E i radicali stanno a guardare di E. S.

E i radicali stanno a guardare E i radicali stanno a guardare perestrojka perestrojka al tramonto Mosca segue indifferente la svolta autoritaria Dalla sera dell'indipendenza alVarrivo deipara di Mosca MOSCA visiva, «Sguardo», non ò andata in onda. E il presidente di Gosteleradio, Kravcenko, ha chiuso d'autorità, senza una parola di spiegazione, l'agenzia d'informazioni indipendente (ma che operava attraverso Radio Mosca) Interfax. Vilnius e Tbilisi sono lontane, ma le onde mosse già arrivano fino a Mosca. Oggi e domani potrebbero frangersi sulle redazioni dei giornali che cercheranno di mantenere una rotta indipendente. Gorbaciov ha detto al presidente Landsbergis e al suo collega georgiano Gamsakhurdia che c'è una sola Costituzione dell'Urss e che dev'essere rispettata. Ma due Repubbliche, non più socialiste, né sovietiche, hanno già scelto le proprie e le difendono. Inutile chiudere gli occhi di fronte al fatto, innegabile, che né la prima, né le altre rispondono ancora ai criteri sanciti nella carta dei diritti dell'uomo. Non c'è stato tempo, né saggezza sufficiente, per riformare la prima e per fare delle altre bandiere universali da difendere. DAL NOSTRO INVIATO E' cominciata ieri la cronaca di una crisi da lungo tempo annunciata. Una crisi che può segnare la fine della perestrojka e la fine di tutte le speranze che da essa erano nate. Le responsabilità per ciò che sta accadendo sono molteplici, gravi, e ricadono su gran parte dei protagonisti, ma non è questo il momento delle recriminazioni. Alle periferie europee di questo colosso malato, quattro Repubbliche hanno già varcato il Rubicone della loro indipendenza e a Mosca ci si appresta a riportarle con la forza in uno stabbio dai confini ormai vaghi. La tragedia incombe, lontana, mentre si vivono i momenti tipici delle fasi convulse che precedono il collasso. Mosca vive ancora il paradosso della massima libertà, nel massimo disordine, mentre già si affacciano i segni di una minaccia che si avvicina, impalpabile e greve al tempo stesso. La folla si accalca davanti alla casa del cinema per assistere ad una prima mentre la radio statale dell'Urss trasmette in diretta l'evoluzione dei blindati dell'Armata rossa nelle strade di Vilnius. La lezione di Budapest Soldati su un carro armato tra le vie di Vilnius: il segno della «sbandata a destra» del Cremlino [FOTO EPA] La trappola sta scattando per tutti. Gorbaciov ha il problema di decidere non solo del destino di Repubbliche che non lo riconoscono più: ogni sua mossa influisce sul futuro dei 50 milioni di sovietici che vivono e lavorano fuori dai propri confini nazionali. I russi, gli ucraini, i bielorussi, i tartari: possenti nazioni che si sono sparse nei secoli fuori dai loro confini e che si trovano ora minoranze senza tutela in nazioni ostili. Come uscirne nessuno lo sa. Ma i carri armati che riportarono l'ordine a Budapest riuscirono soltanto a spostare di qualche decennio la sconfitta di coloro che li avevano mandati. Krusciov, che, pochi mesi prima di quel fatale 1956 aveva liberato l'Unione Sovietica dalla tirannia staliniana, non capì che l'Ungheria in rivolta l'aveva creata egli stesso, con le proprie mani. Stroncò nel sangue quella rivolta, poiché non aveva altro mezzo per salvarsi. Ma cadde ugualmente per mano degli stessi avversari che poi caddero nella stessa illusione, a Praga, dodici anni dopo. Gorbaciov sembra trascinato, dai suoi e dagli altrui errori, nello stesso vortice di violenza e di inevitabile sconfitta. MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Dieci mesi esatti. La scelta indipendentista della Lituania era sbocciata l'I 1 marzo 1990. Dieci mesi segnati da speranze, minacce, provocazioni militari, ultimatum, tentativi di compromesso. Un intreccio convulso che arriva fino alla sanguinosa cronaca delle ultime ore. Marzo 1990. La sera dell' 11, il Parlamento repubblicano proclama la restaurazione dell'indipendenza della Lituania. Una settimana prima le elezioni locali erano state dominate dal Sajudis - il movimento indipendentista - e il non comunista Vytautas Landsbergis, professore di musica, era stato scelto come Presidente della Repubblica. Nella dichiarazione d'indipendenza i lituani sottolineano che la loro non è una «secessione» ma il recupero della sovranità statale persa con l'annessione del '40. Ricordano che fu 10 stesso Lenin, nel 1918, a riconoscere l'indipendenza della Lituania. Il 16 marzo Gorbaciov lancia 11 primo ultimatum: la dichiarazione d'indipendenza deve essere annullata. Aprile. Dopo un mese di tensione e di scaramucce verbali, il 14 aprile Gorbaciov avverte che se l'indipendenza non sarà annullata scatteranno rappresaglie economiche. Il «blocco» della Lituania comincia il 17: le forniture di petrolio sono tagliate dell'80%, quelle di gas e di carbone sono di fatto sospese. Per i lituani comincia il razionamento. Entrano in scena per la prima volta i paracadutisti: la prova di forza sembra veramente ad un passo. Maggio. La pressione internazionale costringe Mosca a trovare un primo compromesso con Vilnius. Il 2 maggio il cancelliere tedesco Kohl e il presidente francese Mitterrand convincono Landsbergis a «sospendere» gli effetti della dichiarazione d'indipendenza e Gorbaciov ad avviare, in cambio, un negoziato con le autorità della Repubblica ribelle. Giugno. Il Parlamento lituano proclama una «moratoria» dell'indipendenza per un periodo di cento giorni. E' il 30 giugno e il negoziato prende formalmente il via. Mosca toglie l'embargo ai rifornimenti energetici. Agosto. Le trattative si trascinano, Vilnius chiede a Mosca di non arruolare più i giovani lituani nell'Armata Rossa. Quello dei «disertori» - secondo la posizione sovietica - diviene uno dei punti più caldi dello scontro, anche perché si trasforma in un esempio per le altre Repubbliche ribelli dell'Urss. Novembre. Il 27 i soldati sovietici sono autorizzati a «fare uso delle armi per difendere gli obiettivi militari» nelle Repubbliche. La decisione, annunciata dal ministro della Difesa, generale Dmitri Yazov, è un passo-chiave verso l'uso della forza. Dicembre. Durante il Congresso dei deputati, il 19, Michail Gorbaciov lancia il suo «appello all'ordine» alle Repubbliche che si sono pronunciate contro l'Unione e minaccia l'introduzione dello stato d'emergenza o del potere diretto presidenziale. Gennaio 1991. Il 7 i rinforzi di paracadutisti arrivano a Vilnius. Il giorno dopo Gorbaciov rifiuta di discutere il problema militare col premier lituano accorso a Mosca. La signora Kazimiera Prunskiene si dimette la sera stessa. La crisi precipita. [e. s.]