Perestrojka di Dio di Sergio Quinzio

Bolshakoff e lo spiritualismo russo Bolshakoff e lo spiritualismo russo Perestrojka di Dio / rischi d'una fede acritica IT ESSUNO credeva più ■ che processioni con poa pi barbuti e incoronati, 1 in magnifici paramenti, =-Ue folle innalzanti stendardi con il volto del Crocifisso e della Vergine sarebbero sfilate ancora tra le cupole a bulbo del Cremlino. E' successo, e abbiamo reagito con una incredulità più grande della meraviglia. Negli ultimi anni sono stati tradotti e scritti molti libri sulla Russia ortodossa, anche prima della piccola valanga che ci ha sommersi nel 1988, nella solennissima occasione del millennio della conversione della Rus' al cristianesimo. Ma adesso la situazione ci interpella in modo più pressante, dopo che il 1989 ha fatto cadere la «cortina di ferro», e dopo che nel 1990 alla fiducia nella nuova «casa europea» si e sovrapposta la paura del caos che si affaccia e minaccia dal di là degli steccati abbattuti. La minaccia del caos, forse più grave di quella dell'ordine imposto. La Russia ha sempre avuto, per l'Occidente, un significato oscillante fra gli estremi opposti del bastione eretto a propria difesa e dell'avanguardia dell'immensa Asia barbarica. Fulmineamente cadute le spiegazioni sociopolitiche, la realtà ci obbliga a tentare una lettura storicoteologica della tradizione cristiana che ha unito nella «santa Russia» i popoli della grande pianura orientale europea, spingendoli fino alle coste del Pacifico. Quella tradizione, sebbene i decenni seguiti alla rivoluzione del 1917 avessero fatto credere il contrario, non è morta. Nel bene e nel male, oggi l'anima della cristianità sembra più viva nell'Oriente che nell'Occidente europeo. Nel bene e nel male, perche ogni tradizionale identità di popolo si fonda su forti impulsi che, unificando un popolo, per ciò stesso lo oppongono, prima ancora che ad altri popoli, alle minoranze esistenti al suo interno. Con le antiche candele e le antiche icone ritorna, così, un esplicito antisemitismo. E' la complessità degli clementi che convergono in quella sintesi che si chiama «Russia» a fare problema. Che la forza unificante sia stata il cristianesimo è molto più vero che per altri popoli europei, perché la Russia nasce alla storia nascendo alla fede cristiana. C'è chi, da Pietro il Grande a Lenin e oltre, nega il valoredi questa eredità, e c'è chi l'afferma in blocco. Oggi sembra riproporsi, nell'intero Occidente, la disputa fra «occidentalismo» e «slavismo» che animava la cultura russa dell'800. Prevale l'opinione occidentalista: la Russia deve de-russificarsi, solo così potrà portare nel concerto delle nazioni le sue imponenti energie e possibilità, a vantaggio di tutti. Ma anche l'idea slavista ha numerosi sostenitori, a cominciare dal vertice della Chiesa: l'abbraccio dell'Occidente avvelenato dal consumismo può essere mortale, può, come l'Aids, contagiare annullando le difese naturali - il legame con la terra, con la memoria, con il non-artificiale - di questi organismi viventi che sono i popoli. Il cristianesimo russo (o anche, slavo in genere) diventa allora il riferimento essenziale, come per Solzenicyn. Cresce il fascino dell'ortodossia che rifiorisce nel Paese degli zar e di Stalin. Un Incontro co» la spiritualità russa ci è proposto da Serge Bolshakoff (ed. Sei). Bolshakoff, nato a Pietroburgo nel 1901, è vissuto esule in Europa Occidentale e ha studiato filosofia al Christ Church College di Oxford. Il suo libro è del 1962, e l'orizzonte che ci presenta è quello dell'ideale di vita dei monaci ortodossi - radice indubbia della spiritualità russa -, un ideale al quale aderisce con entusiasmo, e quindi senza alcuna distanza critica. La cornice è quella dell'eroica diffusione del monachesimo, attraverso sterminate foreste, verso il Nord, fino alle isole del Mare Glaciale