Vìlnius tank e dimostranti a tu per tu

Per Eltsin mandare i carri armati è stata una follia, quattro morti in Ossezia Per Eltsin mandare i carri armati è stata una follia, quattro morti in Ossezia Vìlnius, tank e dimostranti a tu per tu ,p<,^n|*J Georgia: «Lapolizia sparerà sull'Armata Rossa» Ex consigliere del Cremlino «Gorbaciov è ormai ostaggio delfascismo sovietico» MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Carri armati attorno alla torre della televisione, sulla collina che domina Vilnius, e guerra di slogan tra due schieramenti sempre più folti e minacciosi di manifestanti che per tutta la giornata si sono fronteggiati nella piazza del Parlamento. La tensione nella capitale della Lituania cresce. Sfiora lo scontro aperto, con i paracadutisti inviati da Mosca che si preparano alla «caccia ai disertori» e con la crisi politica innescata dalle dimissioni del premier, Kazimiera Prunskiene, che non trova ancora sbocchi. Nel Baltico sembrano ormai tornati i giorni neri del confronto muro contro muro tra indipendentisti e potere centrale, ma la fiammata dei conflitti nazionali non investe soltanto l'estremo Nord dell'impero sovietico: ieri ha conquistato anche la Georgia. Per il Presidente Michail Gorbaciov, anzi, la sfida che sale da Tbilisi si annuncia ancor più pericolosa di quella baltica. Il Parlamento georgiano - ormai dominato dal movimento nazionalista - ha definito «una dichiarazione di guerra» il decreto che il capo del Cremlino aveva emanato tre giorni fa, nel tentativo di riportare la calma nella regione dcll'Ossezia sconvolta dalle violenze inter-etniche. Per i deputati georgiani, l'intervento di Gorbaciov è «un'interferenza illegale negli affari interni della Repubblica» e «ogni eventuale invio di forze armate sovietiche in Ossezia sarà considerato un atto ostile». Quella della Georgia è una rottura verticale, formulata con il linguaggio di chi non è disposto a compromessi. «Mosca ci minaccia perché abbiamo rifiutato di firmare il nuovo trattato federale», ha detto il leader nazionalista, Zviad Gamsakhurdia, eletto presidente georgiano. La guerriglia che da un mese insanguina l'Ossezia meridionale sarebbe soltanto «un pretesto». Un «pretesto» che, in realtà, ha già fatto sette morti - quattro nelle ultime ventiquattr'ore - tra la minoranza che abita questa regione montagnosa e che il nuovo governo di Tbilisi non vuole più riconoscere come entità amministrativa autonoma. A sparare in Ossezia è la polizia georgiana, diventata una vera «milizia» nazionale che sarebbe pronta ad opporsi anche ai soldati inviati dal centro. Almeno questa è la minaccia lanciata ieri dal Parlamento di Tbilisi, che a Mosca viene presa sul serio. Le spinte nazionaliste nelle tre Repubbliche del Caucaso Georgia, Azerbaigian e Armenia - sono state sempre accompagnate da una carica di ribellione armata che spaventa il Cremlino molto di più dell'indipendentismo tutto politico JUGOSLAVIA Il governo di Milosevi delle tre Repubbliche baltiche e che lo ha già costretto in passato a prove di forza. L'elenco delle battaglie nel Caucaso è lungo: dal primo massacro di Tbilisi (ventuno persone uccise nell'aprile dell'89 durante una manifestazione) all'assalto di Baku, la capitale dell'Azerbaigian, che provocò più di cento morti il 22 gennaio scorso. Michail Gorbaciov non ha ancora reagito alla sfida del Parlamento georgiano. Ma non potrà ignorarla alla viglia di una riunione, prevista per sabato, del Consiglio federale che dovrebbe portare a Mosca tutti i presidenti delle 15 Repubbliche sovietiche. Il presidente della Repubblica russa, Boris Eltsin, ha già rivolto il suo avvertimento: «La violenza provoca violenza», ha detto il leader radicale che si è dichiarato «apertamente contrario» alla decisione di inviare i paracadutisti in Lituania e che ha