Papà Antonio l'amico di De Lorenzo

Papà Antonio, l'amico di De Lorenzo Papà Antonio, l'amico di De Lorenzo Come il Presidente che «contava sui carabinieri» fu coinvolto nel progetto di golpe dell'estate '64 ROMA. L'ombra sua torna... Un fantasma evocato nel bel mezzo della crisi politica. Antonio Segni, dunque, grande imputato postumo di quella pagina oscura che, nell'estate del 1964, vide in pericolo la democrazia italiana. Un Presidente della Repubblica democristiano diventato improvvisamente succube dei generali felloni e sospetto di golpismo. E a Montecitorio si scatenano i ricordi. Quei microfoni al Quirinale, quel rapporto confidenziale, esclusivo, con il generale De Lorenzo, deputati socialisti che sfogliano le memorie (recenti) di un avversario come Mario Sceiba: «Segni mi disse che contava sui carabinieri». Glielo disse proprio in quel luglio fatale del 1964. Dopo qualche giorno due «staffieri», fuori dello studio del Presidente, odono voci concitate e poi un tramestio: si apre la porta e appare il presidente del Consiglio Aldo Moro, pallido. Dentro ci sono Antonio Segni, riverso sulla poltrona dietro la scrivania, e il ministro degli Esteri Giuseppe Saragat che si affanna a tenergli sollevato il capo. Il Presidente sembrava davvero affaticato, «parlava come se avesse in bocca una caramella» ricordò Saragat, quel pomeriggio del 7 agosto 1964, prima dell'ictus cerebrale che segna virtualmente la fine della stagione di Segni al Quirinale. Secondo la versione ufficiale, ancora oggi incerta, la trombosi coincise con un violento alterco a proposito di un movimento di ambasciatori. Eppure, per anni, sulle supposte responsabilità del Capo dello Stato i partiti, tutti, stabilirono una linea di fair play: le deviazioni non si riferiscono alla volontà di Segni ma alle sue condizioni di salute, che già da tempo ne avevano alterato la lucidità. Così, dopo la morte (dicembre 1972), al Senato, presente il segretario comunista Enrico Berlinguer, fu possibile porre un busto marmoreo in onore dell'ex Presidente. Personaggio fino a ieri dimenticato, quasi rimosso. Al Quirinale Segni, figura di aristocratico sardo, professore di diritto, proprietario terriero, sta poco più di due anni e mezzo. Non ci arriva benissimo 51,9 per cento dei voti - tra Anton brogli in aula («Lo state facendo nascere sotto il segno della camorra!» s'infuria Sandro Pertini) e sospetti di corruzione (grandi elettori «acquistati» dall'Eni). Oas, organizzazione ascesa Segni, si autonomina il gruppetto di suoi fedelissimi che a fatica la rende possibile. Si dà da fare, nell'Oas, un giovanissimo deputato sardo e quasi parente, Francesco Cossiga, pizzinno dandera, in dialetto ragazzo delle commissioni. Il contesto politico, maturato al congresso de di Napoli, è abbastanza chiaro e per il Quirinale prevede l'elezione di un super-moderato a far da contrappeso al nascente centrosinistra. L'uomo ha 71 anni e un Antonio Segni, capo de aspetto che colpisce. «Esile più che magro - scrive su La Stampa Nicola Adelfi - volto esangue, capelli bianchi e soffici come la seta, due mani lunghe, affusolate». Oriana Fallaci lo sorprende in preghiera: «Il visino di cera affondato nelle manine di cera, la candida testa quasi insaccata dentro quelle spalle strette strette da bimbo». Ha sempre freddo, anche in piena estate: «Suscitava tenerezza - questo flash è di Andreotti - con il suo immancabile paletot e la sciarpa bianca di lana». Però è un duro: «Stato d'animo sospettoso, diffidente, irritato» (Vittorio Gorresio). Caparbio. Pessimista - come ammette lui stesso - «per abitudine». Austero ma con un'unica passione-debolezza quasi infantile: il volo, gli aeroplani (e Andreotti gli aveva conse¬ Barbclla Gagliardi Saftmuo gnato un bizzarro brevetto ad honorem di «osservatore aereo»). Arriva al Quirinale con la signora Laura, una donna garbata, dal sorriso dimesso, e con con sé, oltre all'autista Isonzo Crescimbeni e alla governante Maria Mameli, porta un drappello di fedelissimi conterranei fatalmente ribattezzati «Brigata Sassari». Ma nella cerchia presidenziale c'è anche un uomo elegante, molto riservato. E' un ufficiale di Marina che si chiama Emanuele Cossetto, «e qualcuno si legge nel libro di ricordi quirinalizi dell'anziano funzionario Matteo Mureddu - afferma che sia un agente dei servizi segreti e che goda l'amicizia e la stima del generale De Lorenzo». Segni pare «attratto da tutto ciò che sa di militare». Nel Palazzo accadono cose misteriose: «I commessi di custodia - è sempre Mureddu - parlano a mezza bocca di una certa «stanza dei colonnelli», situata nel soffittone della Palazzina e «chiusa costantemente a chiave». Al Quirinale De Lorenzo è di casa («Ci andavo spessissimo»). Probabilmente a dipingere a tinte fosche la situazione a un uomo che già di per sé vorrebbe chiudere con il centrosinistra. Alla parata del 2 giugno 1964 il presidente viene visto commuoversi vedendo sfilare la brigata meccanizzata dei carabinieri. Un mese dopo, durante la crisi, dalle lacrime evolve verso la consultazione sistematica con De Lorenzo e le minacce a Nenni. La trombosi del 7 agosto, evento imprevedibile, impedisce di sapere come sarebbe finita. Lui finisce nudo, avvolto nelle lenzuola gelate predisposte dai medici per impedire sbalzi di pressione. La paralisi l'ha colpito al lato destro del corpo e gli inibisce l'uso della parola. A dicembre, con la mano sinistra, firma le dimissioni. «Non mi ha riconosciuto - sussurra Moro - forse c'era poca luce». Le rivelazioni sul golpe (maggio 1967) lo sorprendono alla clinica Sanatrix durante un'improbabile terapia di riabilitazione. Corrono a trovarlo Rumor, Piccoli, Colombo. Segni li guarda stralunato e piange. ello Stato dal '62 al '64 Filippo Ceccarelli RITAGLIATE IL TAGLIANDO. COMPILATELO E INCOLLATELO SUL RETRO DELLE VOSTRE FOTOGRAFIE. CHE DOVRANNO PERVENIRE NEI TEMPI INDICATI A: CONCORSO « RITRATTI ITALIANI • CASELLA POSTALE 722 TORINO CENTRO

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