Il «Dizionario degli insulti

Il «Dizionario degli insulti Il «Dizionario degli insulti Figlio mio figlio di cane UANDO ero ragazzo, veniva periodicamente a casa nostra un venditore ambulante di caffè che un giorno, con un certo affanno, chiese se chiamare una persona barbagianni fosse un'offesa, preoccupato di aver rivolto quella parola al suo padrone di casa, non so più per quale bega. A noi pareva proprio un'ingiuria (i paragoni zoologici sono sempre irriguardosi, diceva Giorgio Pasquali) e ora ne trovo conferma in un Dizionario degli insulti che Gianfranco Lotti ha compilato per Mondadori. Ricordo però che, qualche anno fa, fu chiesta a un noto linguista una perizia da parte di un tribunale su una parola (vicina a quella di Cambronne) che era chiaramente un insulto ma che, essendo, si diceva, ormai molto usata, poteva passare, se non proprio per un complimento, almeno per una voce di poco conto, da non farci più caso. Tale fu, almeno, il giudizio del linguista e io pensai come egli avrebbe reagito se fosse stata rivolta a lui quella parolina, visto che non la considerava un'ingiuria. In questi giorni due miei giovanissimi nipoti mi hanno regalato proprio il Dizionario degli insulti; e hanno scritto una dedica eloquente: «Per tenerti al passo con i nipoti», seguita dagli amatissimi nomi dei donatori. La raccolta del Lotti mi pare più volte andare al di là del puro insulto: lo dico perché non diventi un testo su cui basare un'azione giudiziaria. Del resto i limiti di una ingiuria non sono sempre facilmente definibili. Per esempio rockettaro, che ha <t m 'n il valore di «adolescente dedito anima e corpo agli imperanti dettami di un certo tipo di musica» (così il Dizionario di cui stiamo parlando) è un insulto? E pervicace? E raccapricciante? E riccio, per designare una persona timida, schiva? E principiante? Sono voci che possono assumere valore di insulto ma hanno bisogno di un contesto perché, in sé, non sembrano pròpriamente aver valore di offesa. Anche caro e carino possono diventare irriguardosi; persino signore, se rivolto a persona con un certo tono e in un certo contesto. Così, un articolo può servire a dare un valore negativo a un nome. Quando Benedetto Croce diceva /'/Mussolini, allontanandosi dall'uso generale, che non chiedeva l'impiego dell'articolo per i cognomi di persone notissime, dava un tono sprezzante al cognome venerato da troppa gente, tanto da provocare la suscettibilità dell'interessato e dei suoi ammiratori. E' chiaro che di solito si dice Mazzini e Garibaldi e non /'/ Mazzini e /'/ Garibaldi, anche se ci troviamo con questi esempi in un terreno non molto solido, j-e è vero che diciamo Leopardi e anche /'/ Leopardi, Carducci e anche ;/ Carducci. Ma se dico a uno che parla troppo: «Lei è barboso», l'ho insultato o no? Un professore chiamato barone può considerarsi offeso o no? Come spesso accade, un epiteto dato con ragioni non proprio lusinghiere, talvolta viene poi rovesciato e assunto come una bandiera. Fauve in francese vuol dire non solo «fulvo» ma anche «feroce» e «selvaggio»: fu applicato con una connotazione non troppo favorevole a certi pittori, che vollero poi chiamarsi, appunto, fauves; e così fu degli impressionisti, ecc. Tutto questo per dire che definire un insulto sembra facilissimo ma non è. Oggi l'insulto, anche plateale, è diffuso molto più di un tempo; ma bisogna ricordare che le parolacce sembrano diventate d'obbligo. Come si sa, c'è stata una querela fra un gruppo politico che si è sentito chiamare piovra e l'autore di un dizionario di parole nuove di cui parlammo su queste colonne in modo un po' restrittivo. Quell'autore ha messo sotto la voce piovra un esempio tratto da un giornale, sia pure di scarsa diffusione, che riguarda, appunto, quel gruppo politico. Di piovra nel Dizionario degli insulti si dà la seguente definizione: «Chi sta sempre attaccato ad un'altra persona, per gelosia, timore, incapacità di autogestirsi o per trarne profitto; individuo che sfrutta un altro incessantemente senza mai demordere» con l'aggiunta che tale metafora è «entrata anche nell'uso giornalistico per indicare la mafia». Mi pare che ce ne sia abbastanza per capire che quel gruppo si sia sentito offeso. Ma si può essere sicuri che un linguista o un avvocato non sosterrà che la metafora voleva dire soltanto che quel gruppo si era molto diffuso e che, proprio per questo, confrontandolo con una piovra, gli si faceva un complimento o addirittura un elogio? Personalmente, ritengo che una querela andrebbe prima di tutto fatta al giornale che è all'origine della questione. In fondo, l'aurore del vocabolario non ha fatto niente altro, sia pure con qualche leggerezza, che riportare la notizia che, però, compare nel lemma definito come «mafia». La relatività di una parola considerata un insulto è dunque cosa che dà da pensare; tuttavia, parole come piovra ne esistono parecchie. Se in Toscana si dà del bischero a uno (anche se l'etimologia non è chiara, il valore è indubitabile), non vi è dubbio che la parola è ingiuriosa anche se molte volte si sente a Firenze e a Pisa rivolta in forma scherzosa non tanto con riferimento alla natura della persona quanto a una sua azione o a un suo comportamento. E così accade a scemo, stupido, cretino, e questa parola ha il significato di (povero) cristiano nel franco-provenzale da cui proviene. In Toscana, e non solo in Toscana è in grande uso figlio d'un cane, che si allinea a figlio della serva, figlio del vizio (tanto letterario e solenne da non apparire applicabile direttamente, senza suscitare riso); figlio di buona donna, di mignotta, di puttana ecc. Ebbene, figlio d'un cane io l'ho sentito gridare contro un ragazzo da suo padre... Tanto è vero che, quando si vuole insultare e si è in preda all'ira, non si guarda tanto per il sottile. Tristano Bolelli

Persone citate: Benedetto Croce, Carducci, Gianfranco Lotti, Giorgio Pasquali, Mazzini, Mussolini, Tristano Bolelli

Luoghi citati: Firenze, Pisa, Toscana