rinnovato il suo appello per una «trattativa tra le Repubbliche» come unico metodo possibile per arrivare ad un nuovo patto federale che salvi in qualche modo l'Unione. «Quello che sta accadendo in Lituania rende tutto più difficile», ha detto Eltsin. E da Vilnius continuano ad arrivare notizie allarmanti. I mezzi blindati che, l'altra notte come sinistro avvertimento, avevano attraversato la capitale lituana, sono ricomparsi ieri. Sei carri leggeri hanno preso posizione vicino alla torre della televisione e altri blindati stazionano davanti all'aeroporto. Qui sono arrivati nelle ultime ore elicotteri dai quali sono sbarcati dei commandos di paracadutisti che hanno scortato nella base militare a Nord della città un gruppo di alti ufficiali che, secondo le fonti indipendentiste, sarebbero il nucleo di comando della forza inviata da Mosca. Movimenti di colonne militari 50 camion - sono stati segnalati dalla cittadina di Panevezys in direzione di Vilnius. Nella capitale lituana, di fronte al moderno palazzo del Parlamento, per il secondo giorno consecutivo, si sono affrontati migliaia di manifestanti prò e anti-indipendentisti. Almeno diecimila persone, da una parte, e cinquemila dall'altra, si sono sfidate a colpi di inni nazionalisti e di slogan. Il presidente, Vytautas Landsbergis, nel pomeriggio si è anche affacciato ad un balcone e ha invitato tutti alla calma. «Per favore: credete in noi come noi crediamo in voi», ha detto alla folla. Non ci sono stati incidenti. Ma la tensione è rimasta alta ed è complicata dalla confusione politica provocata dalle dimissioni del premier, signora Kazimiera Prunskiene, che ancora non ha un successore. c ha ottenuto un credito da 1600 miliardi, la metà del denaro emesso all'anno in tutto il Paese Enrico Singer «Kgb#giù le mani da Vilnius»: così gli indipendentisti lituani esprimono la loro rabbia verso il potere centrale [foto ap) ROMA. La perestrojka è finita, la riforma economica è stata abbandonata. All'offensiva è il «fascismo sovietico» dei militari e dell'industria di Stato, di cui Gorbaciov è ormai prigioniero: nell'Urss incombe la dittatura. E' questo il lucido e cupo discorso che Evgheni Ambarzumov, politologo e deputato della repubblica russa, dello stesso Gorbaciov un tempo consigliere, è venuto a fare ieri a Roma, in un convegno organizzato dall'Università. «L'espressione fascismo sovietico - dice - la prendo dai Quaderni di Antonio Gramsci. Con essa intendo le forze che hanno costretto Gorbaciov ad allontanare i suoi collaboratori più democratici, come Shevardnadze, Yakovlev, Bakatin; che gli hanno imposto di nominare vicepresidente dell'Urss un uomo come Ghennadi Yanaev, capace di rappresentare una sfida personale a lui stesso, di sostituirlo forse». Perché «fascismo»? Perché il partito comunista, ormai incapace di conquistarsi una qual¬ che legittimazione politica, «passa alla difesa dei suoi interessi egoistici: i tradizionali burocrati vengono via via sostituiti da gente alleata con i militari. I manager del complesso militare-industriale preparano finte privatizzazioni che lasceranno il potere nelle stesse mani, trasformando i ministeri in complessi industriali diretti dalle stesse persone». A questo punto una dittatura appare sempre più probabile. Ambarzumov non è in grado di prevedere se un colpo di forza provocherebbe una forte reazione popolare oppure no: la gente è sfiduciata, affaticata dalla penuria e dai disservizi, il movimento democratico è indebolito. Le uniche speranze vengono dalla Russia di Eltsin, pronta a darsi una Costituzione esemplarmente democratica, e da un possibile accordo diretto a 4 tra Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan. La dittatura, peraltro, non sarebbe in grado di risolvere i problemi: «durerebbe poco, come quella di Jaruzelski in Polonia».