Questo weekend di paura

Questo weekend di paura Questo weekend di paura L'America tra speranza e rassegnazione Nelle discussioni, nei dibattiti, sia quelli in televisione che quelli che animano e dividono qualunque conversazione, a scuola, negli uffici, nelle case, si fanno continuamente due confronti: il Vietnam e la crisi dei missili di Cuba. La differenza rispetto al Vietnam è evidente, dalla parte della gente, perché la distanza fra l'opinione comune e la decisione di guerra è grande già adesso, prima di combattere. Ed è grande dalla parte di chi la sta preparando, perché si immagina che questa guerra sarà tecnologica, alta, potente, del tutto «nuova», brevissima. L'analogia con la «crisi dei missili» è molto più grande: anche questo è un gioco di sfida reciproca fino all'ultima mossa. Ma molti non hanno dimenticato che Fidel Castro avrebbe voluto respingere l'ultimatum di Kennedy, anche a costo di guerra atomica. E' stato Krusciov a cedere, è stat" lui a valutare l'immensità del pericolo, ce lo dicono, ora, le memorie del leader sovietico. Ma non c'è un Krusciov alle spalle di Saddam Hussein. Non c'è, ma le mosse finali della sfida continuano, gesto dopo gesto, annuncio dopo annuncio (Baker ha precisato «La mezzanotte del 15 gennaio»), e ciascuna delle parti alza il tono della propria orgogliosa indifferenza verso l'altro. Si fa strada la «speranza del Ramadan». Americani di tutte le Ledi religiose, di tutti i livelli culturali si scambiano informazioni sulla festa religiosa islamica che inizia il 15 marzo. «Nel Ramadan tutto si ferma. Bisognerà aver finito la guerra per quell'epoca, perché l'Arabia Saudita è la terra santa della Mecca, di Medina, della Pietra nera di Maometto», si dice. Non c'è più la rimozione senza discussione dell'idea realistica della guerra, come è avvenuto fino a pochi giorni fa. E' la speranza, il mito, della guerra breve. Tremenda magari, ma della durata di pochi giorni. Un momento prima del silenzio dell'ultimo week-end di pace, Patrick Buchanan, l'ex consigliere di Reagan e leader della destra americana, ha voluto mettere di nuovo a verbale la sua tenace e sorprendente opposizione alla guerra. Dice: «Siamo intrappolati nell'orgoglio personale di due uomini che hanno deciso di mettere in gioco il loro personale senso dell'onore». Secondo la tradizione americana tutti sosterranno il Presidente se ci sarà la guerra. «Ma se la guerra sarà lunga - purché sia lontano dalla zona di guerra? Nel mondo del terrorismo cosa vuol dire «lontano»? Le scuole, e specialmente le università, si interrogano sulla stranezza e la inesperienza di questo evento. Si fa lezione, si continua con orari normali, normale calendario d'esami? Da un minuto prima a un minuto dopo, non cambia nulla? Resteranno tutti al loro posto, disciplinati, tranquilli, disposti a essere parte di «un fronte interno»? Questa è l'immagine americana che meno coincide col passato. Ci sarà una tensione sempre più grande - dicono gli psicologi, dicono gli esperti di comportamento sociale -, ci sarà il fiato sospeso, la televisione tornerà a diventare la piazza, il punto in cui tutti si riuniscono. Giorno per giorno i telegiornali sono già cambiati. Anche le piccole televisioni locali parlano solo di soldati, deserto, arabi, strategia, tecnologia della guerra, gente che parte per il fronte. Il personaggio lieto che presentava, tra battute e saltelli, il bollettino meteorologico (nella tradizione dice Buchanan - l'opinione pubblica si volterà contro. Se sarà breve, ci sarà una fortissima richiesta di "riportare a casa i ragazzi". Se tornano subito che cosa avremo risolto, lasciandoci alle spalle un mondo in pezzi, carico di odio e risentimento?» E' curioso che, nella loro passione un po' antiquata, i pacifisti che si sono mobilitati con le stesse facce, gli stessi slogan, degli ultimi giorni del Vietnam, non si siano accorti che altre voci della cultura americana, benché così lontane dai loro personali motivi ideali, si stanno schierando fuori dall'idea della guerra. Un gruppo di pacifisti fisicamente identici ai giorni del vecchio «Movimento» hanno cominciato a gridare per qualche minuto nella galleria del Senato contro la guerra. Le loro grida hanno interrotto il discorso del senatore Nunn, presidente del comitato Forze Armate e uno dei più implacabili oppositori all'azione nel Golfo. Nunn ha aspettato pazientemente che