«Dzhugashvili vuole un complotto»

«Dzhugashvili vuole un complotto» «Dzhugashvili vuole un complotto» Così il leader bolscevico firmò la sua condanna AMOSCA Lidia Borisovna Lebedinskaja siamo risaliti attraverso lo scrittore e I deputato dell'Urss Jurij Karjakin. Uno dei pochi cui Lidia Borisovna confidò la storia del ritrovamento casuale del documento che pubblichiamo. Erano i primi Anni 60. Lidia Borisovna - vedova dello scrittore Jurij Lebedinskij - stava lavorando a una biografia di Valerian Kujbishev ed ebbe accesso alla sezione che lo riguardava degli archivi dell'Istituto per il marxismo-leninismo. Racconta: «In uno dei fascicoli trovai una lettera, senza busta. L'intestazione stampata mi colpì subito: Comitato regionale del partito di Leningrado. Era scritta a macchina, con caratteri di colore violaceo, come i nastri di allora. Non la copiai perché ebbi paura. Lei capisce: era una prova contro Stalin. In seguito mi sono chiesta molte volte come fosse stato possibile che un documento di tale importanza fosse sfuggito all'attenzione. Non ho una spiegazione. Forse fu semplicemente effetto del grande disordine in cui si trovavano tutti gli archivi. Forse nessuno aveva pensato di gettare gli occhi sulle carte di Kujbishev. Comunque il contenuto della lettera lo ricordo perfettamente. E la data. Ho solo un dubbio: se fosse il 30 o il 31 agosto. Ma il mese e l'anno, agosto 1934, sono fuori discussione. Serghei Kirov «Quando, anni dopo, ne parlai a Karjakin, lui mi pregò di verificare se esisteva ancora. Ma dopo Krusciov tutti gli archivi vennero richiusi. Non so neppure dove si trovino ora i materiali di Kujbishev. E' la tragedia della nostra vita. Siamo stati derubati della nostra storia». [g. e] LA LETTERA Egregio Valermi ìladùnirovic, mi rivolgo a voi nella qualità di dirigente di un alla istanza di /Kirlito, per attirare la vostra attenzione sulluiammissibile comportamento del comunista Dzluigashvili I. V. Ixi scorsa primavera sono stalo ammcalo dal compagno Dzhugashvili e mi è stato da lui comunicato die a I A-ningradt) esiste un centro spionistico trotzkista, a pro/x)sito del quale io avrei dovuto aprire uiundugine. Tornalo a Leningrado ho dato incarico ai responsabili della Nkvd di condurre un 'inchiesta. I suoi risultati Inumo permesso di mettere in chiaro che tra noi e il compagno Zinoviev esistono da tempo dissensi politici dipartilo, ma che a Leningrado non esiste alcun centro di spionaggio trotzkista. Tornato a Mosca ho riferita la situazione al compagno Dz/uigaslwili e mi sono sentilo dire: «Compagno Kirov, tu sei un cattivo comunista se non sei auxice. di trovare un compiono dove e quando questo è necessario al partito». liitengo mio dovere portare alla vostra conoscenza questa inaccettabile affermazione. Saluti comunisti. Serghei Mironovir Kirov AMOSCA BBIAMO atteso prima di pubblicare questa lettera e prima di dare noti zia del luogo in cui si trovava (e forse ancora si trova). Non era in nostro potere accedere agli archivi. Ma chi aveva ancora (forse) la possibilità di farlo è stato informato: perché si facessero le necessarie verifiche e il documento fosse salvato. Poiché temevamo (e temiamo) che la lettera sarebbe sparita dopo la rivelazione pubblica della sua esistenza. Questo tempo è scaduto senza risposte. Non resta dunque che aggiungere questo tassello cruciale all'inchiesta che dura, senza successo, da oltre 50 anni. E' l'anello mancante della lunga catena di deduzioni che porta a Stalin come all'organizzatore dell'assassinio di Kirov. La data, prima di tutto. Essa conferma che nell'estate del 1934 il dirigente leningradese aveva ormai raggiunto la convinzione di essere in grave pericolo. Non si spiega altrimenti il rischio che egli assume decidendosi all'atto formale di scrivere una denuncia di tale gravità contro Stalin. Kujbishev, senza dubbio, avrebbe immediatamente riferito a Stalin. Ma forse Kirov sperava che l'emergere del dissenso avrebbe ostacolato le manovre del dittatore contro di lui. Non a caso Stalin cercherà in ogni modo, dopo l'assassinio, di accreditare la tesi che i suoi rapporti con Ki¬ rov erano particolarmente cordiali. Colpisce il fatto che Kirov parla del compagno Dzhugashvili. E' questo, tra l'altro, uno dei dettagli che rendono assolutamente credibile la testimonianza di Lidia Lebedinskaja. Non Stalin, non Koba, come tutti lo chiamavano. Kirov vuole sottolineare la completa rottura, l'assenza, ormai, di ogni amicizia personale, di ogni spirito cameratesco. Era in gioco la sua vita: non c'era più ragione di fingere; non c'era più spazio per manovre; non sarebbe più bastato neppure elevare peana all'indirizzo di Stalin (come pure Kirov aveva fatto solo pochi mesi prima, nel suo discorso al XVII congresso del partito). Valerian Vladimirovic Kujbishev in quel momento è uno dei massimi dirigenti del partito: membro del Politbjuro, primo vice-presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, primo vice della Commissione del Lavoro e della Difesa, presidente della Commissione del Controllo Sovietico. Morirà pochi mesi dopo, all'inizio del 1935, in circostanze oscure, a soli 46 anni. La sua morte fu attribuita, come quella di Kirov, agli «agenti trotzkisti-zinoveviani». L'esistenza di questa lettera permette di gettare luce anche su questo episodio. Kujbishev, per quanto fedele a Stalin, era divenuto, suo malgrado, un testimone troppo pericoloso. [g. e]

Luoghi citati: Leningrado, Mosca, Urss