Artico. Per questi uomini, ascesi, mistica e teologia non si distinguono, e confluiscono tutte in una liturgia che si è rivelata, ancora ai nostri giorni, il tramite decisivo della trasmissione della fede cristiana attraverso le generazioni. Il libro di Bolshakoff è soprattutto una galleria di ritratti di monaci, in cui alle notizie biografiche si unisce l'esposizione - con ampie citazioni - del loro insegnamento spirituale. Da San Sergio di Radonez (morto nel 1392) a San Nilo di Sora (morto nel 1508), a San Tichone di Zadonsk (morti) nel 1783), a San Paisio Velickovskij (morto nel 179-4), a San Serafino di Sarov (morto nel 1833), a Teofanio il Recluso (morto nel 1894), e lungo il nostro secolo, si snodano centinaia di nomi, che finiscono per confondersi l'uno nell'altro. E' tanto più facile che questo accada in quanto dall'esposizione di Bolshakoff - proprio per la sua adesione all'eternizzantc orizzonte mentale monastico - non risultano se non per accenni le situazioni storiche e culturali circostanti. Alla terribile esplosione del Raskol, il grande scisma del XVII secolo, è dedicata meno di una pagina. Il nobile insegnamento dei monaci è quello di sempre, tutto basato sull'umiltà e l'obbedienza. Bolshakoff parla a lungo, negli Anni 50, con lo starec Padre Michele, il Recluso di Uusi Vaiamo, in Finlandia, visitato - scrive - da fedeli che accorrevano a lui da ogni parte del mondo, e dei quali il santo monaco leggeva immediatamente il pensiero. Padre Michele diceva che i morti «sanno tutto di noi e di ciò chesi fa quaggiù», che «non c'è morte» perché «la vita dell'ai di là è più reale di quella presente», che «la sofferenza ha per scopo di staccarci dal mondo e condurci a una vita migliore». Il vescovo Brjancaninov (morto nel 1867) era giunto ad affermare: «La mia nascita nel peccato originale fu una disgrazia peggiore del non esistere». Meno noti, e perciò più illuminanti per noi, sono alcuni fatti e costumi di cui Bolshakoff ci informa. Le ricchissime proprietà ecclesiastiche giunsero ad occupare, in secoli moderni, fino a un terzo del territorio russo. I contadini erano spaventati dall'arrivo nei paraggi di un eremita, perché temevano che si finisse per costruire un monastero di cui sarebbero diventati, per legge civile, servi della gleba. «I sovrani russi e le loro mogli erano soliti far professione monastica sul loro letto di morte o ancheprima». Michele, il primo sovrano, nel XVII secolo, della dinastia dei Romanov che sarà materialmente distrutta nella rivoluzionedei 1917, era figlio ■ li un metropolita. Nei monasteri bizantini c'era, e anil grado di «mcgaloo monaco perfetto, angelico. In Russia gli abati esercitavano la giustizia nelle terre appartenenti al monastero o, se l'imputato risiedeva al di fuori, sedevano comunque accanto al giudice. C'erano monaci che, per penitenza e amore di martirio, portavano su di sé pesanti catene. Ad «alcuni pensatori religiosi non ortodossi» Bolshakoff dedica appena qualche riga, tralasciando Dostoevskij, Tolstoj, Rozanov, Berdjaev, Shestov e considerando «non cristiani di fatto» V. Soloviev e Fedorov... L'impressione è che a ritornare, oggi, in Russia siano proprio le forme più rigidamente tradizionali care a Serge Bolshakoff, mentre le grandi domande dei pensatori religiosi che definisce «non ortodossi» o addirittura «non cristiani» non appaiono alla ribalta. Anche se ci sono - come spero - è difficile che appaiano. Non servono alla politica della «perestrojka», né il potere civile né quello ecclesiastico hanno interesse ad alimentare domande radicali. Anzi, l'interesse di ogni potere è per una religione acritica, chiusa nell'attaccamento al passato, consolatoria, che serve benissimo come appiglio e sfogo psicologico a masse deluse e confuse, prive, materialmente e spiritualmente, di tutto. cora c e, skemos», cora c e, skemos», Sergio Quinzio