La Cee benedice il piano Onu di Fabio Galvano
De Michelis al summit di Ginevra: dobbiamo salvare la faccia a Saddam ma senza premiarlo De Michelis al summit di Ginevra: dobbiamo salvare la faccia a Saddam ma senza premiarlo La Cee benedice il piano Onu De Cuéllar: vado a Baghdad con tante idee se con un mix di ipotesi capace di fare breccia nell'ostinata resistenza di Saddam. Punto di partenza, comunque, resta l'osservanza da parte di Baghdad delle risoluzioni dell'Onu. Dopo il fallimento dell'incontro di mercoledì fra Baker e Aziz, tuttavia, si ha la sensazione che dietro la missione di Perez si muovano forze nuove a cui gli Stati Uniti non sarebbero estranei. Non a caso il ministro tedesco Genscher ha indicato ieri, a conclusione dell'incontrro con Perez svoltosi nel palazzo delle Nazioni Unite e durato poco meno di un'ora e mezzo, che «la finestra della pace non è ancora chiusa». «E' cruciale - egli ha detto - che non ci siano errori di calcolo; ma solo dopo la missione di Perez a Baghdad si potrà giudicare se l'incontro Baker-Aziz sia stato davvero un fallimento. Io ritengo che sia stato utile, anche se non ha dato risultati immediati». E' una variazione della speranza che accompagna i gesti di pace di queste ore; gesti che assumono fisionomia sempre più concreta nonostante la riluttanza dei governi a indicare mutamenti di rotta. «La posizione internazionale non è negoziabile», ha osservato ieri il ministro Gianni De Michelis: «Per convincere l'Iraq ad accettarla, occorre quindi collocarla in una posizione intermedia fra l'umiliazione, che sarebbe inaccetta¬ bile a Baghdad, e il premio, che è il resto del mondo a non poter accettare. Ma senza operare nel merito delle risoluzioni Onu». Ecco allora il mandato - quasi tacito - a Perez de Cuéllar: l'invito a lavorare, in questi giorni che precedono l'ultimatum del 15 gennaio, nell'ambito del dopo-crisi e delle cosiddette «circostanze connesse». Il primo di quei due settori tocca soprattutto la conferenza di pace per il Medio Oriente, che l'Italia tende a inscrivere nell'ambito di un sistema mediterraneo di sicurezza paragonabile alla Csce in Europa. Ieri a Ginevra è apparsa con evidenza una spinta verso il linkage fra il ritiro iracheno e una soluzione globale per l'intera area; ma un linkage abnorme, destinato com'è ad apparire stretto al mondo arabo ed elastico a quello occidentale. Non a caso Genscher ha osservato che «la conferenza è ancora possibile, dipende dall'Iraq»; e il portoghese Pinheiro gli ha fatto eco affermando che Perez potrebbe indicare «un impegno ad aprirla quando la crisi sia finita, forse già nel 1991». «E' da sei o sette anni - ha detto il segretario generale dell'Onu - che cerco di convocarla. Per me non è un problema; per altri, evidentemente, sì. (...) Occorre dimostrarvi una maggiore attenzione, aiutare Saddam a presentare il suo ritiro dal Kuwait in mo¬ Ma oltre non si è potuti andare. A parte le resistenze Usa, ribadite mercoledì da Baker, restano divergenze fra i Dodici sull'opportunità di fissare una data. Sono importanti, tuttavia, anche le «circostanze connesse». Prima fra tutte la garanzia del non attacco all'Iraq; e, a corollario, la formazione di una forza di pace Onu che secondo Genscher «potrebbe anche essere composta esclusivamente da forze arabe». Su questo tema si è avuta l'implicita smentita di un dissapore fra Perez e De Michelis, attribuito giovedì a un'indiscrezione del ministro su un tema ritenuto delicato. Ieri Perez ne ha apertamente parlato: «Se ci sarà ritiro dall'Iraq ha detto - ci sarà una ruolo per una forza di pace dell'Onu». Confluita nelle maglie della Cee quella che poteva essere un'iniziativa diplomatica indipendente della Francia, il ministro lussemburghese Jacques Poos - ha la presidenza di turno dei Dodici - attende entro lunedì un rapporto da Perez. Sulla base dei risultati di Baghdad la Cee deciderà il da farsi, dopo avere congelato in queste ore la sua azione proprio per non mettere a repentaglio la missione di Perez. L'incontro con Aziz ad Algeri è definitivamente tramontato ma ancora tutto è possibile. do più dignitoso». Fabio Galvano
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