Gullotta pappagallo a Parigi di Masolino D'amico
In scena al Teatro Colosseo «Vaudeville», collage con la regia di Navello In scena al Teatro Colosseo «Vaudeville», collage con la regia di Navello Gullotta, pappagallo a Parigi Ma l'attore ha poche occasioni per emergere TORINO. «Vaudeville» , in scena al Teatro Colosseo, è un collage di testi di Courteline, Feydeau, Hennequin, Veber e altri concepito e presumibilmente tradotto dal regista Beppe Navello, a beneficio dell'attore Leo Gullotta di non immeritata fama televisiva, e costituisce una serata dalle dimensioni contenute - meno di due ore intervallo compreso - che anche grazie all'aiuto di qualche canzoncina inframezzata, più o meno francese (musiche originali di Germano Mazzocchetti) scorre, come si dice, senza intoppi. L'unica obiezione riguarda la fisionomia un po' monotona dell'antologia, che ricavata com'è da farse dall'andamento di solito corale, basate sull'uso di caratteri standardizzati (come qui, del resto: la Suocera, il Suocero, il Fidanzato, la Figlia, il Marito, l'Amante), si trova per forza di cose a dover privilegiare un elemento sugli altri. Questo elemento è ovviamente il personaggio interpretato da Gullotta e a cui viene dato il nome di Pagnol, provinciale di Bordeaux in visita a Parigi: affascinato e ogni tanto travolto dalla città tentacolare, ma mai fino al punto di rinunciare alla sua gallica combattività. Gullotta è perfetto per la bisogna, fisicamente in quanto piccolo, con faccia rotonda e occhioni ingenui - la sua maschera di finto candore può far pensare a un Macario moderno - , e tecnicamente grazie alla bella coordinazione dei suoi movimenti economici e incisivi, e alla precisione dei suoi tempi da creatura di cabaret. Né lo si può dire mal circondato. Fabio Grossi è, nelle varie incarnazioni, un accettabile cittadino navigato; Franco Mescolini, un autorevole suocero; Maria Novella Mosci, una spiritosa suocera. Con loro anche gli altri (Laura Cosenza, Alessandra Costanzo, Alessandro Baldinotti, Donatella Pandimiglio) danno sostanza alle loro parti di contorci- Le situazioni sono quelle che ci aspettavamo: Pagnol appena arrivato nella metropoli crede di capire che tutte le donne sono abbordabili, si regola di conseguenza e commette svariate gaffes; Pagnol tenta di conquistare una signora impegnandosi a dimostrarle le infedeltà del marito; Pagnol cerca di recuperare la fanciulla che amava andata sposa a un aristocratico, sfruttando la fobia che ha impedito a costui di consumare il matrimonio... Tutto ciò è gradevole, anche per il francesissimo modo con cui i personaggi lo commentano (qui devo confessare un mio personale e sicuramente perverso debole per le traduzioni interlineari, magari fino al punto di rendere con «colazioncina» quello che sospetto fosse un «petit déjeuner»). Ma, come ho accennato sopra, è squilibrato. Non è tanto perché così tagliate, le comme- Leo Gullotta protagonista in teatro e d die originali diventano sketches di avanspettacolo, che vanno avanti per un po' e poi si fermano capricciosamente, rinunciando alla conclusione. Il punto è che chiamato a farla da protagonista senza averne le occasioni, Gullotta alla lunga è costretto a ripetersi, lasciandoci il rimpianto di non averlo visto adoperato in un contesto meno costretto a ruotare sempre intorno a lui. Col che non voglio dire che il pubblico non abbia apprezzato la distensiva occasione. In parti¬ i nu colare oltre agli interpreti sono piaciuti scene e costumi di Luigi Perego, che portando avanti una tendenza da me personalmente poco amata, ossia quella di stilizzare la Belle Epoque, di esasperarla, vestendo i personaggi in modi esagerati e perfino grotteschi, ha escogitato un gioco di pareti mobili e di abiti monocromatici che oltre alla pacchianeria del momento storico sottolinea il carattere meccanico, burattinesco di tutti e di ogni cosa. uovo in televisione Masolino d'Amico PRIME CINEMA m
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