«La mia testa per i referendum» di Augusto Minzolini

«La mia testa per i referendum» «La mia testa per i referendum» Ha chiesto due volte invano di parlare a Forlani mine caro agli inquirenti che si occupano di mafia, giudicando l'iniziativa del psi «un attacco obliquo». E a dare in parte ragione a Segni e i suoi amici., c'è u fatto che l'altro ieri, nella riunione socialista, l'ideatore dell'operazione contro il presidente del comitato dei servizi è stato Craxi in persona. Anzi, il segretario socialista ha completamente ignorato gli inviti alla prudenza di qualche suo consigliere (come il capogruppo alla Camera, Capria), tagliando corto sulla decisione da prendere con una frase che la dice lunga: «Ricordatevi - sono state le parole di Craxi - che questo va in giro sparlando dei socialisti». Ma se gli uomini del partito «trasversale» non lesinano solidarietà nei confronti di Segni, con altrettanta franchezza rimproverano al loro protetto di non aver deciso autonomamente di rassegnare le dimissioni da quell'incarico delicato e, soprattutto, di aver rilasciato qualche mese fa delle dichiarazioni che oggi alla luce della pubblicazione degli «omissis» sul Piano Solo sono diventate imbarazzanti (lo dicono in tanti, da Bassanini a Calderisi). «Mio padre - aveva detto Segni in un'intervista a Panorama - non ha mai usato minacce militari per sostenere convinzioni politiche... Il generale De Lorenzo era un uomo di eccellenti capacità professionali, riconosciute da tutte il mondo politico, compreso mio padre. ROMA. «Ehi Vito dove vai? Se rimani qui in giro vedrai che ti daranno il posto di Mariotto Segni»: Nicola Sanese, andreottiano di ferro, si rivolge così nel corridoio dei passi perduti ad un altro peone de, Vito Napoli. Sono le 13, ad un passo da lì, l'interessato, Mario Segni, rampollo dell'ex Presidente della Repubblica, Antonio, principale animatore dei referendum elettorali e presidente del comitato parlamentare dei servizi segreti sta annunciando su un divano al missino Tatarella la sua intenzione di rassegnare le dimissioni da quest'ultimo incarico, come gli è stato intimato 24 ore prima dall'esecutivo del psi. Ma i democristi ar:, che come squali hanno già annusato l'odore del sangue, sbagliano se immaginano che uno dei figli d'arte della politica italiana sia disposto a lasciarsi sbranare senza reagire. Per questo signore cinquantenne, vestito sempre di grigio, con qualche spruzzo di capelli bianchi in testa, infatti, la lettera di dimissioni è solo il primo passo di una possibile rivincita. Gli avversari sono innanzitutto Bettino Craxi, ma anche quelli che, pure nella de, gli hanno fatto la guerra infastiditi dall'iniziativa referendaria, da Forlani, che ieri non lo ha voluto ricevere, ad Andreotti. E, naturalmente, nel gruppo dei suoi nemici trovano un posto pure tutti coloro che oggi per motivi diversi gongolano per la sua sconfitta: ad esempio, Vittorio Sbardella, che attaccato due mesi fa da questo «ribelle della de» per la disinvoltura con cui gestisce il potere a Roma, oggi è pronto a rendergli pan per focaccia, «è un cretino - sentenzia l'uomo di Andreotti - perché doveva dimettersi prima: il golpe chi l'ha tentato se non suo padre?». Adesso Mario Segni fa finta, di non sentire ma, contemporaneamente, non ha nessuna voglia di abbozzare («è incavolato come un toro» confida il radicale Giovanni Negri, che gli ha parlato a lungo) anche perché è sicuro che dietro al siluro psi ci sia tutto meno le vicende che legano il «Piano Solo» al nome di suo padre. «Mi vogliono colpire - ha spiegato ieri a Tatarella, anche lui componente del comitato dei servizi - perché sono uno dei promotori dei referendum. E, naturalmente, tutto è inserito in una grande manovra anti-dc». E intorno a lui, pronti a giurare su questa tesi, ci sono i protagonisti di quel partito «trasversale» che ha messo su l'operazione dei referendum elettorali. Tutti - dai comunisti ai radicali, dagli aclisti ai liberali, ai de - sono convinti che il movente di Craxi sia uno solo, la guerra dichiarata ai referendum. Basta sentirli: l'occhettiano Bordon la definisce «una rappresaglia», per Negri è «un atto di ritorsione», Bassanini ne parla come di «un'operazione brutta», il comunista Barbera come di «un modo per colpire i referendum», mentre Calderisi fa ricorso ad un ter¬ Due anni dopo le dimissioni di Antonio Segni da Presidente della Repubblica De Lorenzo fu nominato capo di stato maggiore della Difesa da un governo di cui Nenni era vicepresidente: Nenni poteva accettare un golpista?». E le fotocopie di quell'intervista sono da settimane sulla scrivania di Craxi a via del Corso. Consapevole dell'errore commesso, Segni ha visto bene di non perseverare: così ha deciso di non arroccarsi, di non difendere ad oltranza il suo posto di presidente del comitato per i servizi. Ha preferito in questo momento tornare ad avere le mani libere («vedrete quanto parlerò nei prossimi giorni» è la promessa che ha fatto ai suoi amici) per dare battaglia sull'argomento in cui si sente più forte, quello dei referendum. Assalito dai socialisti, tradito dal suo stesso partito (solo Còssiga e De Mita gli hanno espresso la loro solidarietà), questo figlio d'arte che non vuole più sentirei tale, è pronto ad andare fino in fondo. «Se Craxi vuole le elezioni - spiega Bartolo Ciccardini, grande amico di Segni anche lui punito nella de per aver sostenuto i referendum - avrà una bella sorpresa: è già pronto un governo Scalfaro appoggiato da 320 deputati per garantire lo svolgimento dei referendum. E potrebbe aver dentro, come ministri, anche comunisti come Barbera». Augusto Minzolini

Luoghi citati: Roma, Segni