TANGO DELLA LIBERTA ALL'OMBRA DEL MURO di Cinzia Romani
TANGO DELLA LIBERTA' ALL'OMBRA DEL MURO TANGO DELLA LIBERTA' ALL'OMBRA DEL MURO "HT A ARTICOLO 17 ^ del trattato di pi J riunificazione | i sottoscritto da I i Germania Est e | | Germania Ovest I i J s'intitola Riabi| | J litazione. RiI ! / guarda «tutte le ..' ■ I persone vittime di procedimenti motivati politicamente» e prevede pure «un'adeguata regolamentazione d'indennizzo». Ossia, chi è stato in galera ai tempi del cattivo regime Sed, magari per aver raccontato una barzelletta sporca, va riabilitato e risarcito, per legge, in sonanti marchi occidentali. Si pensa subito a questa tragedia ridicola della Rehabilitierung leggendo II suonatore di tango del quarantaseienne Christoph Hein, drammaturgo e romanziere di punta della disciolta Ddr. Perché Hans-Peter Dallow, protagonista dell'ultima fatica di Hein, resta due anni in gabbia per aver strimpellato Adios muchachos, vecchio tango, apprezzato tutt'al più dai suicidi, dichiarato però «diffamatorio di importanti personalità dello Stato». Così Dallow perde il suo posto di assistente universitario a Lipsia, oltre a tutti gli affetti e le amicizie e non sa spiegarsi perché. Quando esce sa solo che non vuole dimenticare quei due anni, né perdonare. E il romanzo comincia - in sordina, anche stilistica - proprio dal giorno in cui Dallow viene rilasciato. Né pianista, né assistente universitario, con qualche risparmio in banca che lo farà tirare avanti un anno al massimo, il giovane uomo si trasforma in uno dei tanti vagabondi asociali che giravano a Lipsia, e in tutta la Germania Est, ai tempi del Muro. Si fa presto a dire «asozial». Provateci un po' voi a non avere più un lavoro, quindi ruolo e soldi, in una piccola città dove, se giri dopo le sette di sera, dopo dieci minuti di passeggiata senti alle spalle il piccolo cabotaggio della Volkspolizei. E' quanto capita a Dallow, che gira da solo dialogando con la sua automobile, preso dall'inquietudine di chi teme il futuro, per lui «un grande foglio, bianco e terribile». E visto che puzza di scontento, Harry, Roessler, Sylvia, gli amici di una volta, lo evitano o, peggio, lo obbligano a raccontare la galera e siccome «raccontare vuol dire rivivere» Dallow si segrega in casa. Scoprendosi impreparato alla libertà, cerca di ammazzare il tempo dedicandosi nevroticamente alle faccende domestiche. Ma le giornate in casa l'ammazzano ancor più, così prende a fare il giro delle osterie e «insieme alla grappa, manda giù la sua riluttanza». Bevendo cognac e acquavite incontra qualche altro svitato, come il tubista che col pancione gonfio di Schnaps cita Schopenhauer. O come Elke, la donna con cui Dallow fa l'amore, che vive sola con la figlioletta in una stanza. Va da sé che, durante gli amplessi, la piccola dorme su un pagliericcio in corridoio. Hein, di solito asciutto, perché descrive tutto e a scatti, quasi stesse scrivendo per la collana «Blue Moon» (e Dio solo sa quanto perde nelle traduzioni, specie in questa), qui si lascia andare a un patetismo da portinaio, stranamente efficace. Le lunghe sere in cucina, le chiacchiere con la donna sola e trascurata, i baci imbarazzati, in piedi accanto alla finestra, gli approcci mentre bolle l'acqua per il tè, sono tipici interni tedesco-orientali. Come sono caratteristici di quel mondo sparito Schulze e Mùller, i due funzionari, forse della Stasi, la temibile «Sicurezza di Stato», che si presentano a casa di Dallow per indurlo a più miti consigli; o come la soluzione dell'intellettuale socialista, che, non volendo piegarsi, non accetta di tornare all'Università da subalterno, e si cerca invece prima un lavoro da autista e poi da cameriere su un'isoletta del Baltico. Saggiamente commenta Schulze - e questo vale anche per i laureati nor' i - quando Dallow si lamenta dei rifiuti accumulati: «Perché una ditta dovrebbe assumere uno studioso come autista? Non vogliono avere seccature. E quando uno storico, laureato, intende fare l'autista, in effetti non può che dare delle seccature... E chi va a cercarsi delle rogne?». Nonostante la nostalgia della cella e il rifiuto dell'esistente, il protagonista finirà bene, pure troppo, secondo la ferrea legge dello happy end. Il docente che aveva rubato il posto a Dallow durante la sua detenzione sbaglia clamorosamente a commentare l'invasione di Praga davanti agli studenti e così il direttivo dell'Università 10 fa dimettere. Di chi sarà quel posto vacante? Di Dallow, che abbandona la piccola spiaggia pietrosa di Hiddensee e torna dai suoi e senz'altro tra le braccia della bella Elke con prole a carico. C'è qualcosa che stona in questo libro, pur bello e ora di attualità, data la nuova situazione tedesca. Ed è, a parte il lieto fine un po' melenso, la traduzione italiana, che fa rimpiangere fortemente l'originale. Che cosa sarà mai il «pigiama-party» di pag. 24 e seguenti? A pag. 33 «si sganciò i bottoni» suona male, come «gruppi seminariali», come «Dallow non le staccava gli occhi dal seno». Viene in mente una bambola oscena col seno al posto delle labbra, subito sotto gli occhi. Di «fiori» ce ne sono parecchi, peccato per chi legge e per Hein, che sarebbe il primo a non capire che cos'è quella «sbarra per battere i tappeti» di pagina 19. Cinzia Romani Christoph Hein 11 suonatore di tango Edizioni E/O pp. 169, L. 22.000
Persone citate: Christoph Hein, Hein, Schopenhauer, Schulze
Luoghi citati: Ddr, Germania Est, Germania Ovest, Praga
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