2 GIUGNO '46 destra e sinistra pronte al golpe

2 GIUGNO '46 2 GIUGNO '46 Destra e sinistra pronte al golpe rità politica... equivocando evidentemente sulla interpretazione delle norme relative alla proclamazione dello stato di pericolo pubblico e dello stato di guerra». Ma i documenti resi pubblici da Di Loreto testimoniano anche che più volte, nelle sedute della direzione comunista della prima metà del '46, si giunse a parlare esplicitamente dell'e- anti atti co. a E non era l'unico a pensarla così. In quella stessa riunione Luigi Longo dichiarò con espressione non certo cristallina: «Potremo anche cercare di organizzare... una certa forza per qualsiasi eventualità». E lo stesso Togliatti non esitò a pronunciare parole dal contenuto tutt'altro che ambiguo: «A me pare che a noi non convenga arrivare così improvvisamente, non preparati organizzativamente dal punto di vista della lotta armata, ad una decisione che (?) un atto di forza da parte delle forze armate». Il resoconto, come si vede, contiene un buco che non ci consente di chiarire il nesso istituito da Togliatti «decisione» e l'«atto di Ma il senso dell'intervento togliattiano è egualmente inquietante: il pei era pronto a contrastare «militarmente» eventuali «colpi di testa delle forze reazionarie» o addirittura a prevenire quei presunti «colpi di testa» imboccando la strada dell'azione armata?. La storia «effettuale», realmente accaduta, ci dice che do- tra la forza» po la disfatta del 2 giugno, gli ultras di Casa Savoia dovettero accettare sia pur di malavoglia il responso delle urne e che il pei accantonò i suoi disegni di «lotta armata difensiva». Ma i documenti rinvenuti da Di Loreto stanno a dimostrare che, sotto la crosta della storia «effettuale», per anni la fragile democrazia del dopoguerra ha vissuto tutti gli incubi e le ossessioni di una storia «virtuale». Una storia avvelenata da terrori e sospetti reciproci. Un clima da guerra civile latente. Un'atmosfera talmente avvelenata dall'«insurrezionalismo» rivoluzionario ancora in larga misura prevalente nella cultura e negli abiti mentali dei militanti comunisti, da far sì che nel fronte opposto ogni passo del «nemico interno» venisse percepito e interpretato come una minaccia mortale per la democrazia italiana. «Sono sempre più convinto», commenta Scoppola, «che la psicologia collettiva sia uno dei fattori strutturali della storia quanto e più dell'economia». E questo libro che sarà pubblicato dal Mulino dimostra con dovizia di particolari quale peso abbia avuto un sentimento di vero e proprio panico nelle strategie e nei comportamenti politici dell'Italia che si stava affacciando alla democrazia. Per paura della «quinta colonna di Stalin» incuneatasi nel cuore della civiltà occidentale, per esempio, per cinque anni la polizia imbottì il pei di spie e infiltrati pronti a segnalare e sovente a ingigantire, come dimostrano i rapporti di polizia scoperti da Di Loreto, ogni sorta di «manovre r J • • • militari clandestine». La UireZlOnepCl «raduni segreti di uo- La U«raduni segreti di uo- jjjg* giunsovversivi in fase pre operativa», «sbarchi di armi», «esercitazioni segrete» ordite da un presunto «apparato» clandestino del pei, diretto, come si apprende da un rapporto, «dall'esponente Grieco Ruggero e da Luigi Longo per quanto riguarda la parte militare dell'organizzazione» Sempre per paura, ma stavolta delle forze «reazionarie», Giuseppe Alberganti, in una direzione dell'8 giugno 1945, affermava che, «essendo stati disarmati i Volontari della Libertà, non si vede perché non si la «anc dovrebbe fare altrettanto con i Carabinieri che sono truppe della reazione». E certamente, anche per un invincibile sentimento di paura e di diffidenza verso le «manovre» dell'avversario, il pei fu indotto ad «infiltrare» ad alto livello la democrazia cristiana: come dimostra un intervento di Grieco in una direzione comunista del 9 aprile 1946 e come conferma, con

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