i dimostranti fossero portati fuori e ha continuato. L'opposizione alla guerra del presidente della Commissione forze armate al Senato è qualcosa che non si era mai verificato in passato. I pacifisti non stavano ascoltando. Hanno giudicato Nunn dai modi professorali, dal vestito grigio, dai gesti pacati, lo hanno interrotto gridando. Come si passa dalla pace alla guerra, in un giorno, in un'ora, forse quel minuto dopo mezzanotte di cui ha detto James Baker parlando ai piloti americani nel deserto? Le reti televisive sono alle prese col più futile dei problemi, ma a suo modo un problema complicato: cambiare i programmi. Non si possono mandare in onda le «situation comedies» se «laggiù» si combatte. Stanno riesumando film seri e materiale «che non fa ridere», cercando soprattutto nel passato. Questa soluzione sembra necessaria e urgente proprio perché «la guerra sarà breve», questa è la persuasione a cui tutti vogliono aggrapparsi come estremo modo di affrontare gli eventi. Le compagnie aeree e tutta l'industria del trasporto e del turismo sono alle prese col problema: dove fermarsi? E' la prima volta che linee aeree americane tagliano o aboliscono i voli per Israele. Ma quella decisione, impopolare e difficile, è in fondo la più ovvia. Resterà intatto il resto dei movimenti d.;l mondo, i«wsfl^ PIEMONSalbertratesori neGran BosERMELLL'arte di scomparPALERML'Orto boINCENDIL'estate tragedia Pacifisti americani manifestano contro un eventuale conflitto nel Golfo PIEMONTE: Salbertrand, tesori nel Gran Bosco ERMELLINOL'arte di scomparire PALERMO: L'Orto botanINCENDI: L'estate delltragedia Germania, non vogliamo morire per il Giappone», hanno gridato gli studenti della Michigan State University nella prima dimostrazione contro la guerra. Fra coloro che si fanno avanti per dire no alla guerra, si nota che sono spaventati più gli uomini che le donne (ci sono donne che dicono: «Adesso si vedrà che le donne possono combattere») più i bianchi che i neri (un soldato nero proveniente da Detroit ha detto: ((Avevo più paura nelle strade del mio quartiere») più i giovani che gli anziani (si sta diffondendo fra i ragazzi dei campus la paura di essere richiamati) più i ricchi che i poveri. E' stata fatta una ricerca. Solo un senatore (su cento membri della Camera alta) ha un figlio nel deserto. Solo cinque deputati hanno un parente in zona di guerra. Nel «gotha» di New York, i grandi nomi della vita sociale e finanziaria, nessuno ha figli nel deserto. tica (i Kennedy, i Biden, i Boren, i Nunn) così tardi, in un momento estremo in cui non si può cambiare nulla? La politica (la domanda è del giornale «Crimson» di Harvard) non è mi mestiere a tempo pieno, ogni giorno, ogni mattina, ogni settimana, mentre questi fatti stavano prendendo corpo e le ombre di guerra diventavano fatti? Perché uomini come il governatore Cuomo si limitano a rispondere «io non devo votare su questo argomento dunque non ho una opinione»? Ma c'è un'altra domanda che tormenta gli americani. Se gli europei sono così risolutamente contrari alla guerra, come ormai si sente dire al Senato e alla Camera, perché non hanno parlato alto e chiaro invece di bisbigliare dissensi nei corridoi delle riunioni internazionali? Perché non hanno formato e presentato a' mondo un loro piano? «Non vogliamo morire per la Mensile di Na tura Ecologia Fotografia Viaggi ormai radicata delle «happy news», in cui persino una siccità prolungata veniva definita «tempo meraviglioso») adesso ti guarda serio e disorientato. Bisognerà scrivere e pronunciare la dichiarazione di guerra. Il dato più curioso di questo strano momento è che la gente sta aspettando di ascoltare quella dichiarazione sperando che contenga le argomentazioni che fanno luce, le ragioni che completano il discorso. «Senza dubbio - scrive Pat Buchanan nel suo testo di conservatore ed ex guerrigliero della guerra fredda, diventato oppositore del conflitto - il mondo sarà diverso nell'istante in cui avremo cominciato a colpire. Ma non sarà il "nuovo ordine" che avevamo sognato». «Signor Presidente - ha detto il senatore Byrd, che ha perso il figlio Michael nel Vietnam - la storia mi ha costretto a seppellire mio figlio. Invoco una vita in cui tocca ai figli seppellire i loro padri». Furio Colombo Numero doppio 20S pagine. IN REGALO SPECIALE SARDEGNA Salone LA STAMPA Via Roma 80 - Torino Telefoni. 6521.452 - 6521.459