PACE A TUTTI I COSTI di Ernesto Galli Della Loggia

PACE A TUTTI I COSTI PACE A TUTTI I COSTI VIA via che si approssima la scadenza dell'ultimatum delle Nazioni Unite all'Iraq, in Italia si moltiplicano dalle più varie parti i richiami alla pace e l'impegno delle forze pacifiste vere e proprie, le quali manifestano oggi a Roma con la partecipazione delle Adi, dell'Arci e - ciò che è più significativo - del partito comunista. Ma anche in questa occasione - come gli è regolarmente accaduto fin dalla sua nascita nel secolo scorso - il pacifismo giunge all'appuntamento con la storia senza poter rispondere alla domanda cruciale: «Ammessa, com'è ovvio, la somma desiderabilità della pace, che cosa dobbiamo fare se però qualcuno ricorre alla forza contro di noi e si mette sulla strada della guerra? In tal caso, è legittimo per fermarlo ricorrere a nostra volta alla forza? E se no, se anche in questo caso la pace ha un valore supremo, allora non rischia il pacifismo di diventare nei fatti una specie di garanzia di impunità a tutti i malintenzionati del pianeta? Insomma, che soluzione offre, che via indica il pacifismo all'aggredito, al giusto, per riparare il torto che gli è fatto?». A questa domanda, come dicevo, il pacifismo ancora una volta non ha dato risposta per la buona ragione, io credo, che una risposta esso non ce l'ha, che su questo punto decisivo si mostra tutta la debolezza della sua impalcatura teorica. Ora, è proprio questa fragilità teorica - sinonimo immediato di fragilità e vuoto politici - ciò che rende di regola l'istanza pacifista un involucro che chiede di essere riempito di contenuti di altra provenienza; che cioè fa del pacifismo un'istanza strumentalizzabile per antonomasia. Nel corso dell'ultimo mezzo secolo questi contenuti diversi sono quasi sempre venuti dalla cultura della sinistra marxista, specialmente laddove per circostanze di luogo (come nei Paesi anglosassoni) o di tempo (come avviene oggi in Italia dopo la «caduta del comunismo») essa non aveva - o non ha più - forza e sicurezza sufficienti per presentarsi in modo autonomo. Da qualche tempo un ulteriore serbatoio di contenuti pacifisti è rappresentato dalla cultura cattolica, grazie specialmente all'ingenuo terzomondismo che molta parte di essa ama fare proprio, in particolare quando tale terzomondismo si inserisce a pennello nei molto meno ingenui disegni politici della Santa Sede. Il comportamento del pacifismo italiano nella vicenda irachena indica chiaramente le conseguenze contraddittorie e negative che un simile innesto con culture estranee alla tradizione liberale produce: in una parola l'indifferenza sostanziale al problema della democrazia e del diritto. Il pacifismo subalterno alla cultura della sinistra marxista e a quella del cattolicesimo terzomondista, infatti, nasconde e si nasconde regolarmente il dato inoppugnabile - messo invece lucidamente a fuoco da Kant più di due secoli fa - che il principale pericolo per la pace risiede nella natura dei regimi politici attori della scena internazionale; che cioè le dittature, dove comanda uno solo, sono di gran lunga più inclini alla guerra delle democrazie, dove le decisioni più gravi sono sottoposte a vagli e discussioni infinite e per di più pubbliche. Proprio a questo proposito il pacifismo del nostro Paese ha subito la più dura delle lezioni. Per anni e anni - si può dire dall'epoca dei «Partigiani della pace» fino all'installazione dei missili Pershing e Cruise - esso è andato sostenendo che il pericolo per la pace nel mondo, e soprattutto in Europa, veniva dalla corsa agli armamenti che, a suo giudizio, vedeva l'Occidente, in specie gli Stati Uniti, in una posizione di particolare Alla Camera Andreotti ri Ernesto Galli della Loggia CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA badisce la legittimità d

Persone citate: Andreotti, Cruise, Kant

Luoghi citati: Europa, Iraq, Italia, Roma, Stati Uniti