi in una notte da un poeta e studioso infelice, che si chiamava Lauro De Bosis, già autore predestinato di Icaro, che aveva deciso di ripetere sulla Roma di Mussolini, il 3 ottobre 1931, il gesto di Bassanesi su Milano. Proprio nel pieno degli «anni del con- Mazzini News. C'è stato un giornale, pressoché sconosciuto, nella lotta antifascista, che si è chiamato così. Fondato negli Stati Uniti nel febbraio 1941, dieci mesi prima della guerra dell'Asse all'America, e terminato nel gennaio 1942, per far posto a un altro bollettino degli stessi amici italiani col titolo significativo e premonitore, Nazioni Unite e non più solo italiano ma bilingue. Lamberto Mercuri ha avuto il merito, fra i tanti, di curare questa edizione per l'editore Bastogi; Max Salvadori, che fu animatore incomparabile del gruppo, è venuto dall'America per presentare la nuova veste, parca e risorgimentale come la vecchia. Un Mazzini che, attraverso la Society, riunirà tutto l'antifascismo, dai laici come Sforza e Salvemini ai cattolici come Sturzo, dai seguaci di Rosselli a quelli di Amendola: in un colloquio difficile con l'emigrazione italiana per tanta parte ancora, nel '41, influenzata dal fascismo. Salvadori ricorda che la partecipazione alle manifestazioni organizzate dalla /Mazzini News era molto piccola. Solo dopo il '42 cominciò ad accrescersi, ma in compenso si accrebbe anche la diffidenza delle sfere ufficiali americane. Meno favorevoli alla Monarchia degli inglesi di Churchill, ma abbastanza imbarazzate, o incerte, rispetto al nome di Mazzini (ne sa qualcosa Pacciardi per la sua «Legione italiana»). Solo ora possiamo capire quanto la scelta di quel simbolo fosse felice, contro tutte le tendenze alla disgregazione della patria italiana. Tendenze forti allora e purtroppo presenti ancora oggi. Mazzini è sempre il maggiore titolo di legittimità per la Repubblica, nata nel 1946 e che talvolta dà l'impressione di vergognarsi di se stessa. Giovanni Spadolini